CAPOSALDO ZETA
Dedicato
a Ottavio Marin
Comandante del Caposaldo Zeta
Fronte del Don
Segnalibri
La patria; Sapore; Estate perduta; Uccelli; La luna.
La patria
Angeli di ferro al tramonto
sul caposaldo invitto,
forme traslucide di lune
peregrinanti nel cielo
tra cavalli di frisia argentati
ed armi nitide e brune.
Alto nel cielo azzurro
si rispecchia il fiume del destino,
e carezze di venti settembrini
e fruscii di erbe e silenzio.
Nessuno odia la propria solitudine
se gli è compagno un amico
che, fervido,
impugna un’arma nella notte.
Ma nel cielo le stelle
hanno sapore di cose lontane
e il profumo delle erbe
ricorda carezze di donna.
Chi, se non noi,
sul solitario caposaldo Zeta
imparò che la patria
non è vuota parola?
In questa tana di topi
ho ascoltato il silenzio ferirsi
del crepitìo di armi lontane
e delle mie veglie
ho fatto un unico sogno
che mi è nato nel cuore.
Possedere una pace
che non sia preludio al pericolo,
possedere un silenzio
che non sappia di morte.
Ronzio incessante di insetti
tra le erbe disseccate
di questo immenso deserto.
Un raggio di sole colpisce
l’acciaio di un arma, e m’acceca.
Nell’aria purissima passa il tremore
d’una estate perduta
e il cuore si ribella.
Nelle ombre lunghe del tramonto
inizia il logorìo degli uomini.
Scrutare a fondo le tenebre
e ascoltare,
mentre ammutolisce il ronzio degli insetti
e s’alza nell’aria lugubremente
il canto degli uccelli notturni. Una calma grande e
potente
fa bella questa rude natura,
ma un tuono lontano
che non è preludio di tempesta
ma rombo di cannone
rompe il silenzio.
Mi percuote il greve senso di inutilità
che tutti ci lega
a questa ronda di vita.
Nell’aria che puzza di salnitro
una forma ancora tenera d’uomo
imputridisce al sole
e la terra ne assorbe gli umori.
Il fuoco è divampato stanotte,
e le armi scottano ancora,
ma i visi sono pallidi
e i profili consunti.
In alto volteggiano rapidi,
neri di piume,
uccelli in cerca di cibo.
Ci preme nel cuore l’orribile affanno
di dar sepoltura.
Mi sento al centro
di una rete di inganni
ordita dal tempo...
Al mattino s’accende una speranza
tenue come i fili di un sogno
e si scordano in un baleno
tutte le lotte notturne.
Questo eremo irto di pericoli
mi ha dato la netta sensazione
della vita che scorre.
Un giorno sarò vecchio e ricorderò:
il colle degradante sulle acque
nella luce del mattino
e tu, Ottavio, compagno amico,
che sorgevi dalla tana
odorante di muffa e di libri
come un’apparizione improvvisa
e mi salutavi pacatamente
come usavamo salutarci
nelle contrade civili del mondo.
La pace e la tranquillità assolute
ti erano compagne
ed in quel cerchio di magia,
tra un grumo di uomini,
vivevi ancora sereno,
attendendo il destino.
Di notte, la luna,
era l’unica amica.