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Il diritto alla privacy e ricerca scientifica
di Renzo Remotti |
3. Il primo comma dellart. 33 della Costituzione e il Decreto Legislativo 30
7 1999, n. 281.
Il
Consiglio dEuropa con due importanti raccomandazioni
indicò agli Stati membri la necessità di emanare provvedimenti legislativi chiari in
tema di dati personali, ricerca storica e statistica. LItalia si adeguò a tali
indicazioni con il decreto legislativo 30 7 1999, n. 281.
Sul
piano costituzionale il primo comma dellart. 33 della costituzione sancisce:
Larte e la scienza sono libere e libero ne è linsegnamento.
Questo articolo garantisce che interferenze di vario genere alla libertà di espressione
degli artisti e degli scienziati. Il problema costituzionale è individuare limiti, posto
che esistano, a tale libertà.
Secondo
la dottrina dominante la norma rientra nella più ampia libertà di pensiero. Tuttavia il
fatto stesso che vi sia un diversa previsione normativa i Costituenti avrebbero
potuto prevedere la libertà della ricerca scientifica in seno allart. 25 -,
implica, secondo alcuni costituzionalisti, una diversità di limiti .
Questinterpretazione è stata messa in dubbio da altri autori. Per la verità,
le manifestazioni dellarte e della scienza non sembrano completamente coincidere con
le manifestazioni del pensiero. Lattività artistica ha per scopo prevalente, se non
esclusivo, quello di suscitare degli stati emozionali, non riducibili a proposizioni
logiche; mentre lattività scientifica può ben limitarsi ad attività di ricerca,
senza necessariamente pervenire a una comunicazione di risultati (cioè a una
manifestazione di pensiero). [
] Anzi Mura conclude: In
presenza di unesplicita dichiarazione costituzionale della libertà della scienza e
dellarte, separatamente dalla libertà di manifestazione di pensiero, e in assenza
di un qualsiasi limite costituzionale, si deve ritenere che la libertà sia totale e la
tutela assolutamente rigida. Non è un caso, infatti, che
in relazione allattività artistica e alla ricerca scientifica non si prevede il
generico limite del buon costume. Né daltra parte pare possibile limitare tali
attività per motivi di ordine pubblico e ciò, in quanto, su parere del medesimo autore,
essendo stati soppressi espressamente per la libertà religiosa (art. 19) ,
a maggior ragione si deve ritenere che tale libertà assoluta valga anche per lart.
33. Se tale limite è escluso dallart. 19 anche per ciò che riguarda i riti
(nonostante questi abbiano unincidenza materiale e immediata sul vivere sociale)
sarebbe assurdo ritenerlo implicitamente ammesso relativamente a un diritto, il cui
esercizio non può mai provocare fenomeni analoghi o comunque paragonabili a quelli propri
della celebrazione di riti religiosi. A dire il vero tale
argomentazione presta il fianco a molte critiche. Non è detto che lampiezza
riconosciuta alla libertà di religione valga altrettanto per la libertà di ricerca,
considerando anche il fatto che il bene tutelato è ben differente; lidea che
lesercizio di un culto possa generare pericoli maggiori della ricerca scientifica
pare essere il frutto di un pregiudizio piuttosto che una valida ragione giuridica. Si
ritiene, invece, che lassolutezza della norma in questione possa essere derivata da
due ragioni, luna di diritto interno, laltra di diritto internazionale. Per
ciò che concerne il nostro ordinamento i diritti sanciti nella parte prima della
Costituzione introducono diritti assoluti dellindividuo nei suoi rapporti con la
società, tanto fondamentali che una loro qualsiasi arbitraria restrizione renderebbe la
forma dello Stato differente da quella che i Costituenti fin dallinizio vollero
fondare. Vi è un corpus di diritti e libertà minimo, infatti, senza il quale non è
possibile più parlare di Stato repubblicano. In altre parole se non vi fossero delle
sfere di libertà, in seno a cui ciascun individuo abbia la possibilità di sviluppare la
propria istanza sociale, difficilmente si potrà parlare di una costituzione repubblicana.
