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CARLO CATTANEO

 

Sulle scoperte lucigrafiche di Daguerre e Niepce;

estratto del Rapporto del sig. Arago.

[Giugno 1839]


 

Giambattista Della Porta, napolitano, osservò due secoli sono che, praticandosi un pertugio nel serramento d'una stanza ben chiusa, tutti gli oggetti esterni, i cui raggi ponno giungere al detto pertugio, si dipingono sull'opposta parete, in dimensione diminuita o accresciuta, secondo le distanze,coi colori naturali, colle precise forme e posizioni relative, almeno per una gran parte del quadro. Scoperse poi che il foro può anche essere ampio,quando lo si copra con una lente. Le imagini prodotte dal pertugio sono poco vivaci e alquanto confuse;le altre sono più vivaci e precise a misura della maggior superficie della lente. E dopoché alle lenti semplici si sostituirono le lenti acromatiche, che riuniscono tutti i raggi in un sol foco, si ottenne una precisione mirabile. Porta fece far camere oscure portatili, sulla cui parete coperta di carta bianca o cartone, si potevano secondo lui tracciare colla punta d'una matita i contorni dell'imagine, e cosi ottenere prospettive esatte, anche senza aver perizia di disegno.

Infatto i pittori,e principalmente quelli che lavorano le ampie tele dei panorami e dei diorami, fanno uso della camera oscura; ma solo per tracciare all'ingrosso i contorni degli oggetti e le loro grandezze e posizioni; e non poterono mai giovarsene a fissare col disegno tutte le gradazioni delle tinte e i contorni delle forme, e riprodurre tutte le illusioni della prospettiva aerea, cagionate dall'imperfetta trasparenza dell'atmosfera. Ora questo desiderio venne finalmente compiuto dalla Chimica. Gli alchimisti erano giunti a fare una combinazione dell'argento coll'acido del sal marino (acido muriatico o idroclorico), e la chiamarono luna, o argento corneo; ed è un sal bianco, che all'azione più o men vivida della luce, più o meno si annerisce.

Se si spalma d'argento còrneo, o, come si dice oggidì, di cloruro d'argento una carta, e per mezzo d'una lente vi si dirige sopra l'imagine d'un oggetto, le parti oscure dell'imagine, non essendo ferite dalla luce, rimangono bianche, le parti chiare si annerano affatto, e le mezzetinte divengono piùo meno grigie.Se sopra una carta, spalmata di cloruro d'argento, si stende una carta stampata, e si espone cosi ai raggi del sole, i tratti neri della stampa li intercettano;perloché le parti del sottoposto cloruro, che da essi tratti vengono coperte e adombrate, si conservano bianche. Ma dove la stampa non ha tratti e lascia trapassare i raggi del sole, questi anneriscono la superficie del cloruro. E cosi ne risulta un'imagine, in cui tutti i tratti neri della stampa sono riprodotti in bianco, e tutti gli spazi bianchi son riprodotti in nero.

Da questa proprietà scoperta dagli antichi alchimisti non si trasse alcuna applicazione fino al principio di questo secolo, quando il francese Charles se ne servi per ricavarne quei ritratti in pallido, detti silhouettes. Ma mori, senza rivelare di che preparazione facesse uso.Nel 1802 quel celebre Wedgwood, che perfezionò tanto la fabricazione delle terraglie e porcellane, e inventò il pirometro per misurare l'ardore dellefornaci, publicò nel Giornale del Regio Instituto della Gran Brettagna ('Royal Institution') una Memoria, nella quale tracciò i primi lineamenti della nuova arte lucigrafica. Voleva egli sovra pelle o carta, spalmata di cloruro o di nitrato d'argento, copiar le pitture delle vetriate delle chiese e le incisioni. Ma dichiarò«che le imagini ottenute colla camera oscura si erano trovate troppo fioche perprodurre in un modico intervallo di tempo un effetto sul nitrato d'argento».Al che Davy aggiunse poi una nota, dicendo d'esser giunto a copiare oggettipiccolissimi, mediante il microscopio solare: ma soltanto a pocadistanza dalla lente.

D'altronde tutte queste figure,raccolte sul nitrato e sul cloruro d'argento, non si potevano mai esporre alla luce del giorno; perché questa in poco tempo anneriva anche le parti chiare, e stendeva dappertutto un'uniforme nerezza. Si potevano dunque rimirare solo per un furtivo istante e al lume d'una lucerna.Nel 1814 cominciò le sue prime esperienze Niepce a Chàlons-sur-Saóne; e nel 1826 si mise in relazione col pittore Daguerre, il quale studiava appunto di fissare le fugaci imagini della camera oscura. Niepce si recò in Inghilterra nel 1827, e presentò alla Società Reale di Londra una Memoria sulle sue sperienze lucigrafiche, corredandola d'alcune prove sopra lastre metalliche, le quali all'occasione della disputa di priorità, vennero lealmente esibite da varj scienziati inglesi, che le serbavano nelle loro collezioni. E provano che fin dal 1827 Niepce aveva trovato il modo di far corrispondere il chiaro, l'oscuro e le mezze tinte delle sue copie lucigrafiche alle incisioni, ad uso degli intagliatori; e che inoltre sapeva fissarle, ossia renderle insensibili alla ulteriore azione dei raggi olari. Aveva dunque sciolto un quesito, che non avevano saputo sciogliere gli alti ingegni di Wedgwood e Davy.

