La psicologa

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Dott.ssa Giuliana Mieli - Reparto Ostetricia e Ginecologia Ospedale S.Gerardo-Monza Ospedale S.Giuseppe - Milano

 

Presenza dello psicologo nei reparti di Ostetricia e Ginecologia. Perché?

           La gravidanza è un evento che comporta un grande cambiamento nella vita della donna e della coppia: ed è, fra i tanti mutamenti della vita, quello forse più marcato da un’intensa pregnanza affettiva. Si tratta, infatti, di un passaggio centrale dell’esistenza, che segna, sia per l’uomo che per la donna, la fine di un’epoca, quella in cui si è stati figli, già modificata dall’inizio della vita di coppia con la conseguente autonomia abitativa, ma molto più avvertita nel momento in cui l’evento biologico della maternità segnala fisicamente e materialmente la trasformazione dallo stato di figli a quello di genitori.

La pregnanza affettiva della gravidanza, la responsabilità che essa comporta, la normale ansietà che la contraddistingue, rende l’Ostetricia, che la “cura” o che, nella fisiologia, semplicemente l’accompagna, un campo medico “speciale” che ha come oggetto non sempre una malattia ma sempre un evento carico di importanti risonanze psicologiche: ciò significa che rispetto ad altre specialità mediche, dove pure è importante la comprensione della trama affettiva contenuta nel rapporto medico-paziente, qui nasce la necessità di un approfondimento che permetta agli operatori sanitari coinvolti di comprendere e rispettare la “fisiologia affettiva” insita nella gravidanza e di cogliere e saper fronteggiare le sue eventuali deviazioni patologiche.

            Al di là della facile intuizione che suggerisce l’importanza di un supporto psicologico per pazienti minorenni, IVG, elaborazione del lutto nella prematurità o nelle MEF,  mi sembra importante esplicitare alcune considerazioni sullo stato mentale della donna gravida e sulla sua eccezionale disponibilità emotiva che, comprese, dovrebbero condizionare sia l’intervento medico che quello psicologico.

Durante la gravidanza, la donna, che si distingue dal maschio per un diverso assetto ormonale che le garantisce un’accentuata duttilità emotiva utile all’assistenza della prole, subisce una modificazione ormonale finalizzata a garantire l’impianto dell’uovo nell’utero. La parete dell’utero si ispessisce per accogliere l’uovo fecondato: la natura protegge e incoraggia la simbiosi, caratteristica del pre-vita. Tale simbiosi non è naturalmente un mero legame fisico, ma un forte e necessario legame emotivo. La stessa nausea dei primi mesi col suo ripiegamento meditativo, sembra supplire a segnali fisici ancora mancanti nel segnalare la presenza del feto: infatti essa tende a scomparire al quarto mese.  Ma, soprattutto, la modificazione ormonale comporta un aumento della sensibilità della donna: sposta il suo baricentro, come avviene per la pancia, verso il bambino. La gestante “ precipita” verso il mondo infantile, avverte di più le emozioni che appaiono come dilatate, siano esse paura, rabbia, tristezza, malinconia, piacere, gioia: è come se vedesse il mondo con gli occhi sensibili e stupiti del bambino in un universo emotivo in cui la razionalità e l’esperienza contano ancora poco. Questa identificazione col bambino garantisce a qualsiasi donna, di qualsiasi ceto, razza o cultura, di comprendere la sua creatura e di indovinarne per identificazione i bisogni dopo la nascita anche se espressi attraverso un semplice vagito.

Fanno da argine, in questa regressione, sia l’appoggio fornito dalla figura del compagno, custode della razionalità adulta e del rapporto con la realtà, che il precedente equilibrio emotivo personale della donna stessa. Ciò significa che, per alcune pazienti, ripercorrere i vissuti emotivi del proprio passato, in un certo senso ritornare piccola, comporta il riemergere improvviso e inaspettato di ricordi, conflitti, frustrazioni mai elaborate che possono trovare espressione sia a livello affettivo con l’esplicita richiesta di aiuto, per stati di acuita ansietà, insonnia, paura, panico, che a livello somatico: in entrambi casi diventa fondamentale fornire alla donna un appoggio psicologico che le chiarisca la reale natura e origine della sua sofferenza.

            Da un punto di vista psicologico quindi, la gravidanza è un momento cruciale per il riemergere di conflitti sopiti: infatti è come se la vicenda fisica (ormonale) ed emotiva abbattesse le difese e liberasse un’affettività anche lungamente repressa e contenuta. Questo facilita la possibilità di un aggancio psicoterapico.

