Associazione Nazionale Su Hatuey La manioca Il Casabe nganga Le donne in schiavitù Gli africani a cuba Canarios Yucatecos Altre emigrazioni Colonia Cimarronaje Cuellar Cespedes Ejercito libertador Mal tiempo Ideologia martiana Costituzione 1869 LItalia per Cuba Profilo dell'identità nazionale cubana (Parte I) Maine Dopo il 1898 Partito unico Passaggio 1902 Assalto al palazzo Bacardi Crisi dei missili
Nuestra America
| |
Lassalto al palazzo presidenziale del 13 marzo 1957
da Granma
Internacional 1997
Faure Chomón Mediavilla rivive i fatti nella sua testimonianza.
Quel giorno camminavo contento per le vie di La Habana. Guardavo la gente e mi dicevo:
"Non immaginano che qui sta camminando un gruppo che tra qualche minuto inizierà un
combattimento che scuoterà la nazione; non possono neanche immaginarlo...".
Eravamo felici dellavventura.
Alla gioventù piace lavventura e questa avventura può essere buona se è
patriottica, rivoluzionaria, scientifica. Fino a oggi abbiamo combattuto nelle circostanze
peggiori - meditai quel 13 marzo - tutti perseguitati; molti assassinati.
Adesso siamo un esercito in mezzo alla città; un commando ben equipaggiato.
Qualcuno mi ha domandato poco fa se quel giorno non pensassi alla morte, e mi sono detto:
"Se gli rispondo di no, sembrerò un irresponsabile". Ma la risposta è no,
perché in quel momento - e questo te lo possono dire tutti quelli che hanno vissuto un
combattimento - non cè tempo per pensare alla morte, per aver paura - anche se la
paura è naturale in un essere umano... - però quando giunge lora non si ha tempo
di averla. Nemmeno quando sono stato ferito.
Ci avvicinavamo metro per metro al Palazzo Presidenziale. Unauto viaggiava
allavanguardia, il camion al centro e unaltra auto in retroguardia. Il Palazzo
si avvicinava. A quellora il traffico così intenso ci fece quasi perdere di vista.
Chiesi al guidatore, Abelardo Rodríguez di non staccarsi nemmeno un metro dal camion in
cui si trovava la maggior parte del commando. Era così bravo alla guida che
potemmo arrivare esattamente allora prevista proprio fino alla porta del Palazzo,
dopo aver attraversato un passaggio in cui sembrava che non ci sarebbe passata una
bicicletta.
Non era stata nostra lidea di attaccare il Palazzo Presidenziale. Questidea
faceva parte dellarsenale tattico della Rivoluzione ed era una magnifica eredità di
Mella e Martínez Villena, unidea che aveva ossessionato più di una generazione.
Durante la seconda tirannia di Batista, i vecchi rivoluzionari che avevano cominciato a
cospirare contro il dittatore, avevano fatto loro questo progetto, ma non lo avevano
attuato, sebbene disponessero di molti armamenti e risorse. Ma tutto era finito in un
grande fallimento; era una farsa di Prío, unavventura senza coraggio, che non
prevedeva nessun sacrificio.
Noi lo abbiamo fatto davvero, con José Antonio come capo e questa è stata la cosa
originale. Eravamo convinti che il Palazzo era il simbolo del potere contro il popolo; era
il covo dove si rifugiavano i rappresentanti politici di quella società ingiusta, un
simbolo che doveva essere distrutto per il bene della Rivoluzione. E attaccare il Palazzo
era un impegno della gioventù cubana con la sua nazione, come lo era stata lazione
di Fidel e dellavanguardia della nostra generazione del centenario.
In poche parole, quelli che abbiamo partecipato allassalto eravamo giovani, ma
proprio giovani giovani.
Agivamo, amavamo, giocavamo, lavoravamo, ridevamo. Eravamo come José Antonio: ottimisti,
pieni di speranze, audaci, convinti che si doveva aprire una strada nuova per il nostro
paese; da cui dipendeva la vittoria del nostro esercito liberatore; da cui dipendeva la
frustrazione della generazione degli anni 30; convinti che un giorno avremmo avuto
lopportunità di portare a buon termine quellera dei mambises cubani e
delle generazioni precedenti.
Stavamo approfittando dellopportunità che Batista ci aveva dato, di affrontarlo per
il suo colpo di stato del 10 marzo 1952.
Al Direttorio Rivoluzionario si erano aggregati compagni molto rivoluzionari di altre
organizzazioni, o indipendenti. Giovani coraggiosi come Evelio Prieto Guillaume e Eduardo
García Lavandero, che erano depositari delle armi di Carlos Prío. Entrambi ammiravano
molto José Antonio; per questo avevano accettato quando egli aveva chiesto loro che
consegnassero larsenale spiegando che dare le armi ai giovani del Direttorio
equivaleva darle alla Rivoluzione.
Con i detenuti del Direttorio che stavano nella prigione del Principe, avevamo scelto
Daniel Martín Labrandero che volevamo come consigliere militare per lassalto, per
le sue conoscenze - era stato comandante della Guerra Civile spagnola. Volevamo liberarlo
dalla prigione, ma morì nella fuga. Questo ci aveva avvicinato molto lattendente di
Daniel, Carlo Gutiérrez Menoyo.
