ESSENISMO, VANGELI, GESÚ.

Prima parte


Al tempo di Gesù il calendario seguito dalla maggioranza degli ebrei era quello lunare, introdotto nella liturgia del tempio verso la fine del I secolo a.C. Un famoso passo rabbinico (Mishnah, Pesahim 6, 1) narra che fu chiesto al fariseo Hillel il Vecchio se fosse più forte la legge del sabato o la legge della Pasqua, perché si era dimenticata la norma. Poiché nel calendario ebraico la Pasqua cade di sabato in media ogni sette anni, è impensabile che nessuno si ricordasse quale era in passato la soluzione al problema. In effetti, è verosimile che il pronunciamento di Hillel fu necessario perché tale calendario era entrato in vigore da poco.

Secondo questo calendario ebraico, un giorno viene computato da sera a sera e la vigilia della Pasqua ebraica cade il 14 del primo mese dell’anno (14 Nisan) e può verificarsi in giorni diversi della settimana. Il computo del giorno da sera a sera viene dedotto da alcuni passi dell’Antico Testamento (Gn 2, 2; Es 12, 18; Lv 23, 5).

Invece, gli esseni, uno dei gruppi giudaici, di cui facevano parte gli abitanti di Qumran, seguivano un altro calendario, solare, in cui il giorno veniva computato da mattina a mattina, l'anno era diviso in quattro parti di 91 giorni (2 mesi di 30 giorni e 1 di 31), il primo giorno del primo mese dell’anno (Nisan) era sempre un mercoledì e dunque il 14 Nisan (vigilia della Pasqua ebraica) cadeva sempre di martedì, mentre la Pentecoste cadeva sempre il quindicesimo giorno del terzo mese, cioè di domenica. Il conteggio del giorno a partire dalla mattina viene anche qui dedotto da alcuni passi della Torah, in particolare Es 12, 6.8.10 e Lv 22, 30. L’uso di contare i giorni a partire dalla mattina è attestato nel Libro dei Giubilei (2, 9), che fa parte del canone per la Chiesa etiopica e di cui sono stati trovati frammenti a Qumran, da Filone Alessandrino (De Opera Mundi 89), da Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche 1, 33) e nel Talmud babilonese (Hulin 83a). Secondo Giuseppe Flavio, gli esseni rivolgevano la loro prima preghiera del giorno al sole nascente (Guerre Giudaiche 2, 128 e 148).

Ciò che si cercherà qui di mostrare è che questo calendario solare esseno era quello seguito da Gesù e dai primi cristiani. L’ipotesi è fondata sul fatto che vi sono tracce dell’uso di questo calendario nei quattro Vangeli canonici e negli Atti degli Apostoli.

Leggiamo in Mt 28, 1: "Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana…". Sembra chiaro che il sabato termina con la domenica mattina; dunque, il computo del giorno inizia la mattina, come per gli esseni.

In Mc 15, 42 leggiamo: "Fattasi ormai sera, poiché era la parasceve, cioè la vigilia del sabato…". La sera fa parte della vigilia del sabato; dunque, il sabato inizia la mattina successiva, come per gli esseni.

Lc 23, 54 afferma, riferendosi alla sepoltura di Gesù, che "era il giorno della preparazione e cominciava a risplendere il sabato". Il verbo usato qui è uguale a quello usato in Mt 28, 1 e indica l’albeggiare. Anche qui, dunque, il sabato inizia con l’alba e il calendario seguito è quello esseno.

Nel Vangelo di Giovanni leggiamo: "La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana…" (Gv 20, 19). Poiché la mattina di quel primo giorno della settimana è già trascorsa (Gv 20, 1), anche l’autore del Vangelo di Giovanni considera la sera come parte successiva del giorno, che dunque inizia la mattina, come per gli esseni.

