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Sardinna - Cymru - England:

Photography and our Cultural Heritage



Mostra: "Sardinna - Cymru - England: Photography and our Cultural Heritage"

Periodo : 12/22 Settembre 1995

Sede : Associazione Italia-Inghilterra, Cagliari

Organizzazione : Associazione Italia-Inghilterra

Testi di : Mauro Rombi e Alistair Crawford

Pagg. 16


La mostra "Sardinna - Cymru - England: Photography and our Cultural Heritage" comprendeva circa ottanta immagini ripartite in tre sezioni: nella prima vi erano raccolte le 26 foto storiche di Frank Meadow Sutcliffe (1853-1941), in prestito dalla The Suttcliffe Gallery e dalla Whitby Library and Philosophical Society grazie al British Council, è un'importante selezione curata da Michael Hiley del lavoro "pittorialista" condotto da Sutcliffe durante i primi anni del '900 nella cittadina di Whitby, nello Yorkshire, dove egli trascorse gran parte della sua esistenza. La seconda sezione mostrava il lavoro di ventitré allievi della School of Art di Aberystwyth della University of Wales. L'ultima sezione mostrava attraverso 30 immagini in b/n il lavoro condotto dal fotografo Priamo Tolu in Uganda, nel 1994, insieme al lavoro di documentazione delle attività artigianali e contadine che Tolu conduce da lungo tempo in Sardegna.


Dal catalogo, ecco un intervento su Sutcliffe:

 

Frank Meadow Sutcliffe

(1853 - 1941)

Sutcliffe nacque a Leeds nel 1853. Suo padre era un pittore di paesaggi e, forse per questo, lo incoraggiò ad intraprendere la carriera del fotografo(tecnica ancora giovane e sperimentale, essendo stata inventata ufficialmente nel 1839). Nel 1870, si trasferì nella graziosa cittadina di Whitby, che col suo piccolo porto si affaccia sulla costa dello Yorkshire, e qui aprì uno studio fotografico.Durante questo periodo fece varie fotografie del Distretto dei Laghi quando il famoso fotografo Francis Frith, allora a capo di una importante ditta fotografica che pubblicava immagini di spunto locale, lo assunse per fotografare il North Riding. Sutcliffe era allora uno degli esponenti di punta di quella corrente chiamata "fotografia pittorica".

 

La fotografia pittorica è l'evoluzione matura di quella "artistica", propugnata da Rejlander e da Robinson nel decennio 1850 - 60. Essa si proponeva,attraverso l'opportuna scelta dei soggetti, il rifiuto del ritocco, l'uso accurato di raffinati procedimenti tecnici e dello sfocato,la prevalenza di delicate sfumature di grigi o di vibranti contrasti chiaroscurali, di avvicinare la tecnica fotografica alla dignitàe alla spiritualità dell'arte.

 

La prima presentazione ufficiale della "fotografia pittorica" in Inghilterra avvenne, nel 1893, a Londra, presso la Galleria Dundley, dove si tenne la prima di una serie di esposizioni organizzate dal gruppo dei Linked Ring, di cui Sutcliff era uno dei maggiori esponenti. Egli presentò proprio in questa occasione le immagini del porto di Whitby, le quali suscitarono subito un apprezzabile interessamento.

Il periodo che va dal 1880 al 1905, è il periodo d'oro per la fama di Sutcliffe; si moltiplicano i premi e le esposizioni, tenute adesso non solo a Londra, ma in tutto il mondo, da Chicago a Tokio, da Parigi a Calcutta.

 

La mostra di uno dei maggiori esponenti del pittorialismo fotografico ci porta inevitabilmente a ricordare come, ancora oggi, vi sia una ingenua confusione e un malcelato imbarazzo di fronte al dialettico rapporto tra arte e fotografia: problema alla base delle interminabili dispute a cavallo del secolo e che ancora produce divertenti e ridicole considerazioni, a volte anche di specialisti, riguardo al ruolo della fotografia all'interno del processo di creazione artistica. Fortunatamente è sempre più raro sentir parlare di "fotografia artistica", famosa didascalia apposta sul retro delle cartoline illustrate degli anni '50, tuttavia è persistente la riluttanza ad accettare il linguaggio e la tecnica fotografica per quello che sono, nella loro totale autonomia e non in relazione a concetti feticistici e antitecnici come l'arte (W.Benjamin).