Il numero di donne che esprime esplicitamente un disagio affettivo collegato con lo stato di gravidanza oscilla dal 10 al 15 per cento rispetto alla totalità delle gravide assistite: affrontare tale disagio in ospedale significa agire per tempo, impedire il peggioramento, la cronicizzazione o la psichiatrizzazione della paziente. Per non citare l’ovvio riguardo dovuto a una donna gravida che non può che soffrire il ricovero o la cura presso le normali strutture psichiatriche. Si tratta inoltre di un’occasione straordinaria di prevenzione se si considera che la risoluzione dei problemi della madre contribuisce a proteggere il nascituro dal riflesso di emozioni materne non elaborate, spesso causa di comportamenti inadeguati.

             Un’opportuna sensibilizzazione del personale sanitario permette di individuare le pazienti portatrici di ansietà, fobie, paure immotivate, crisi di panico nella normale attività ambulatoriale, nei corsi di preparazione al parto o durante la degenza in ospedale. L’invio avviene normalmente attraverso il personale medico, ostetrico o infermieristico della maternità, della neonatologia o della patologia neonatale.

Non occorre pensare a specifiche patologie psicologiche della gravidanza: alla luce di quanto già detto si deve parlare piuttosto di forme di disagio affettivo preesistenti più o meno dichiarate o trattate, che in un certo senso lo stato di gravidanza “slatentizza”, fa esplodere: psicosi puerperali, depressioni post parto o maternity blues, non vanno considerate come sindromi specifiche ma come esiti di una fragilità emotiva pregressa. Semmai l’individuazione precoce di una predisposizione a tali disturbi permette di trattarli durante la gravidanza o il puerperio o in momenti immediatamente successivi con tempi di cura resi estremamente più rapidi a causa della disponibilità emotiva specifica della gravidanza. Spesso il turbamento della paziente nasconde il timore che il divenire madre possa impedire definitivamente che proprie parti infantili mai accudite ottengano ascolto, e che la maternità solo fisica possa simulare una maturità psichica mai conquistata.

              Non sempre tuttavia il disagio psichico riesce a esprimersi attraverso sintomi emotivi manifesti. Solo una parte delle donne sceglie questa strada: spesso il disagio percorre la strada somatica: il conflitto nascosto, l’emozione rimossa si esprimono attraverso “agiti” o sintomi fisici. In tali casi l’origine nascosta del conflitto resta più oscura e l’”inadeguatezza” prende una strada corporea certamente più dolorosa ma considerata dalla paziente più accettabile, più degna di considerazione e di accudimento. Ancora oggi, nel pensiero comune, un corpo sofferente è più tollerato e accudito di una mente sofferente.

Fanno parte di questo gruppo anche le donne che hanno paura del dolore del parto, temono di non saperlo affrontare o quelle che pretendono un parto cesareo programmato senza una motivazione fisica che lo giustifichi. Contrariamente a una diffusa collusiva pratica medico-ostetrica, è molto meglio, da un punto di vista di prevenzione psicologica, non adeguarsi passivamente a tale richiesta, ma accompagnare la donna fino al parto aiutandola a comprendere l’origine nascosta del suo timore di inadeguatezza: ciò comporta a volte una risoluzione rapida del sintomo, altre, il ricorso comunque al cesareo, con la possibilità però di un’elaborazione successiva, nei mesi seguenti la nascita del bambino, tesa ad affrontare le ansietà diffuse che puntualmente si ripresentano nelle pratiche di accudimento.