Carlos era espero in azioni di commando. Al momento dellarrivo al
Palazzo, scese per primo. Indossava un giubbotto per nascondere la sua mitragliatrice M-3,
quattro cartuccere e sei granate. Camminò fino alla porta come se fosse uno dei
funzionari del regime. E quando fu sotto larcata incominciò a sparare con una
maestria incredibile a una dozzina di guardie.
Un soldato di posta che stava ad uno degli angoli esterni del Palazzo, pensando forse che
Carlos fosse un pazzo o un suicida solitario, si avvicinò sparandogli alle spalle, ma
quando sentì le nostre pallottole, fece dietro-front e uscì correndo finché il fuoco
non lo raggiunse. Ogni combattente è unimmagine impressionante, come quella di
Machadito che, con impeto saliva da solo la scala dal secondo al terzo piano, coprendo la
ritirata del commando che aveva esaurito le munizioni.
Contavamo su un piano militarmente buono e un armamento sufficiente.
Avevamo la motivazione e la forza morale.
Però non trionfammo perché ci mancò il rinforzo che avrebbe dovuto prendere gli edifici
limitrofi al Palazzo per neutralizzare la guarnigione dellultimo piano e della
terrazza e darci la copertura necessaria per sostenere e rifornire il commando
con uomini e munizioni.
Questo rinforzo non arrivò mai per linettitudine e la codardia dei suoi capi, in
particolare di Ignacio González, che non reagì, non diede gli ordini che avrebbe dovuto
dare. Carlos si era fidato che Ignacio non avrebbe sbagliato poiché erano amici dalla
guerra di Spagna.
Tuttavia, loperazione fu perfetta. Vennero occupati il pianterreno e il secondo
piano, dove cera lo studio di Batista, che fuggì prima dellarrivo del
commando, lasciando sul suo tavolo di tiranno alcune tazze di caffè ancora
fumanti.
Già con molti feriti, esaurite le munizioni e senza larrivo dei rinforzi,
loperazione franò. Ma non bisogna dimenticarsi che è una legge della Rivoluzione
laccumulo di forza. Ogni vita che si dà, ogni combattimento che si affronta, anche
se si perde, si accumula a favore della causa della Rivoluzione. Ciò che non si accumula
è quello che non si fa. Lattacco al Palazzo fu leroismo di due generazioni
abbracciate in una medesima azione, della nostra generazione e di quella del 30,
come si sono uniti in combattimento gli uomini del 68 e del 95 per
lindipendenza di Cuba. Con lassalto al Palazzo abbiamo mantenuto, secondo noi,
limpegno di José Antonio con Fidel.
Indubbiamente è stata unesperienza per i rivoluzionari. Ed anche per i potenti.
Lattacco al Palazzo è un anello della catena di lotta che comincia con il Moncada e
prosegue con la guerra necessaria che ha inizio con lo sbarco del Granma e con lo
stabilirsi della guerriglia sulla Sierra Maestra.
Nelloperazione il tiranno si spaventò a tal punto che mi raccontarono che Batista
voleva andarsene e abbandonare il potere. Il giornalista Torres Momplé mi disse che in
quella notte del 13 marzo lo vide più canuto, ciò che di solito accade quando si prova
panico.
Fu terribile per me arrivare allUniversità. Domandai di José Antonio e mi dissero
che lo avevano ucciso. E la prima morte di cui ebbi notizia con certezza in quegli
istanti. Io non avevo mai pensato alla possibilità della morte di José Antonio. Era
quello che amavamo di più, il nostro capo. Provai molto dolore.
José Antonio aveva cominciato con lassalto a Radio Reloj, poiché era la persona
più indicata per parlare al popolo di quello che stava succedendo. Prima di partire per
la sua missione mi aveva detto: "Non ti lascerò solo, Faure. Quando avrò finito a
Radio Reloj e lasciato la gente allUniversità, andrò con parte del gruppo a farmi
carico direttamente delloperazione del Palazzo".
Mentre combattevamo nel Palazzo, molti rivoluzionari, più di quelli convocati, si
andavano avvicinando, posizionandosi nei caffè e negli edifici vicini. Erano persone che
ammiravano e amavano molto José Antonio e stavano cercando il modo di partecipare. Quel
13 marzo sarebbe stato diverso se José Antonio fosse arrivato al Palazzo Presidenziale.
Dal 13 marzo al 20 aprile 1957, sono adesso 40 anni, mentre il Direttorio si riaggregava
per ritornare allattacco, sono caduti anche Fructuoso Rodríguez, Juan Pedro Carbó,
José Machado e Joe Westbrook in Via Humboldt 7. In poco più di un mese sono stati
crivellati di pallottole i due principali capi dellorganizzazione.
Ma la lotta non si è fermata. Anziché indebolirsi si è rafforzata. Migliaia di volontà
si sono sommate; come è stato affermato nel manifesto del Direttorio sul 13 marzo, per
ogni eroe caduto sorgevano centinaia di combattenti.
|