Accanto al computo del giorno a partire dall’alba, un’altra caratteristica del calendario esseno era, come abbiamo visto, che il 14 Nisan cadeva sempre di martedì. Vi è un passo degli Atti degli Apostoli che conferma che i primi cristiani seguivano questo calendario. Leggiamo in At 20, 6-7: "Noi invece salpammo da Filippi dopo i giorni degli Azzimi e li raggiungemmo in cinque giorni a Troade, dove rimanemmo sette giorni. Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti per spezzare il pane". I giorni degli Azzimi vanno dal 15 al 21 Nisan (Es 12, 15.18; Lv 23, 6; Nm 28, 17). Paolo ha lasciato Filippi dopo il termine della settimana degli Azzimi, cioè il 22 Nisan. Poiché è arrivato a Troade sette giorni prima del primo giorno della settimana, cioè la domenica precedente, e poiché il viaggio è stato di cinque giorni, egli era partito da Filippi il mercoledì precedente. Se il 22 Nisan era un mercoledì, il 14 Nisan era un martedì. Questa osservazione conferma che il calendario degli apostoli e dei primi cristiani era quello esseno di Giubilei.

Un’altra conferma di ciò viene da un passo del Vangelo di Luca. Occorre a questo punto premettere che il testo di Luca-Atti ci è pervenuto in due versioni, quella alessandrina e quella occidentale. Quella alessandrina è attestata dai Codici sinaitico e vaticano, quella occidentale dal Codice di Beza. La maggior parte degli studiosi ritiene primitiva la versione alessandrina, che è quella che leggiamo comunemente. Ma secondo alcuni studiosi la versione primitiva è quella occidentale, più breve, in cui mancano alcuni versetti del testo alessandrino, ma vi sono 800 parole in più e molti più semitismi. In ogni caso, anche gli studiosi che propendono per il testo alessandrino non negano che in alcuni casi il testo originario possa essere quello occidentale. Uno di questi casi è probabilmente Lc 6, 1: "Un giorno di sabato passava attraverso i campi e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, dopo averle sfregate con le mani". Questo è il testo alessandrino. Il testo occidentale aggiunge, dopo "sabato", l’aggettivo "secondo-primo" (deuteroproto). La locuzione "sabato secondo-primo" è comprensibile solo se si fa ricorso al calendario esseno. Infatti, secondo alcuni manoscritti di Qumran (11QT 18-22 e 43; 4QMMTA), il calendario di Giubilei contiene una serie di Pentecoste successive che cadono una domenica ogni sette settimane. Nella prima di esse vengono offerte le primizie del frumento (pane), nella seconda quelle della vite (vino, mosto), nella terza quelle delle olive (olio). L’espressione "sabato secondo-primo" nel citato passo di Luca può significare, poiché si parla evidentemente di spighe mature a giugno, "primo sabato del secondo ciclo di Pentecoste", cioè il sabato seguente la prima Pentecoste, la quale cadeva, come abbiamo visto, il quindicesimo giorno del terzo mese (domenica), e dunque, iniziando il primo mese in prossimità dell’equinozio di primavera, a giugno. Questa spiegazione dell’aggettivo "secondo-primo" è avanzata da E. Nodet e J. Taylor nel libro "Le origini del cristianesimo", Piemme, 2000, ed. orig. 1998, a pag. 49-50. Poiché questa variante del testo occidentale di Luca può essere compresa solo all’interno dell’essenismo, dev’essere ritenuta primitiva, essendo improbabile che sia stata aggiunta: è molto più probabile che sia stata tolta nel momento in cui il calendario esseno è stato abbandonato.

Abbiamo visto in questa prima parte come vi siano tracce nei quattro Vangeli e negli Atti del fatto che i primi cristiani, e comunque le comunità al cui interno sono nati questi testi, seguivano il calendario esseno, anche se ciò non è evidente. Ciò porta subito a chiedersi se anche Gesù seguiva il calendario esseno. Si può tentare di rispondere a questa domanda attraverso un’indagine sulla cronologia della passione e sull’ultima cena. Secondo la famosa ipotesi della Jaubert (1954), ritenuta incontestabile da Paolo Sacchi (in "Gesù e la comunità di Qumran", a cura di J. H. Charleswort, Piemme, 1997, ed. orig. 1992, pag. 156) e sostenuta in rete da Paolo Vanoli e da Sabato Scala, l’ultima cena è avvenuta di martedì, 14 Nisan esseno. Nella seconda parte si esamineranno i dati desumibili dai Vangeli canonici, dal Vangelo apocrifo di Pietro e dai testi rabbinici sull’ultima cena e sulla cronologia della passione a sostegno dell’ipotesi che Gesù seguiva il calendario esseno.