Altre frequenti patologie “somatiche” della gravidanza, spesso inspiegabili da un punto di vista medico, hanno in realtà una concomitante spiegazione affettiva. Mi riferisco alle gravi iperemesi, con rapida e ingente perdita di peso, agli aborti ripetuti (3,4,5 anche 9 volte nella mia esperienza), MEF anche ripetute (2 e anche 3) , parti prematuri con grave pericolo di vita per il neonato, infertilità della coppia apparentemente priva di causa. L’esperienza dimostra con l’evidenza dei numeri e con l’efficacia della terapia psicologica, che in tutti questi casi dai più lievi ai più gravi, anche sostenuti da un’ipotesi medica che va comunque curata (vedi ad esempio la sindrome autoimmune: APA Syndrome), la maternità è oscurata da una conflittualità negata: il progetto creativo, cioè, assolutamente genuino e desiderato, si confronta inconsciamente, in maniera pressoché rimossa, con la paura o la convinzione di un’incapacità congenita, vergognosamente nascosta, la cui origine è antica e dove un senso vago ma profondo di colpevolezza risolve sommariamente la memoria di cure infantili inadeguate. Vorrei precisare che non mi riferisco a un atteggiamento apertamente negativo della madre nei confronti del bambino, che non ho mai riscontrato nemmeno nelle donne che affrontano un IVG: una donna gravida non ha la possibilità “biologica” di detestare il suo bambino: le motivazioni addotte infatti riguardano la salvaguardia del proprio sé o la preoccupazione che il bambino possa non incontrare un ambiente sufficientemente accogliente per garantirgli un vita felice. Nell’IVG la motivazione, per quanto dolente, è espressa. Mi riferisco invece all’interferenza, all’interno del processo creativo emotivo e fisiologico della gravidanza, di una zona negata della propria affettività in cui la paziente coltiva, in una solitudine totale, l’angoscia inespressa del sentirsi inadeguata, incapace, non degna. Il desiderio è controbilanciato dalla non-stima di sé e la paziente si trova in una zona di stallo insolubile.

Nei casi più facili, come l’iperemesi, quelli in cui la “somatizzazione” è meno grave, il passaggio dal disagio fisico alla consapevolezza di una difficoltà è molto rapido (si tratta ad esempio di un sintomo molto diffuso fra le donne extracomunitarie, lontane dagli affetti famigliari, spesso precarie nell’abitazione e nel lavoro): la risoluzione del sintomo è per lo più immediata; talvolta invece la paziente ha bisogno di un supporto psicologico temporaneo. Più complessi invece i casi che comportano un’impossibilità a concepire, la perdita del bambino in aborti ripetuti precoci o in gravidanza avanzata, l’incerta sopravvivenza di bambini fortemente prematuri, in cui si devono affrontare, là dove si riesce, massicci meccanismi di difesa (negazione e spostamento) che bloccano sommariamente l’emergere del sentire e che resistono alla trasformazione della sintomatologia fisica in una comprensione psicologica a causa dell’affiorare di vissuti affettivi molto profondi ed angosciosi che comunque mai, se non a causa e in occasione della gravidanza mancata o fallimentare, sarebbero approdati ad una consapevolezza e a una terapia psicologica.

Affrontare questi casi in cui una sintomatologia psichica nascosta, silente, si intreccia con la difficoltà organica, con una presa in carico sia medica che psicologica, garantisce un maggior successo alle stesse cure mediche spesso infruttuose a causa di un’impossibile collaborazione con la paziente, spaventata dalle conseguenze psicologiche di un successo, pur desiderato, ma accompagnato da un paventato cambiamento.

Per motivazioni analoghe é del tutto insufficiente incoraggiare la presenza dei genitori nei reparti dei bambini prematuri se non si offre loro la possibilità di elaborare la grande angoscia che li percorre. Diventa impossibile, soprattutto per la mamma, avvicinarsi in maniera convinta e sincera al proprio bambino, che pure ha un grande bisogno della sua presenza, del suo contatto e della sua fiducia incoraggiante, se non le viene data un’assistenza che le permetta di condividere ed elaborare il suo sentirsi colpevolmente responsabile e profondamente inadeguata.

 Trattare questi profondi disturbi psicologici in ospedale aumenta notevolmente la possibilità di esiti favorevoli anche in situazioni considerate gravi da un punto di vista medico.

         Molti di questi casi, come si è detto sopra, non approderebbero mai a un’esplicita richiesta di cura psicologica, condannando queste pazienti a una vita di sofferenza mai chiarita.

   In questo senso in tutti questi casi viene svolto un lavoro prezioso di cura e di prevenzione in termini psichici sia direttamente sulla donna, cui viene data l’occasione di maturare e crescere insieme al suo bambino, che sulla coppia, spesso aiutata contestualmente a rinnovarsi, che sul bambino cui si evita il contatto con una figura materna spaventata e sofferente.

Il trattamento di questi casi avviene in un setting tradizionale psicoterapico con sedute di quarantacinque minuti, frequenza e durata variabile a seconda della gravità del disturbo. Le terapie possono durare da pochi mesi ad alcuni anni.