Di conseguenza e in combinato disposto con lart. 139 della Costituzione, solo una
previsione normativa di rango costituzionale potrà eventualmente introdurre limiti a tali
articoli. Il limite del buon costume è espressamente previsto dallarticolo 21, con
la conseguenza che tale vincolo vige in relazione alla libertà di pensiero. Nulla,
invece, viene sancito nellarticolo in parola. Senza una previsione esplicita nessuna
legge ordinaria potrà introdurre limiti alla libertà artistica e scientifica senza
incorrere nel pericolo di una pronuncia dincostituzionalità.
Nemmeno
sul piano del diritto internazionale, proprio grazie larticolo 2 della Costituzione,
si può giungere alle medesime conclusioni.
Sancisce,
infatti, larticolo 15, comma 3 del Patto internazionale relativo ai diritti
economici, sociali e culturali del 19 dicembre 1966: Gli Stati parte
del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà indispensabile per la ricerca
scientifica e lattività creativa. Il patto non prevede alcun
limite.
Queste
norme, almeno per la dottrina prevalente, rientrano nella nozione di ius cogens e, in
quanto tali, non derogabili nemmeno da un trattato internazionale. Lart. 53 della
Convenzione di Vienna si esprime in questi termini: «è nullo ogni trattato che, al
momento della sua conclusione, è in contrasto con una norma imperativa del diritto
internazionale generale.» In altre parole se è contrario allo ius cogens. Se si ammette
che vi sono delle norme di ius cogens, si ammette implicitamente che vi sia un limite
generale alla libertà di formare trattati. La teoria di uno ius cogens non è pacifica e
la prassi internazionale sembra continuamente smentire un limite alla sovranità degli
Stati tanto importante. Si comprende, pertanto, per quale ragione è difficile introdurre
nella prassi internazionale un tale principio. In ogni caso secondo la dottrina ed in
alcuni casi la giurisprudenza ritengono rientranti nella nozione di ius cogens per esempio
la Dichiarazione Universale dei diritti delluomo (1948) e i patti relativi. Da ciò
lassenza dei limiti.
Differente
discorso deve essere seguito per il diritto alla privacy. Questultima è
espressamente tutelata dallart. 12 della Dichiarazione Uneversale dei diritti
delluomo e dallart. 8 della Convenzione europea. Non possono,
conseguentemente, sorgere dubbi sulla costituzionalità del decreto in oggetto.
Il
decreto, che in realtà modifica atti legislativi attualmente vigenti, regola
specificamente il trattamento di dati personali, quando vengono utilizzati: per
scopi storici, di ricerca scientifica e di statistica in conformità alle leggi, ai
regolamenti, alla normativa comunitaria e ai codici di deontologia e di buona condotta
[
] (art. 2 decreto legislativo citato, modifica dellart. 7, comma 5bis
l. 675\96). La medesima norma prevede lobbligo di notifica in forma semplificata al
Garante del trattamento di dati personali, se finalizzato a scopi di ricerca.
Precisamente, ai sensi della medesima norma, ciò significa che la notifica dovrà
contenere:
a)
il nome, la denominazione o la ragione sociale e il domicilio, la residenza o la sede del
titolare;
b)
l'ambito di comunicazione e di diffusione dei dati;
c)
una descrizione generale che permetta di valutare l'adeguatezza delle misure tecniche ed
organizzative adottate per la sicurezza dei dati;
d)
il nome, la denominazione o la ragione sociale e il domicilio, la residenza o la sede del
responsabile; in mancanza di tale indicazione si considera responsabile il notificante;
e)
la qualità e la legittimazione del notificante.
Viene,
invece, esclusa la notifica, quando:
è
compreso nel programma statistico nazionale o in atti di programmazione statistica
previsti dalla legge ed è effettuato in conformità alle leggi, ai regolamenti, alla
normativa comunitaria e ai codici di deontologia e di buona condotta [
]
Il
decreto differenzia nettamente tra dati utilizzati per fini di ricerca storica (artt. 7
9) e dati utili allanalisi statistica (artt. 10 12).
Per
quanto concerne la ricerca storica vengono introdotti due importanti principi. Il primo
comma dellart. 7 stabilisce che i dati comunque assunti non possono essere usati per
formare atti o provvedimenti amministrativi sfavorevoli allinteressato .