Seconda Parte

Abbiamo visto nella prima parte come nei Vangeli e negli Atti vi siano tracce del fatto che i primi cristiani seguivano il calendario esseno e non quello ebraico, seguito all’epoca dalla maggioranza dei giudei.

Esamineremo ora i dati relativi alla cronologia della passione e all’ultima cena, per cercare di capire se confermano che anche Gesù seguiva il calendario esseno.

Vediamo alcuni dati desumibili dai Vangeli canonici.

Secondo il Vangelo di Giovanni, l’ultima cena avviene prima della festa di Pasqua, di sera (Gv 13, 1.30).

Secondo tutti e quattro i Vangeli, la crocifissione e morte di Gesù avvengono il giorno della parasceve (Mt 27, 62; Mc 15, 42; Lc 23, 54; Gv 19, 14.31.42).

Secondo tutti e quattro i Vangeli, la risurrezione è scoperta la mattina del primo giorno della settimana (Mt 28, 1-6; Mc 16, 1-6; Lc 24, 1-6; Gv 20, 1).

La morte di Gesù non può essere avvenuta il 15 Nisan del calendario ebraico alle tre di pomeriggio, per diversi motivi. In questo giorno si doveva osservare il riposo (Lv 23, 7; Nm 28, 18), mentre al mattino i sacerdoti e gli anziani si riuniscono e vanno da Pilato (Mt 27, 1-2; Mc 15, 1-2; Lc 22, 66-23, 1; Gv 18, 28-29) e Simone di Cirene torna dai campi (Mc 15, 21; Lc 23, 26). Inoltre, in Gv 18, 28 leggiamo che i sacerdoti e i farisei "non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua". È chiaro che devono ancora mangiare la Pasqua, il che avviene la sera del 14 Nisan, e quindi quella mattina, che precede il pomeriggio della morte di Gesù, non poteva essere il 15 Nisan del calendario ebraico. Ancora un motivo a conferma che la morte di Gesù non può essere avvenuta il 15 Nisan ebraico è fornito da una considerazione sull’usanza di liberare un prigioniero in occasione della festa, di cui parlano tutti e quattro i Vangeli (Mt 27, 15; Mc 15, 6; Lc 23, 18; Gv 18, 39). Questa usanza ha senso se il prigioniero liberato può mangiare la Pasqua; poiché questo prigioniero (Barabba) viene liberato da Pilato il giorno della morte di Gesù, in quel momento la sera del 14 Nisan ebraico, in cui iniziava il 15 Nisan, non era già trascorsa.

Anche nell’apocrifo Vangelo di Pietro (2, 5) Gesù muore prima dell’inizio della Pasqua ebraica, cioè prima dell’inizio del 15 Nisan ebraico. E anche secondo il giudaismo rabbinico (Talmud babilonese, Sanhedrin 43a), Gesù "fu appeso la vigilia di Pasqua".

Messi insieme questi dati, l’unica soluzione compatibile con tutti è che la crocifissione e morte di Gesù avvennero il 14 Nisan del calendario ebraico.

