SUPERCOMPUTER INTELLIGENTI PER SCOPRIRE I SEGNI DELL'ALZHEIMER

La prestigiosa rivista Lancet Neurology pubblica un articolo di un gruppo di lavoro internazionale fra cui figurano ricercatori italiani.

Sul numero di Febbraio della prestigiosa rivista scientifica Lancet Neurology (neurology.thelancet.com) è stato pubblicato un articolo firmato da un gruppo di studio formato da ricercatori europei (di Londra e Brescia) e americani (Los Angeles, Philadelphia e Saint Louis), che stanno sviluppando e applicando su malati nuove tecniche di studio del cervello basate sull’uso di potenti supercomputer che possono aiutare i medici a scoprire segni anche precocissimi di danno cerebrale dovuto alla malattia di Alzheimer.

Partendo dagli usuali esami di risonanza magnetica del cervello e anziché studiare le immagini stampate sulla lastra, i ricercatori dividono l’immagine del cervello di una persona che si sospetta essere affetta da malattia di Alzheiemer in circa 4 milioni di piccoli cubi (detti “voxel”) delle dimensioni di 1 mm di lato. Ogni voxel contiene l’informazione relativa alla quantità di tessuto cerebrale contenuta nel volume cerebrale corrispondente. Con l’aiuto di avanzati programmi statistico-matematici e di potenti calcolatori elettronici, deformano l’insieme dei voxel del cervello in modo che si adattino perfettamente a un cervello normale. A questo punto è possibile paragonare ogni voxel del cervello del paziente di interesse con i voxel corrispondenti del cervello normale alla ricerca dei voxel con una riduzione di tessuto cerebrale. In questo modo, è stato possibile dimostrare che persone con un disturbo di memoria anche lieve possono avere perso tessuto cerebrale proprio nelle regioni del cervello che sappiamo essere colpite dalla malattia di Alzheimer. In queste stesse persone il disturbo di memoria può peggiorare progressivamente fino agli stadi più avanzati della malattia.

Nel gruppo di studio vi è anche un centro di ricerca con base all’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico di Brescia San Giovanni di Dio Fatebenefratelli. “L’obiettivo finale dei nostri sforzi – spiega Giovanni Frisoni, neurologo e leader del gruppo italiano – è di identificare la malattia in fase estremamente precoce, quando il disturbo di memoria è ancora molto lieve o ancor prima, per intervenire con farmaci che arrestino la malattia e permettano alla persona di vivere il resto della vita in buona efficienza mentale”. Attenzione però, avverte Frisoni, questa possibilità non è dietro l’angolo. Saranno necessari ancora 10 o 20 anni di lavoro da parte di migliaia di ricercatori in tutto il mondo prima che questa prospettiva diventi realtà.

Sino ad oggi non vi sono esami in grado di rilevare con certezza i danni della malattia a carico del cervello. E’ noto che nella malattia di Alzheimer si verifica la deposizione in alcune piccole ma strategiche zone del cervello di sostanze tossiche (amiloide e proteina tau) che portano alla morte delle cellule nervose e alla perdita dei collegamenti fra cellula e cellula. Le zone colpite sono quelle in cui si fissano i ricordi – motivo per cui i primi sintomi della malattia sono le dimenticanze. La risonanza magnetica è in grado di visualizzare il cervello con grande precisione: anche perdite di sostanza cerebrale delle dimensioni della capocchia di un fiammifero possono essere evidenziate dall’esame. Il problema però che sino ad ora ha impedito di utilizzare questa tecnica per aiutare nella diagnosi risiede nell’estrema variabilità della struttura cerebrale fra persone diverse. E’ infatti estremamente difficile riconoscere se una sottile variazione di struttura cerebrale sia una anomalia causata dall’incipiente malattia o semplicemente una normale variante fisiologica. Le tecniche sviluppate dai ricercatori consentono di superare questo complesso problema.

La malattia di Alzheimer colpisce circa mezzo milione di persone in Italia e porta anziani in pieno benessere a uno stato di completa non autosufficienza (allettate incontinenti e completamente inconsapevoli dell’ambiente) nel giro di pochi anni. Riconoscere la malattia negli stadi iniziali – quando vi sono solo minime dimenticanze – è fondamentale per attivare interventi che possono ritardarne la progressione. Alcuni anni guadagnati nel periodo della vita in cui solitamente si sviluppa la malattia (oltre i 70-75 anni) possono essere estremamente preziosi.

L’IRCCS San Giovanni di Dio è un Istituto di cura e ricerca finanziato dal Ministero della Salute ed è l’unico in Italia la cui missione è rivolta specificamente alla malattia di Alzheimer. Nel 1991 è stato il primo centro nazionale a sviluppare, grazie a un progetto sperimentale della regione Lombardia, paradigmi innovativi di diagnosi e cura della malattia di Alzheimer e delle altre malattie dell’anziano che colpiscono memoria e capacità intellettive. Alla missione per la malattia di Alzheimer unisce quella di cura e studio delle malattie psichiatriche dell’età giovanile e adulta quali schizofrenia e depressione. E’ sede di uno degli ambulatori (Unità di Valutazione Alzheimer – UVA) in cui possono venire gratuitamente dispensati e prescritti i costosi farmaci per la malattia di Alzheimer da circa due anni erogati dal Servizio Sanitario Nazionale. Attualmente sono curati in regime ambulatoriale circa 4000 e di degenza circa 600 pazienti l’anno.

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