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II cadavere e il bello fotografico Dal 1900 ad oggi, in cinquant'anni di illusioni, di scoperte scientifiche, di guerre e di sciagure, la nostra vita è stata seguita, ora per ora, da un nuovo Plutarco, imparziale e freddo: l'obiettivo fotografico, storico meccanico, senza preconcetti, senza visioni della storia, insensibile al bello e al giusto, pronto, soltanto, a cogliere l'aspetto delle cose attraverso la sua pupilla di vetro. Ma anche l'obiettivo fotografico ha una sua particolare maniera di giudicare, uno strano modo di vedere le cose oltre la loro apparente realtà: una maniera tanto imparziale e tanto astratta, da sembrar perfino grottesca: una maniera scientifica, sorta dall'ottica, che rasenta l'assurdo perché non ha riferimenti umani. In cinquant'anni, anche l'obiettivo fotografico ha acuito il suo sguardo, ma la sua freddezza geometrica è rimasta la stessa. I documenti ch'egli lascia ora sono più crudi e severi, e nessuno di noi riesce ad ingannare il suo occhio gelido e acuto. Le immagini delle cose che conserviamo nella nostra memoria certamente vi restano impresse come vecchie fotografie, e nessuno di noi può vedere la realtà di oggi con lo stesso occhio di un tempo; ma resta il fatto che la fotografia di ieri ha anch'essa una sua realtà, al di fuori dei nostri pensieri: essa non è la proiezione del nostro spirito, ma una realtà a se stante, con anima propria.
La fotografia, che è un mezzo meccanico, lo testimonia; e alla fotografia siamo legati da strani vincoli pieni di affetto e di astio: noi mutiamo di giorno in giorno, e rivedere i nostri visi fermi, in un tempo fermo che ricordiamo vagamente, ci seduce e ci adira. La poesia del tempo perduto vive oggi nella nostra fantasia come un tutto legato a noi: mentre in una vecchia fotografia quel tempo è lì, fermo, astratto, più vero di ogni altro vero, irriproducibile, ormai morto. Ed è proprio il senso della morte che esce dalle vecchie fotografie quel che ci turba: perche la fotografia fissa qualcosa che è vivo per poi ucciderlo attraverso un processo otti- co: e noi restiamo trafìtti con lo spillo sul cartoncino, come tanti coleotteri. E aggiungerei che la fotografia, appena tramonta la sua breve vita di attualità, entra nel repertorio gesuitico, coi fiori e le maschere mortuarie di cera. Giorno per giorno, durante cinquanta anni, la fotografia ha preso un posto indispensabile nella nostra vita quotidiana, e gran parte della nostra cultura, o meglio delle nostre cognizioni, è frutto della fotografia, la quale ha finito per dominarci: non è il piacere di essere ritratti quel che ci guida, ma il vedere il mondo, le cose del mondo, sorprese e fissate: le quali cose, poi, si dividono in due campi, in quello dell'erotico e in quello del macabro. Le primitive intenzioni artistiche della fotografia
hanno ora ceduto il posto al gusto del documentario, e di tutti
i fatti da ritrarre quello che l'obiettivo ha scelto è
il delitto. Il cadavere è il suo tema preferito; il morto
ammazzato è la sua vera natura morta. Il bello fotografico
ha trovato il suo regno nella morte violenta. Ed anche noi abbiamo
finito per abituarci a vedere cadaveri, ad ammirarne le tragiche
posizioni, a scoprirne con curiosità Perché la fotografia non educa, ma corrompe,
incita al peccato, alla violenza, al delitto. Se osservate le
fotografie pornografiche della fine del secolo scorso, nelle
quali spiccano sui neri cupi degli abiti i bianchi delle carni,
e sulle carni i capezzoli neri come soldoni, e i baffi e i capelli
e gli stivaletti di scevro e le calze di cotone trapunto, in
tutto quell'armonioso e discordante alternarsi di bianchi e di
neri osceni, in quelle pose forzate, scoprirete non In cinquant'anni, molte illusioni sono cadute,
molte ideologie sono mutate, e la fotografia ha saccheggiato
la cronaca di questo ultimo decennio fino alla nausea: noi abbiamo
vissuto nel sangue di molte guerre ed abbiamo bevuto il latte
di molte promesse, in una continua altalena di delusioni e di
speranze. Dal candore delle prime fotografie dei bagnanti del
1905, siamo giunti ai nudisti; dagli attentatori isolati siamo
passati alle stragi delle camere a gas; il maca- |
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