Questa soluzione ha un problema. E non è quello di Giuseppe di Arimatea che, dopo il tramonto, all’inizio del 15 Nisan ebraico, cioè quando era prescritto il riposo, chiede a Pilato il corpo di Gesù, lo prepara per la sepoltura e lo depone nel sepolcro (Mt 27, 57-60; Mc 15, 42-46; Lc 23, 50-53; Gv 19, 38-42), perché il suo comportamento può spiegarsi sulla base di Dt 21, 22-23, secondo cui il corpo di un "appeso" doveva essere seppellito la stessa sera. E inoltre, in Gv 19, 31 leggiamo che per i giudei i corpi non potevano rimanere sulla croce di sabato. Il problema, invece, è costituito dal passo di Mt 27, 62-66, in cui, il giorno dopo quello della morte di Gesù, i sommi sacerdoti e i farisei si recano da Pilato per chiedergli di custodire la tomba e poi vanno al sepolcro, sigillando la pietra. Se Gesù è morto il 14 Nisan ebraico, siamo in pieno 15 Nisan e doveva essere osservato il riposo. Le soluzioni possibili mi sembrano due: o Gesù è morto il 13 Nisan ebraico, ma non c’è alcun dato biblico per sostenere ciò; oppure l’episodio narrato in Mt 27, 62-66, che non si trova in nessuno degli altri tre Vangeli, è un’aggiunta fatta all’originale Matteo ebraico, che non lo conteneva, con lo scopo di avvalorare la risurrezione parlando della pietra sigillata e con la guardia. Del resto, ciò che Pilato risponde ai sacerdoti e ai farisei, "avete la vostra guardia" (Mt 27, 65) contraddice Mt 28, 11-15, dove si parla invece di soldati romani che sarebbero stati a guardia del sepolcro. È dunque possibile che anche Mt 28, 11-15 sia un’aggiunta posteriore, visto anche che né il Vangelo di Marco, né quello di Luca, né quello di Giovanni fanno cenno alcuno a guardie giudee o a soldati romani dopo la sepoltura di Gesù.

Se la crocifissione di Gesù è avvenuta il 14 Nisan del calendario ebraico, l’ultima cena, che precede la crocifissione di almeno un giorno, non può essere avvenuta il 14 Nisan ebraico. E ci sono diversi altri motivi per i quali l’ultima cena non può essere avvenuta il 14 Nisan ebraico. Se fosse così, Gesù sarebbe stato arrestato la notte del 14 Nisan ebraico, che farebbe già parte, per il computo del giorno ebraico, del 15 Nisan, cioè della festa, durante la quale non si può violare il riposo (Lv 23, 7; Nm 28, 18), e non si spiegherebbe come mai una folla di giudei si rechi ad arrestarlo (Mt 26, 47; Mc 14, 43; Lc 22, 47, Gv 18, 3). Del resto, i sommi sacerdoti e gli scribi avevano detto: "Non durante la festa" (Mt 26, 5; Mc 14, 2). Inoltre, secondo il Vangelo di Giovanni, la cena è avvenuta "prima della festa di Pasqua" (Gv 13, 1).

L’ultima cena deve dunque collocarsi al 13 Nisan del calendario ebraico, o prima. Eppure, secondo i Vangeli, l’ultima cena fu una cena pasquale, per diversi motivi. I discepoli chiesero dove dovevano preparare la Pasqua (Mt 26, 17; Mc 14, 12; Lc 22, 7-9). Alla fine del pasto furono cantati inni (Mt 26, 30; Mc 14, 26), segno di festa: secondo la Mishnah (Pesahim 10, 7) e Filone Alessandrino (De Specialibus Legibus 2, 148), un inno chiudeva il pasto pasquale. In Gv 13, 29, dopo che Gesù congeda Giuda, alcuni pensano che lo mandi a fare compere dell’ultimo minuto per la festa; tale urgenza ha senso se si è nella vigilia della Pasqua.

A questo punto tre sono le ipotesi possibili sui giorni della settimana in cui sono avvenute l’ultima cena e la crocifissione: 1) l’ultima cena è avvenuta il giovedì e la crocifissione il venerdì: l’ultima cena è stata anticipata da Gesù al 13 Nisan ebraico, perché quell’anno il 14 Nisan cadeva di venerdì e dunque la sera del 14, in cui immolare l’agnello secondo Es 12, 6, era già sabato, giorno di riposo; 2) l’ultima cena è stata celebrata da Gesù il 14 Nisan esseno, cioè martedì, e la crocifissione è avvenuta il mercoledì; 3) l’ultima cena è avvenuta martedì, 14 Nisan esseno, e la crocifissione è avvenuta venerdì, 14 Nisan ebraico.