La
ratio della norma può essere ravvisata sotto un duplice aspetto. Con lentrata in
vigore della l. 241\90 non si è introdotto solo il fondamentale principio della
trasparenza amministrativa, ma per la prima volta, almeno nellordinamento italiano,
si è formalizzato il procedimento che la pubblica amministrazione deve seguire per dare
vita a un atto o provvedimento amministrativo. Di conseguenza, affinché i pubblici poteri
agiscano in modo legittimo, è indispensabile che seguano stricto sensu ogni fase
stabilita dalla legge.
Un
provvedimento amministrativo non può certo derivare da informazioni assunte senza le
dovute garanzie per il cittadino. Un documento archivistico può rivestire
unimportanza notevole per lo storico, che è interessato a ricostruire esattamente
il passato, ma è chiaro che le notizie tratte da tale documentazione non possono essere
usate per fondare provvedimenti sfavorevoli allinteressato. Quando, infatti, lo
storico svolge una ricerca, si dedica a unattività meramente cognitiva. Il suo modo
di procedere si ispira solo alla voglia di conoscere e, pertanto, il trattamento della
fonti, in cui possono essere ben contenuti dati storici, non può essere vincolato da
complesse procedure amministrative. Lunico vincolo introdotto da questa normativa è
la tutela della privacy. Nellipotesi, al contrario, che una qualsiasi autorità
pubblica voglia utilizzare simili dati per i propri fini istituzionali, dovrà seguire le
procedure previste, le sole che possono garantire la certezza dellazione
amministrativa, che è realtà ben diversa dalla certezza storica.
Daltra
parte il principio tutela in sommo grado lindipendenza della ricerca storica. Si
impedisce che lo storico possa essere utilizzato, magari suo malgrado, per finalità
diverse dalla ricerca. Al fine di garantire che lattività di ricerca storica possa
essere utilizzata solo per scopi cognitivi la legge rende inutilizzabili le informazioni
per fini differenti dalla conoscenza storica.
Ciò
significa in termini costituzionali che il comma in questione non è altro che la
necessaria conseguenza del primo comma dellart. 33 della Costituzione. Il comma
successivo del decreto introduce un ulteriore sottolineatura del precedente concetto,
sancendo che i documenti possono essere utilizzati solo nel caso siano pertinenti e
indispensabili alla ricerca storica . Tale espressione può forse
generare alcuni dubbi.
Che
cosa si deve considerare indispensabile? Non è vero che, in fondo, qualsiasi documento
può essere altrettanto indispensabile ovvero inutile a seconda dei criteri difficilmente
definibili prima della ricerca? Inoltre chi stabilisce che un certo documento è
indispensabile?
Tuttavia,
inseriti i due aggettivi nella globalità della norma, il significato è chiaro. Il comma
aggiunge, infatti, che bisogna tenere conto della natura dei documenti. La pertinenza e
lindispensabilità deve essere valutata in rapporto alla natura storica della
documentazione. Per esempio una mera lettera di trasmissione, dove sono contenuti dati
personali, può apparire inutilizzabile, in quanto non indispensabile, ma questa
documentazione diventa fondamentale in relazione ad una ricerca sulla prassi
amministrativa. Ciò significa che il carattere di indispensabilità ovvero di pertinenza
è offerto dalla ricerca stessa.
Il
significato della norma è metagiuridico, nel senso che a stabilire la natura di
indispensabilità e pertinenza è la scienza storica stessa.
A
suffragio di tale interpretazione basti considerare che, ai sensi dellart. 8, comma
secondo, lettera b) del decreto, che modifica lart. 21, secondo comma DPR 30
9 1963 n. 1409 stesso, la consultabilità dei documenti riservati, è ammessa
proprio previo parere del direttore dellarchivio, in quale, in quanto esperto,
dovrà tenere conto della ricerca proposta, della documentazione disponibile etc .
Il
secondo principio in tema di utilizzo di dati per la ricerca storica viene sancito dal
terzo comma dellanalizzando art. 7 del decreto . I dati possono essere
diffusi sia quando è lo stesso interessato che li ha resi pubblici sia quando riguardino
comportamenti che si svolgano in pubblico. In questa seconda ipotesi si introduce una
nuova forma di autorizzazione alla diffusione di dati personali: il consenso implicito.