              E’altrettanto importante che in ospedale lo psicologo partecipi ai corsi di preparazione al parto per comunicare e chiarire alle coppie in attesa l’importanza cruciale di un’adeguata declinazione dei codici affettivi materno e paterno per la crescita emotiva sana del proprio figlio: chiarendo e proponendo ciò che oggi la psicologia sa sull’evoluzione affettiva dell’essere umano, a partire dalla vita nell’utero attraverso la nascita, l’infanzia, l’adolescenza fino all’acquisizione della maturità affettiva non più fondata sul bisogno, ma mediata dalla scelta e dal desiderio. E’ un’occasione per guidare genitori completamente ignari a vivere la loro responsabilità e il loro ruolo con consapevolezza e piacere: nella nostra società non esistono infatti altri luoghi o occasioni (l’educazione sessuale delle scuole medie o medie superiori non si discosta granchè da una lezione di mera anatomia) in cui far passare questo sapere così necessario perché tutti possano riflettere ed appropriarsi di uno strumento che certamente aiuterebbe ad orientarsi in modo più sano nel rapporto quotidiano con la realtà. Si tratta infatti di un sapere non immediatamente noto, anche se altamente intuitivo: perché la società nella quale viviamo è spesso in contrasto, nelle sue abitudini, nelle sue richieste e nei suoi valori, con le direttive di un buona salute psichica. In tal modo la nascita in ospedale si trasformerebbe in un’occasione non solo di assistenza fisica ma anche di formazione psichica per i futuri genitori.

          Infine lo psicologo in ospedale non può limitarsi a occuparsi delle patologie o a parlare di affettività ai pazienti: la sua presenza deve diventare uno strumento di consapevolezza psicologica per tutti gli altri operatori. Ciò vale per tutte le specialità della medicina sempre più raffinate da un punto di vista tecnico, ma poco attente nel considerare la relazione affettiva che permea il rapporto istituzione/paziente, medico/paziente, operatore sanitario/paziente. Ma ancor più mi sembra fondamentale in una specialità come l’Ostetricia che si occupa di un evento che va a coincidere col sorgere dell’affettività stessa. Lo sforzo deve essere quello di formare il personale medico, ostetrico e infermieristico con modalità analoga a quella usata per i genitori. Si tratta infatti di disvelare anche agli operatori sanitari, che per lo più non ne hanno alcuna cognizione, il senso profondo contenuto in ciò di cui si occupano quotidianamente perché ricordino che gravidanza, parto e allattamento sono funzioni fisiologicamente intrise di significati affettivi decifrabili.

Io lo faccio ormai da anni utilizzando la descrizione affettiva della gravidanza, del parto e del puerperio come trasformazione dei bisogni del bambino dall’orbita simbiotica alla conquista dell’autonomia che presiede alla reciprocità adulta sottolineando l’importanza, perché ciò avvenga, di un uso integrato dei codici affettivi materno e paterno: la conoscenza e l’uso di questi stessi codici infatti media anche il rapporto fra medico e paziente, fondato sulla stessa imparità e bisogno, e ne garantisce la qualità e adeguatezza. Ciò permette da un lato che gli operatori, stimolati a comprendere, imparino a ben gestire l’affettività, fatta di bisogni e aspettative, che intercorre fra il paziente e gli operatori sanitari: ciò concorre a ottenere un clima di rispetto e di fiducia che lavora accanto alle operazioni mediche verso il buon esito della cura; dall’altro lato permette, attraverso la comprensione dei risvolti affettivi impliciti negli atti stessi che si compiono, di discutere e comprendere più adeguatamente il significato di determinate prassi (esami precoci, amniocentesi, ecografie di vario livello, parti cesarei programmati o no, induzioni, uso dell’anestesia epidurale, ecc.) evitando che una pratica medica esclusivamente tecnica e colpevolmente miope trascuri o calpesti, ignorandoli, aspetti affettivi impliciti nella gravidanza che vanno invece protetti e conservati a favore della donna, della sua autonomia, della sua capacità e del suo buon rapporto col bambino.

IVG=Interruzione Volontaria di Gravidanza

MEF= Morte EndouterinaFetale

 

Il presente articolo si basa sull'esperienza di quindici anni di lavoro clinico presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'Ospedale di Monza e, più recentemente, dell'Ospedale S.Giuseppe di Milano.

I fondamenti teorici derivano dallo sviluppo del pensiero psicanalitico freudiano attraverso le opere di R.A. Spitz, D.W. Winnicott, J.Bowlby, M.Mahler, H.Kohut, W.R.D.Fairbairn e F. Fornari.

 

 
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Aggiornato il: 17-12-02.