A favore della prima soluzione, o della terza, sembra essere il fatto che in tutti e quattro i Vangeli il giorno seguente la morte di Gesù è indicato come sabato (Mt 28, 1; Mc 16, 1; Lc 24, 1; Gv 19, 31). Ma è da considerare il fatto che i farisei, a differenza dei sadducei, consideravano come sabato il 15 Nisan, qualunque giorno della settimana fosse. L’identificazione del 15 Nisan come sabato era dedotta, da Lv 23, 11.15: "Egli presenterà il covone davanti al Signore, affinchè voi siate graditi; il sacerdote lo presenterà l’indomani del sabato. […] Dal giorno dopo il sabato, cioè dal giorno in cui avrete portato il covone della presentazione…". Secondo il Talmud babilonese (Menahot 65a), Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche 3, 250) e Filone Alessandrino (De Specialibus Legibus 2, 162), la presentazione del covone avveniva il 16 Nisan e il 15 Nisan era sabato. Inoltre, poiché il 15 Nisan è la festa che commemora l’uscita degli ebrei dall’Egitto (Es 12, 17; Dt 16, 1-2), l’identificazione del 15 Nisan con il sabato è chiara in Dt 5, 15: "Ricorda che sei stato servo nella terra d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano forte e braccio steso; perciò il Signore tuo Dio ti ha ordinato di celebrare il giorno del sabato". Tutto questo, dunque, non esclude la seconda ipotesi.

In questa seconda ipotesi l’ultima cena è avvenuta il 14 Nisan del calendario esseno, martedì, e la morte di Gesù è avvenuta il 15 Nisan del calendario esseno (in cui un giorno andava da mattina a mattina), cioè mercoledì alle tre di pomeriggio. Tale ipotesi è compatibile con i dati desunti dai Vangeli solo se nell’anno della morte di Gesù al tramonto del martedì iniziava il 14 Nisan ebraico, che finiva al tramonto del mercoledì, cioè dopo la morte di Gesù. E dunque quest’ultima avviene il giorno della parasceve e la mattina di questo giorno per i farisei si era ancora al 14 Nisan (fino al tramonto) e non vigeva la prescrizione del riposo.

A favore dell’ipotesi che l’ultima cena avvenne il 14 Nisan del calendario esseno, cioè il martedì, c’è una considerazione sul dato, presente in tutti e tre i sinottici, che l’ultima cena avviene nel primo giorno degli Azzimi (Mt 26, 17; Mc 14, 12; Lc 22, 7). Secondo Lv 23, 6 e Nm 28, 17, il primo giorno della settimana degli Azzimi, in cui gli ebrei dovevano mangiare pane non lievitato, inizia il 15 Nisan. Ma vi è una tradizione secondo cui il 14 Nisan si può considerare come il primo giorno degli Azzimi. Questa tradizione nasce da Es 12, 18: "Il giorno quattordici del mese, alla sera, voi mangerete Azzimi fino al 21 del mese, alla sera". Se si adotta un calendario solare, il 14 Nisan è il primo giorno degli Azzimi, perché la sera di questo giorno si deve iniziare a mangiare pane non lievitato. Così gli Azzimi, includendo il 14, durerebbero otto giorni. E in effetti, secondo Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche 2, 317), gli Azzimi durano otto giorni. E anche secondo una tradizione rabbinica (Mishnah, Pesahim 4, 5), per i galilei, ma non per i giudei, il 14 Nisan iniziava la festa. È da notare, inoltre, come sia Mc 14, 1 che Lc 22, 1 associno la Pasqua agli Azzimi. Dunque, il primo giorno degli Azzimi, di cui parlano i sinottici come giorno in cui avvenne l’ultima cena, deve essere identificato col 14 Nisan del calendario esseno, perché non può essere identificato né, come abbiamo visto, col 14 Nisan del calendario ebraico, né col 13 Nisan ebraico, dato che secondo tutti i dati della Torah il primo giorno degli Azzimi inizia il 14 (Es 12, 18) o il 15 (Lv 23, 6; Nm 28, 17).

Altri elementi a favore dell’ipotesi che l’ultima cena fu celebrata il 14 Nisan esseno attengono al rito. Anche nei pasti messianici degli esseni, come nella cena festiva ebraica, c’era la benedizione del pane e del vino (1QS 4, 6s.; 6, 4-5; 1QSa 2, 11-22). Gli esseni, inoltre, ritenevano le loro azioni una "nuova alleanza" (CD 6, 19; 8, 21; 19, 33-34; 20, 12) ed entrare nella loro comunità era entrare nell’alleanza (1QS 1, 16.18.20.24; 2, 10). Gesù parla nell’ultima cena di "sangue dell’alleanza" (Mt 26, 28; Mc 14, 24) e di "nuova alleanza nel mio sangue" (Lc 22, 20; 1 Cor 11, 25).

