MUSEO DELLA FOTOGRAFIA               
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MAXIME DU CAMP
Ed io imparai la fotografia

in Souvenirs littéraires (1822-1850)


Maxime Du Camp

Flaubert nel giardino di una casa al Cairo - 1850


Ciò che Gerard de Nerval mi raccontava dell'Oriente non poteva illuminarmi molto; mi misi a lavorare per procurarmi nozioni più serie perché si avvicinava l'ora in cui ci saremmo messi in
moto. Furono comprate tenda, selle, cantina, scatole di utensili,farmacia, armi ed io imparai la fotografia. Nei miei viaggi precedenti avevo notato che perdevo un tempo prezioso a disegnare i monumenti e i panorami di cui volevo serbare il ricordo: disegnavo lentamente e in modo poco corretto; inoltre le note che prendevo per descrivere un edificio o un paesaggio, quando le rileggevo a distanza di tempo, mi sembravano confuse e avevo capito d'aver bisogno d'uno strumento di precisione per tornare con immagini che mi avrebbero permesso ricostruzioni esatte.


Stavo per percorrere Egitto, Nubia, Palestina, Siria, Armenia, Persia e tanti altri paesi dove le civiltà, nel succedersi, hanno lasciato tracce; volli mettermi in grado di raccogliere la maggior copia possibile di documenti. Entrai dunque da un fotografo a far l'apprendista e mi misi a manipolare prodotti chimici.

Allora la fotografia non era quella che è diventata poi; non esistevano vetri, collodio, fissaggio rapido, operazione istantanea. Eravamo ancora al processo della carta umida, processo lungo, meticoloso, che esigeva una grande abilità di mano e più di quaranta minuti per portare a compimento una prova negativa.Qualsiasi fosse la forza dei prodotti chimici e dell'obiettivo adoperato, per ottenere un'immagine, anche nelle condizioni di luce
più favorevoli, c'era bisogno di una posa di almeno due minuti.

Per quanto lento fosse tale processo, esso costituiva un progresso straordinario sulla lastra dagherrotipica, che presentava gli oggetti in senso inverso e che spesso i lustri metallici impedivano di distinguere. Imparare a fotografare era cosa da poco; ma trasportare l'attrezzatura a dorso di mulo, di cavallo, d'uomo era un problema difficile. A quel tempo non esistevano vasi di guttaperca;ero costretto ad adoperare fiale di vetro, flaconi di cristallo, bacinelle di porcellana che un accidente poteva mandare in pezzi. Feci fare degli astucci come per i diamanti della Corona e, nonostante gli urti inseparabili da una serie di trasbordi, riuscii a non rompere nulla e per primo a riportare in Europa la prova fotografica dei monumenti incontrati in Oriente.

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