Probabilmente è il prezzo da pagare al perdurante idealismo italico, all'accademismo paludato del nostro antiquato microcosmo intellettuale. Certo èche in Italia la fotografia segna il passo, nonostante qualche sporadica presenza alla Biennale di Venezia o in qualche rara mostra di buon livello; ciò è ancor più penoso se si ricordano le esaltanti ricerche degli anni '70 e '80, con protagonisti di livello assoluto come Mulas, Ghirri, Vaccari, e tanti, tanti altri. Abdicando a quella carica di energia critica e demistificante, oggi la fotografia italiana è ritornata volentieri nell'alveo di una ebete e supina accettazione dello status quo, nella mancanza di qualsiasi riflessione sul proprio ruolo e significato, nella logica deteriore di una acritica e mediocre assunzione dei più vieti modelli stereotipati.

Per questo è importante promuovere iniziative come questa, una mostra che ci può portare a riconsiderare, dalle origini, uno dei mezzi fondamentali della nostra civiltà delle immagini e della nostra storia recente; nella speranza, o forse nell'illusione, di poter contribuire a riproporre un dibattito che, oggi, langue nelle gore dell'indifferenza.

Mauro Rombi

 

Priamo Tolu

Le immagini presentate in questa mostra sono state raccolte nel corso di un viaggio in Uganda, effettuato appositamente dall'Autore con la precisa intenzione di documentare alcuni aspetti delle attività lavorative in questo paese.

Esse naturalmente non pretendono di dare un'immagine esaustiva di quella società, piuttosto sono il riflesso appassionato e sincero, la testimonianza diretta di quel coacervo di sensazioni, anche contraddittorie, che coglie lo spettatore della cosiddetta "civiltàavanzata" nell'avventurarsi per la prima volta in una realtà così difficile e sfuggente.

Uno dei tratti salienti di queste immagini è la straordinaria naturalezza con la quale l'Autore riesce a sfuggire qualsiasi compiacente compromesso con l'atmosfera di "colore" locale, con quegli aspetti di superficiale e appagante folclore consolatorio che spesso condizionano la nostra pigra visione del "continente Africa".

L'uso di un grandangolo spinto, che implica necessariamente un rapporto ravvicinato e dialettico tra il soggetto e il fotografo, e un atteggiamento che privilegia un punto di vista spesso al di sotto dell'orizzonte (quasi che il fotografo, nel suo sforzo di fuggire alla tentazione di giudicare e di ergersi al di sopra della situazione, preferisca porsi sullo stesso livello della realtà che ha di fronte,in una disposizione di umile disponibilità, di franco colloquio e di esaltante partecipazione umana), permette anche a noi spettatori di venire inglobati dalla prospettiva fagocitante dell'obiettivo, in una dimensione di calda e profonda umanitànella disinvolta spontaneità di un mondo libero da convenzioni comportamentali che ne possano limitare la travolgente espressività.

Tuttavia nel mondo del lavoro, al di là delle differenze tecnologiche che caratterizzano le due società, la nostra e quella africana, così distanti geograficamente e culturalmente, si notano situazioni e comportamenti analoghi, specie se vengono ricondotti al mondo delle tradizioni popolari.

In questo caso emerge un sottile parallelo col nostro mondo, un arcaico e misterioso rapporto di affinità che lega indissolubilmente i gesti e i ritmi del lavoro, la fatica e lo svago, l'uomo all'ambiente che lo circonda in un vincolo vitale< che annulla le distanze e le diversità culturali, legando tutti gli uomini ad un comune, identico destino.

Le immagini scattate in Italia documentano il lavoro in Sardegna, regione da sempre ponte privilegiato fra Europa Africa. L'isola, in un recente passato, era ancora caratterizzata da un'economia basata principalmente sulla pastorizia e sull'artigianato.

L'attenzione dell'autore si focalizza su quegli aspetti del lavoro che, nonostante l'evoluzione tecnologica, mantengono ancora oggi inalterato il fascino di un rituale fatto di atteggiamenti ereditati da un passato mitico e ancestrale, di una cultura ormai in rapida estinzione che ci riporta alla memoria il senso di una realtà vissuta a stretto contatto con gli elementi primordiali di una natura sicuramente difficile, e anche matrigna, ma genuinamente autentica.

Mauro Rombi

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