Un ultimo elemento a favore dell’ipotesi è l’esistenza di un particolare gruppo di giudei, membri di una fraternità (habura), individuato in alcuni testi rabbinici, e in particolare nella Mishnah (MHag 2, 6s.), nel Talmud babilonese (BBer 47b), nella Tosefta (TDem 2, 2s.). I componenti di tale gruppo (haberim) mangiano solo in condizioni di purità levitica, anche se non sono sacerdoti. In questo "pasto di precetto" (haburat miswa) è obbligatorio lavarsi le mani se c’è del pane (BBer 50b) e la tavola viene assimilata all’altare (BBer 54b-55a). Gli haberim vanno identificati con gli esseni, o comunque li comprendono, anche perché per entrare nell’habura occorreva, come a Qumran (1QS 6, 13-23), un periodo di prova e poi un giuramento (Saul Liebermann, "Tosefta kifshutah; A Comprensive Commentary on the Tosefta", The Jewish Theological Seminary of America, 8 voll., New York, 1955-1973, 1, 210s.). Poiché nell’ultima cena è usato il pane anzicchè l’agnello e poiché da Gv 13, 10 si può dedurre che i partecipanti all’ultima cena si erano lavati e si trovavano in uno stato di purità levitica, tutto ciò indica un’ulteriore somiglianza dell’ultima cena con il rito esseno.

Se l’ultima cena è avvenuta il martedì, 14 Nisan del calendario esseno, rimane da capire se la crocifissione è avvenuta il giorno successivo, mercoledì, oppure il venerdì. Abbiamo già visto come entrambi i giorni possano corrispondere al 14 Nisan del calendario ebraico.

Alcuni studiosi, ritenendo ben fondata la collocazione dell’ultima cena il martedì 14 Nisan esseno, hanno tentato di inserire due giorni (mercoledì e giovedì) tra l’ultima cena e la crocifissione. È la terza ipotesi di cui sopra (sostenuta dalla Jaubert, da Daniélou, da Sacchi e da diversi altri). In effetti, tra l’ultima cena e la crocifissione, tutti e quattro i Vangeli collocano in modo concorde nove episodi narrati in successione: predizione del rinnegamento di Pietro (Mt 26, 31-35; Mc 14, 27-31; Lc 22, 31-34; Gv 13, 36-38); preghiera al Getsemani (Mt 26, 36-46; Mc 14, 32-42; Lc 22, 39-46; cfr. Gv 17, 1-26); arresto di Gesù (Mt 26, 47-56; Mc 14, 43-50; Lc 22, 47-53; Gv 18, 1-12); riunione del Sinedrio (Mt 26, 57-68; Mc 14, 53-65; Lc 22, 54.66-71; Gv 18, 19-24); rinnegamento di Pietro, la notte (Mt 26, 69-75; Mc 14, 66-72; Lc 22, 55-62; Gv 18, 17-18.25-27); riunione del Sinedrio l’indomani (Mt 27, 1; Mc 15, 1; Lc 23, 1; Gv 18, 28); consegna a Pilato (Mt 27, 2; Mc 15, 1; Lc 23, 1; Gv 18, 28); interrogatorio davanti a Pilato (Mt 27, 11-14; Mc 15, 2-5; Lc 23, 2-7; Gv 18, 29-38); discussione coi giudei e liberazione di Barabba (Mt 27, 15-26; Mc 15, 6-15; Lc 23, 13-25; Gv 18, 39-19, 16). È possibile una dislocazione temporale di questi nove episodi in successione tra la notte del martedì, il mercoledì, il giovedì e la mattina del venerdì. Tuttavia, poiché vi è un solo punto in cui si parla esplicitamente di un passaggio da un giorno a un altro (Mt 27, 1; Mc 15, 1; Lc 23, 1; Gv 18, 28), l’ipotesi che tutto si sia svolto tra martedì notte e mercoledì mattina, e che quindi la crocifissione sia avvenuta il mercoledì, non si può escludere.