Qualora il comportamento si svolga in un luogo pubblico è evidente che sia lo stesso
interessato a dimostrare il proprio consenso alla diffusione delle informazioni deducibili
dal comportamento medesimo. In ogni caso si ritiene necessario che linteressato sia
consapevole o, per lo meno, avrebbe dovuto esserlo con la comune diligenza, di trovarsi in
un luogo pubblico. Laula del tribunale, per esempio, salvo lipotesi in cui il
processo si svolga a porte chiuse, è un tipico luogo pubblico e tutti possono sapere che
tutto ciò che vi ci svolge. Del resto il processo penale in una democrazia, salvo le
eccezioni stabilite espressamente dalla legge, è un evento pubblico e conseguentemente
tutto ciò che avviene in aula è necessariamente pubblico.
Peraltro
il concetto di pubblico riguarda anche la documentazione. In tutti gli
ordinamenti democratici esistono degli atti che fin dalla loro nascita sono pubblici, con
la conseguenza che tutto ciò che in esso è contenuto non può essere ritenuto riservato.
Non può essere esclusa dalla libera consultazione una sentenza, proprio perché tale
provvedimento giudiziario è pubblico.
Analoghe
considerazioni valgono per una delibera comunale che, salvo rare eccezioni, deve essere
affissa allalbo pretorio fin dal momento della propria nascita proprio per
permettere unampia partecipazione della collettività allazione politica,
quando ha diretti riflessi in seno alla comunità. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma
in questa sede bisogna sottolineare solo il fatto che la nozione di pubblico deve essere
intesa in senso ampio.
Il
decreto ha, inoltre, apportato importanti emendamenti allart. 21 del DPR 30 9
1963 n. 1409 in merito ai termini, entro cui i documenti amministrativi non sono
liberamente consultabili. I tempi sono stati semplificati. In seguito alla riforma tutti i
documenti sono consultabili dopo 40 anni dopo la data dei documenti .
Il termine diventa di settantanni nel caso i dati riguardino lo stato di salute, la
vita sessuale o fatti riservati familiari.
Purtroppo
i termini non sono inderogabili. Per scopi di ricerca storica è possibile inoltrare
istanza a un apposita commissione, che si riunisce presso il Ministero dellInterno,
la quale, previo parere del direttore dellArchivio, potrà concedere a determinate
condizioni laccesso agli atti riservati. Tuttavia anche dopo che la commissione ha
eventualmente rilasciato la prevista autorizzazione, gli atti mantengono la natura di
riservati (art. 9 primo comma, punto primo, che introduce lart. 21 bis al DPR
1409\63). Tuttavia, per fini storici, i documenti conservati negli archivi di Stato sono
consultabili, essendo la seconda parte dellarticolo citato superato dallart.
23 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135, che ha ritenuto di
rilevante interesse pubblico tutti i documenti versati negli Archivi .
Non
si tratta di una modifica di scarso rilievo, anche se, considerato il tenore del novellato
articolo, sarebbe stato molto più coerente sul piano della tecnica legislativa, rendere i
termini inderogabili. E significativa lintroduzione esplicita della
possibilità riconosciuta a chiunque abbia un interesse, ai sensi dellart. 13 della
l.675\96, di bloccare la diffusione di tutti quei dati che possono essere dannosi per la
propria dignità, riservatezza o identità personale, salvo che ciò costituisca un
rilevante interesse pubblico .
La
possibilità di derogare ai termini, invece, introduce un elemento di incertezza, che
difficilmente potrà sfuggire a tratti di eccessiva discrezionalità nellutilizzo di
un diritto della personalità, che esclude ontologicamente elementi manipolabili da
pubblici poteri. In questo modo, invece, si è conferito agli atti darchivio il
carattere di atti riservati fino ad avvenuta autorizzazione. Se, al contrario, la privacy
è diritto della personalità in senso pieno, è evidente che la sua tutela non può
trovare alcuna deroga su concessione di una qualsiasi autorità né politica, né
scientifica o di altra natura. Non bisogna dimenticare che i diritti della personalità,
secondo la sopra citata teoria dello ius cogens, non sono concessi dagli stati, ma
semplicemente riconosciuti con la conseguenza che tali diritti appartengono in re ipsa
esclusivamente alla persona. Pertanto è evidente che nessuna autorità può concedere un
diritto che non gli appartiene. Un ulteriore elemento di incertezza è stato introdotto
con lentrata in vigore del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135,
secondo cui, ai sensi dellart. 23, tutti i documenti conservati negli archivi di
Stato sono di rilevante interesse pubblico . Linterpretazione
che pare più in armonia allintero ordinamento è che la facoltà, di cui
allart. 13 l. 675\96, non è applicabile alla documentazione archivistica quando
questa è utilizzata per fini storici, mentre è vigente quando listanza di accesso
è inoltrata per scopi amministrativi .
