Quattro immagini di comitati etici
di Giovanni Incorvati (*)
(abstract)
In questo scritto vengono messi a fuoco alcuni modelli di bioetica a
cui fanno riscontro altrettante immagini di comitati etici, tratteggiate
in quattro separati capitoli.
1. I comitati etici in forma di corti scientifiche
Negli anni '60, con la trasformazione in senso tecnologico e industriale
della medicina, si fa luce l'esigenza di sottoporne il controllo a comitati
finalizzati alla supervisione della ricerca, all'interno di un modello
che è insieme tradizionale e moderno. Esso dà la massima
importanza ai problemi tecnici della sperimentazione e della sua rilevanza
giuridica. Ciò comporta obblighi e poteri di regolazione. Alle persone
su cui viene condotta la sperimentazione gli esperti si limitano a fornire
l'informazione strettamente necessaria per ottenerne il consenso. Una preparazione
etica e nelle medical humanities non è ritenuta necessaria per le
attività dei diversi ambiti professionali in quanto tali. Nei comitati
la presenza di membri non tecnici rappresenta un'eccezione. Destinataria
dei pareri è esclusivamente l'istituzione di riferimento. Il completo
isolamento a cui la biomedicina si vede così condotta la lascia
disarmata di fronte alle sfide che le vengono quotidianamente rilanciate
dai risultati della sua stessa attività.
2. I comitati etici per l'assistenza clinica
La seconda immagine prende corpo negli anni '70 con la trasformazione
del rapporto medico-paziente in conseguenza degli sviluppi tecnologici
e con l'emergere di nuove responsabilità. Essa cerca di confrontarsi
con tutto l'arco di questi problemi e con il loro retroterra filosofico.
Il modello di riferimento dà importanza preminente al consenso informato,
a partire da princìpi di "medio livello", unanimemente condivisibili,
e lungo i due versanti dell'"etica dei princìpi" e dell'"etica dei
casi". I comitati sono inseriti non soltanto all'interno dell'organizzazione
della ricerca, ma a volte anche in quella di reti per la sensibilizzazione
alla bioetica nelle strutture ospedaliere. In quanto la competenza dei
comitati etici riguarda in primo luogo la pratica clinica, i loro membri
provengono per lo più dall'istituzione di riferimento. La loro formazione
è di tipo specialistico, ma allargata ad altri saperi. Le
persone direttamente interessate vengono escluse, poiché la loro
capacità di giudicare sarebbe troppo condizionata da fattori emotivi.
Le attività formative dei comitati, oltre a occuparsi dell'autoformazione,
hanno come loro destinatario il personale. Con questo modello i valori
avanzano con grande risalto in primo piano e diventano oggetto di argomentazione
logico-razionale. Tuttavia la tutela della persona tende a frammentarsi
e a scivolare in secondo piano con l'incombere delle pressanti scadenze
della ricerca.
3. I comitati etici come coro greco
L'espandersi, in modi anche drammatici, di problemi bioetici che coinvolgono
l'intera società, i suoi timori e le risposte dei sistemi sanitari
nel loro complesso, fa apparire negli anni '80 e '90 una terza immagine,
portatrice di esigenze radicalmente distinte da quelle della sperimentazione.
Qui non è più il comitato etico al centro della scena, ma
il paziente e il processo delle sue scelte, a cui il primo offre piuttosto
il proprio sostegno corale. I pareri dei comitati rimangono estranei all'ottica
amministrativa della pratica clinica. La bioetica si oppone al processo
di professionalizzazione dei comitati etici; si apre invece alla partecipazione
di un pubblico allargato. Dal punto di vista filosofico il modello, come
i precedenti, è a livello unico, ma comprende soprattutto tendenze
comunitarie e relativiste. Coerentemente esso afferma l'inconoscibilità
e la non giustificabilità dei valori. Nei comitati etici viene sottolineato
e favorito il loro conflitto, al di là di falsi unanimismi, ma non
vengono toccati i nodi di una loro possibile convivenza. La formazione
è di tipo generale. Essa tuttavia mette in secondo piano i problemi
della scienza e delle sue responsabilità: ai limiti della comunità
scientifica disciplinare oppone i limiti della comunità localmente
circoscritta e non dà il dovuto peso al confronto tra realtà
locali diverse.
4. Un modello integrativo: i comitati etici come rete regionale non
gerarchica
Negli anni più recenti si fa strada l'esigenza di coordinamento
dei comitati etici su temi che investono la responsabilità e le
scelte di tutti. La quarta immagine di comitati etici punta perciò
sul paradigma della complessità e su una visione comparativa di
realtà diverse. È contraddistinta perciò non solo
da una pluralità di forme coordinate in reti regionali, ma anche
dalla trasparenza e dall'accessibilità degli atti. Oggetto di attenzione
sono la condizione stessa di persona, titolare di una molteplicità
di diritti, e anche i problemi più generali dell'equità.
Ciò esige che i membri dei comitati etici si avvicendino con tempi
rapidi di rotazione e che ne facciano parte rappresentanti del pubblico
più ampio. La formazione è di carattere generale, rivolta
a tutti, e graduata secondo i diversi livelli di partenza: essa è
il terreno comune su cui può attuarsi meglio l'integrazione regionale.
Certo, le differenze di livello e di possibilità tra i vari comitati
possono frustrare la partecipazione di quanti si collocano ai gradi inferiori
della scala. Nonostante tali ostacoli, risulta netta la preferibilità
di questa quarta immagine. Messa a confronto con le precedenti, oltre a
evitarne le manchevolezze, sembra riunirne i pregi, in modo da stabilire
un non facile equilibrio di democrazia cognitiva.
(*) della segreteria scientifica del CNB
(Comitato Nazionale per la Bioetica)
L'articolo completo è pubblicato su
"L'Arco di Giano", n. 26, inverno 2000, p. 155-170
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