Un ultimo dato biblico che porta a non potere escludere l’ipotesi che Gesù sia morto il mercoledì è la sua profezia che sarebbe rimasto tre giorni e tre notti nel cuore della terra (Mt 12, 40). Se Gesù è stato sepolto il venerdì ed è risorto la domenica, poiché l’usanza ebraica considera come un giorno anche una sua parte, egli è risorto "il terzo giorno" (Mt 16, 21; 17, 23; 20, 19; Lc 9, 22; 18, 33; 24, 7.46; At 10, 40) o "dopo tre giorni" (Mt 27, 63; Mc 8, 31; 9, 31; 10, 34). Se invece Gesù ha fatto realmente la profezia di Mt 12, 40 e se è stato sepolto venerdì ed è risorto domenica, la sua profezia non sembra essersi avverata, perché, anche se sono passati tre giorni, non sembrano essere passate tre notti. Se è stato sepolto la sera del mercoledì (Mt 27, 60; Mc 15, 42; Lc 23, 54) ed è risorto la sera del sabato, la profezia di Mt 12, 40 pare essersi avverata, perché ha trascorso nel cuore della terra tre notti (mercoledì, giovedì e venerdì) e tre giorni (giovedì, venerdì e sabato).

La profezia di Mt 12, 40 richiama espressamente un passo dell’Antico Testamento, dove si narra che Giona rimase nel ventre del pesce per tre giorni e tre notti (Gio 2, 1). Anche in Mt 16, 4 e in Lc 11, 29 Gesù parla del segno di Giona come l’unico segno che sarà dato a questa generazione malvagia. Ma è da notare che in Marco, nel passo parallelo a Matteo, Gesù afferma che non sarà dato alcun segno a questa generazione (Mc 8, 12). E inoltre, nel Vangelo di Giovanni non si parla di nessun segno di Giona. Poiché Mt 12, 38-39 e Mc 8, 11-12 sono passi paralleli, o Marco ha modificato Matteo, o Matteo ha modificato Marco, aggiungendo anche il versetto 40. Se si dimostrasse che la comunità che ha prodotto Matteo, o almeno la sua redazione finale, piena di continui richiami all’Antico Testamento (Matteo è il Vangelo che più degli altri tende a sottolineare la tesi del compimento delle Scritture), ha messo in bocca a Gesù una profezia (tre notti) che egli non ha fatto, e che Luca sul segno di Giona ha copiato da Matteo, il problema sarebbe superato. Rimarrebbe il problema di una non corrispondenza alla verità storica in una narrazione di Matteo. Ma d’altronde, nel caso contrario rimarrebbe il problema di una non corrispondenza alla verità storica in una narrazione di Marco. Del resto, è da ricordare che secondo Dt 18, 20 chi proferisce una profezia che non viene da Dio morirà e secondo Dt 18, 22 quando una profezia non si compie essa non viene da Dio, ma dalla presunzione.

Vi è, inoltre, un dato biblico che sembra a favore dell’ipotesi del venerdì, e si trova nel Vangelo di Giovanni, che parla di quel sabato successivo alla morte di Gesù come di un sabato "grande" (Gv 19, 31): un sabato, cioè, che era doppiamente festivo, perché contemporaneamente 15 Nisan e sabato come giorno della settimana. Questo dato del Vangelo di Giovanni sembra compatibile sia con la prima ipotesi (ultima cena giovedì e crocifissione venerdì), sia con la terza (ultima cena martedì e crocifissione venerdì).

La terza ipotesi è compatibile, infine, con l’apparente contrasto tra i sinottici e Giovanni relativo all’episodio dell’unzione di Betania. Secondo Matteo e Marco l’episodio è avvenuto due giorni prima della Pasqua (Mt 26, 2; Mc 14, 1), secondo Giovanni è avvenuto sei giorni prima della Pasqua (Gv 12, 1). Se l’episodio si colloca la domenica precedente l’ultima cena, esso è avvenuto due giorni prima del martedì, 14 Nisan e celebrazione della Pasqua essena, e sei giorni prima del venerdì (computando anche la domenica secondo il conteggio ebraico), 14 Nisan e celebrazione della Pasqua ebraica.

