LA VOLPE E LA CICOGNA
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Gli insegnanti dell´Interclasse Seconda decisero
di impegnare buona parte della loro programmazione annuale nell´analisi di alcune favole
classiche: quelle dove gli animali, antropomorfizzati, stanno a ricordare vizi e virtù
della condizione umana, e dove c´è sempre nascosta una morale, facilmente intuibile dai
bambini.
L´impresa occupò l´intero team docente per il primo quadrimestre: si articolò pertanto
in percorsi interdisciplinari e confluì nella costruzione collettiva di un´applicazione
ipermediale, in grado di documentare gli aspetti ritenuti significativi da parte di tutti
gli autori dell´esperienza.
Per cominciare gli insegnanti passarono in rassegna le favole classiche più famose e da
loro conosciute, cercando di scegliere quelle che meglio si adattavano ai contesti
educativi in cui erano soliti operare: implicito è infatti l´intento di stimolare la
riflessione su alcune dinamiche, che spesso coinvolgono i loro alunni nelle relazioni con
altri da sé.
Nel frattempo il gruppo docente predispose una sintetica mappa concettuale, per
condividere da un lato la pianificazione delle future attività didattiche, attivando
percorsi transdisciplinari, e dall´altro individuare alcuni interrogativi, a cui si
cercò di rispondere attraverso l'indagine delle favole proposte ai bambini.
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INTERNO CLASSE: fu così che un
bel mattino di settembre i bambini della Classe Seconda A fecero conoscenza con ¨La
volpe e la cicogna¨ di La Fontaine, seppur nella versione lievemente modificata dagli
insegnanti.
Nella classe regnava una magica atmosfera di silenzio, quello delle grandi occasioni in
cui l´ascolto diventa l´unico centro di interesse verso cui dirigere sforzi ed
attenzione, rotto soltanto dalla voce della maestra, intenta a leggere la favola, facendo
del suo meglio per sprigionare dalla lettura tutto il detto e il non detto, che di certo
già attirava l´immaginazione dei suoi alunni.
Terminato che fu, ella non aggiunse altro per quel mattino, per lasciare intatta quella
condizione di meraviglia, che ben descrive Daniel Pennac nel suo testo ¨Come un
romanzo¨.
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9 -Il diritto di leggere ad alta voce:
¨L´uomo che legge a viva voce si espone completamente. Se non sa che cosa legge, è
ignorante nelle parole, è qualcosa di penoso, e lo si capisce. Se si rifiuta di abitare
la sua lettura, le parole rimangono lettera morta, e si sente. Se riempie il testo della
sua presenza, l´autore si ritrae, è un numero da circo e si vede. L´uomo che legge a
viva voce si espone completamente agli occhi che lo ascoltano.
Se legge veramente, se ci mette il suo sapere dominando il piacere, se la lettura è un
atto di simpatia per l´uditorio come per il testo e il suo autore, se egli riesce a far
sentire la necessità di scrivere risvegliando i nostri più oscuri bisogni di capire,
allora i libri si spalancano e in essi, dietro a lui, si riversa la folla di coloro che si
credevano esclusi dalla lettura¨
(Daniel Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli, Milano, 1993, pp.137-138)