Alla fine del 1829, Niepce e Daguerre fecero un atto legale di società per la comune impresa; e dagli atti posteriori, conchiusi fra Niepce figlio, come erede del padre, e Daguerre, si rileva che questi primamente perfezionò i metodi di Niepce, e poi vi aggiunse del suo la maniera «di riprodurre le imagini in un tempo da 60 a 80 volte minore».Niepce infatti si era ormai limitato alla copia lucigrafica delle incisioni, e aveva desistito dall'operare sulle imagini della camera oscura; perché il preparato, ch'egli usava, non annerivasi con bastevole prontezza sotto l'azione luminosa; e si richiedevano dieci o dodici ore a produrre un disegno. Nel quale intervallo le ombre degli oggetti si trasportavano da ponente a levante; e questo smovimento spargeva tinte deboli e uniformi, e indeboliva tutti i contrasti di chiaroscuro. Era inoltre incertissima la riuscita, e sottoposta a mille accidenti,che talora producevano un'imagine incompleta; e finalmente l'intònaco che riceveva le imagini, esposto dopo ai raggi solari, non si anneriva per verità, ma si screpolava in piccole scaglie.

Al contrario il più debil barlume di luce fa impressione sull'intonaco trovato da Daguerre; l'effetto si ottiene con tutta prontezza, e prima che le ombre abbiano il tempo di smoversi; la riuscita è certa, purché si osservino poche e semplici prescrizioni; e infine, quando le imagini sono una volta ottenute, l'a zione dei raggi solari, continuata per anni ed anni, non ne altera la purezza, la splendidezza, l'armonia.I disegni di Daguerre si formano sopra lastre di plaqué, ossia di rame investito d'una lamella d'argento, le quali costano da tre a quattro franchi, e possono successivamente ricevere cento diversi disegni. L'operazione non richiede veruna perizia di disegno, o veruna particolare maestria. Osservando poche regole semplicissime, chichessia può riescirvi al pari dello stesso Daguerre.Anche nei tetri giorni invernali, bastano dieci o dodici minuti per ottenere la prospettiva d'un monumento, d'una città, d'una scena campestre.

Sotto un bei sole d'estate basta la metà del tempo; e nei climi meridionali basteranno certamente due o tré minuti. È questo l'intervallo pel quale la lamina deve rimanere esposta all'azione della lente. Bisogna poi aggiungervi il tempo necessario a dispor l'apparato, a spalmare la lamina, e a farle subire in séguito l'operazione, che la rende insensibile alla luce. Cosicché, tutto compreso, si richiederanno due o tré quarti d'ora.Non è però sperabile che si possano moltipllcare colla litograna i disegni ottenuti. La finitezza, l'armonia, il velluto dei disegni lucigrafici dipendono dallaperfetta levigatezza e dall'inestimabile tenuità dell'intonaco, sul quale opera Daguerre. Se disegni così delicati si dovessero stropicciare, cilindrare, torchiare,verrebbero sciupati in un istante, sarebbe come stiracchiare a tutta forza un merletto, o spazzolare le ali d'una farfalla.Il preparato sul quale opera Daguerre è una sostanza più sensibile all'azione della luce di qualunque altra finor trovata. I raggi della luna, ne allo stato naturale, ne condensati da qualsiasi potentissima lente o qualsiasi grandissimo specchio di riflessione, non avevano mai prodotto verun percettibile efretto fisico.Ma le lamine di Daguerre s'imbiancano talmente sotto l'azione di questi medesimi raggi e delle successive operazioni, che il sig. Arago spera di ottenerne mappe lucigrafiche della luna. Il che è come dire che in pochi minuti si eseguirà uno dei lavori più minuziosi e delicati dell'astronomia.

Una parte importante delle scienze d'osservazione e di calcolo, quella che tratta dell'intensità della luce, la lucimetria, fece sinora pochi progressi. Il fisico può determinare le intensità comparative di due lumi assai vicini e veduti simultaneamente; ma non ha se non mezzi imperfettissimi di paragonarli, se non sono visibili nel medesimo luogo e nel medesimo momento.I lumi artificiali, a cui deve adunque ricorrere l'osservatore per avere un mezzo termine di paragone, non hanno la necessaria permanenza e invariabilità; e quando massimamente si tratta d'un astro, i nostri lumi artificiali non hanno la bisognevole candidezza. Da ciò provengono le grandi discrepanze tra le valutazioni comparative, che scienziati d'egual sapere assegnarono alla luce del sole, della luna, delle stelle. E quindi le sublimi conseguenze, che si deducono da codesti dati comparativi, per riguardo all'umil posto che il nostro povero sole dovrebbe occupare in mezzo alle falangi dei soli, di cui si vede cosperso il firmamento, si trovano espresse con una certa riserva, anche nelle opere dei più arditi speculatori.Col soccorso delle sostanze scoperte da Daguerre, il fisico potrà calcolare le intensità effettive delle diverse luci. Sopra una medesima lamina potrà raccogliere l'impronto dei raggi abbaglianti del sole, dei raggi trecentomila volte piùdeboli della luna, del fioco bagliore delle più remote stelle. E potrà adeguare tutti codesti impronti, o indebolendo i raggi più potenti con modi calcolati ovvero lasciando agire i più potenti per un intervallo minimo, a cagion d'esempio un minuto secondo, e i meno potenti per un intervallo tante volte maggiore, a cagion d'esempio un minuto primo, un'ora.Daguerre ha già fatto l'osservazione singolarissima, che non si ottengono imagini lucigrafiche della medesima vivacità, se si opera tante ore dopo il mezzodì, invece di operare tante ore prima; quand'anche l'altezza del sole sull'orizzonte sia precisamente la stessa in ambo i casi, cosi, a cagion d'esempio, riesce meglio l'operazione alle sette del mattino, ossia cinque ore prima di mezzodìche cinque ore dopo. Ecco un nuovo elemento da osservarsi e registrarsi in meteorologia, il quale forse influirà sulla fisiologia e sulla medicina.

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