In conclusione, la terza ipotesi sembra compatibile con tutti i dati biblici, tranne Mt 12, 40. La seconda ipotesi sembra compatibile con tutti i dati biblici, tranne Gv 12, 1 e Gv 19, 31. La prima ipotesi sembra in contrasto con numerosi dati biblici (Mt 26, 17; Mc 14, 1.12; Lc 22, 1.7; Gv 12, 10) e dunque appare difficilmente sostenibile, anche per le considerazioni fatte relative al rito. Sembra possibile, come abbiamo visto, spiegare perché l’autore del Vangelo di Matteo abbia messo in bocca a Gesù la profezia nella forma di Mt 12, 40. Trovo, invece, difficile spiegare perché l’autore del Vangelo di Giovanni abbia identificato, esplicitamente in Gv 19, 31 e implicitamente in Gv 12, 1, il giorno della morte di Gesù con un venerdì, se essa fosse avvenuta il mercoledì.

Ma la cosa a mio avviso più importante, che vorrei sottolineare in conclusione, non è il sostegno all’ipotesi che l’ultima cena sia avvenuta di martedì anzicchè di giovedì, o la possibilità che la crocifissione e morte di Gesù siano avvenute di mercoledì anzicchè di venerdì. La cosa importante è invece il legame che viene fuori tra Gesù e gli esseni, e poi tra il cristianesimo primitivo e l’essenismo. Anche se per molti aspetti, com’è noto, Gesù e i suoi discepoli erano lontani dagli esseni (norme di purità, chiusura di gruppo, rigidità gerarchica), tuttavia i punti di contatto sono notevoli (concetto di alleanza, credenza nello Spirito Santo, battesimo come segno della conversione, atteggiamento verso il tempio, comunità guidata da un consiglio di dodici, dualismo luce-tenebre, messianismo, importanza della preghiera, messa in comune dei beni). Se a questi aggiungiamo anche che Gesù e i suoi discepoli seguivano il calendario esseno e non quello ebraico ufficiale, che l’ultima cena avvenne il 14 Nisan esseno e che in essa ci sono molti riferimenti al rito esseno, allora non si può dubitare che l’essenismo abbia esercitato una significativa influenza su Gesù e sui primi cristiani. Il fatto che tale influenza sia minimizzata e quasi nascosta negli scritti del Nuovo Testamento, anche se, come abbiamo visto, può essere chiaramente rintracciata, è dovuto, a mio avviso, al fatto che le comunità che hanno prodotto tali testi, in particolare Marco, Luca-Atti e Giovanni, impregnate del paolinismo, per giustificare meglio la missione ai non giudei, hanno cercato di minimizzare il legame originario con i giudei esseni, che non concepivano tale missione (anche se nel Libro dei Giubilei (6, 17), così come nel Libro della Genesi (6, 18 e 9, 9-17), l’alleanza inizia con Noè ed è dunque con tutti gli uomini). Ma il risultato finale di questa operazione universalistica è stato di fatto un universalismo "zoppo", per così dire, perché Israele, la radice, è stato lasciato fuori.

Scoprire una vicinanza piuttosto forte tra cristianesimo delle origini e giudaismo esseno significa, dunque, io credo, ripensare e ricostruire in termini più positivi e meno conflittuali i rapporti tra cristianesimo ed ebraismo. Poiché vi sono studi specialistici che mostrano notevoli punti di contatto dell’essenismo anche con il giudaismo rabbinico (che nasce da una riunione di fraternità dopo il 70 d.C. e adotta il "battesimo dei proseliti", impregnando via via di sé l’intero ebraismo), io credo che riscoprire i rapporti tra essenismo e cristianesimo possa aiutare oggi il dialogo interreligioso, nella misura in cui anche il giudaismo rabbinico riscopre i suoi rapporti con l’essenismo. Lo stesso discorso vale per i rapporti tra giudeo-cristianesimo, paolinismo e rabbinismo. Dal punto di vista cristiano questo non significa, io credo, allontanarsi da Gesù, ma al contrario avvicinarsi a lui, che i Vangeli presentano, soprattutto nel valore simbolico dei dodici dell’ultima cena, come chi concepisce la sua missione e il suo sacrificio per tutto Israele.


by Salvatore Capo
                                                                                    

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