Si
ritiene, comunque, che lautorizzazione prevista debba essere abolita, introducendo
termini, anche più brevi, ma assolutamente inderogabili. Ne risulterebbe un ottimo
servizio al principio della certezza del diritto.
Il
decreto si occupa anche della ricerca statistica e della ricerca scientifica in genere.
Per tutti questi scopi rientrano nelle previsioni del decreto solo quei dati singoli o la
combinazione di dati che rendono identificabile una persona. Lindicazione della
semplice età in un formulario anonimo non è evidentemente dato personale, in quanto tale
informazione non rende possibile lidentificazione della persona, ma la combinazione
con nome e cognome comporta ipso facto la formazione di una vera e propria banca dati. Per
il resto valgono le medesime considerazioni appena scritte.
Il testo esatto è: I dati personali raccolti per scopi storici non possono essere
utilizzati per adottare atti o provvedimenti amministrativi sfavorevoli all'interessato
[
]
ossia: I documenti trattati per scopi storici possono essere utilizzati, tenendo
conto della loro natura, solo se pertinenti e indispensabili per il perseguimento dei
predetti scopi. I dati personali possono essere diffusi solo se parimenti utilizzati per
il perseguimento dei medesimi scopi.
Larticolo 21 secondo comma DPR 1409\63 riformato sancisce: Il Ministro
dell'interno, previo parere del direttore dell'Archivio di Stato competente e udita la
commissione per le questioni inerenti alla consultabilità degli atti di archivio
riservati istituita presso il Ministero dell'interno, può permettere, se necessario per
scopi storici, la consultazione di documenti di carattere riservato anche prima della
scadenza dei termini indicati nel comma precedente. In tal caso l'autorizzazione è
rilasciata, a parità di condizioni, ad ogni altro richiedente.
ossia: I dati personali possono essere comunque diffusi qualora siano relativi a
circostanze fatti resi noti direttamente dall'interessato o attraverso i suoi
comportamenti in pubblico.
Il testo esattamente sancisce: [I documenti] diventano liberamente consultabili
quaranta anni dopo la loro data. Il termine è di settanta anni se i dati sono idonei a
rivelare lo stato di salute o la vita sessuale o rapporti riservati di tipo familiare.
Anteriormente al decorso dei termini di cui al presente comma, i documenti restano
accessibili ai sensi della disciplina sull'accesso ai documenti amministrativi;
sull'istanza di accesso provvede l'amministrazione che deteneva il documento prima del
versamento o del deposito.
La norma sancisce: I documenti detenuti presso l'Archivio centrale dello Stato e gli
Archivi di Stato sono conservati e consultabili anche in caso di esercizio dei diritti
dell'interessato ai sensi dell'articolo 13 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, qualora
ciò risulti necessario per scopi storici. Ai documenti è allegata la documentazione
relativa all'esercizio dei diritti. Su richiesta di chiunque vi abbia interesse ai sensi
del medesimo articolo 13, può essere comunque disposto il blocco dei dati personali,
qualora il loro trattamento comporti un concreto pericolo di lesione della dignità, della
riservatezza o dell'identità personale degli interessati e i dati non siano di rilevante
interesse pubblico.
Ossia:
Su richiesta di chiunque vi abbia interesse ai sensi del medesimo articolo 13, può
essere comunque disposto il blocco dei dati personali, qualora il loro trattamento
comporti un concreto pericolo di lesione della dignità, della riservatezza o
dell'identità personale degli interessati e i dati non siano di rilevante interesse
pubblico.
Il testo esatto è: Ai sensi dell'articolo 1, si considerano di rilevante interesse
pubblico i trattamenti di dati a fini storici, di studio, di ricerca e di documentazione,
concernenti la conservazione, l'ordinamento e la comunicazione dei documenti conservati
negli archivi di Stato e negli archivi storici degli enti pubblici, secondo quanto
disposto dal decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, e
successive modificazioni e integrazioni.
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