di Fortunato
Pergolizzi
Il professor Fortunato Pergolizzi, anzi meglio l'amico Pergolizzi,
ha voluto che fosse mio l'onore, tale lo ritengo, di
presentare il suo libro, Antonello oltre il visibile, che
raccoglie in breve e parziale silloge i numerosi, dottissimi e
gradevolissimi articoli che nell'arco di alcuni anni egli ha
pubblicato sulla Gazzetta del Sud. Era
il periodo in cui sia lui che io lavoravamo all'Archimede, un
tempo che ricordiamo con forte coinvolgimento emotivo perché, sia
pur operando con compiti diversi ma complementari e interagenti,
uguale era l'amore e la fiducia per la scuola, per quella nostra
scuola. Legami già allora antichi, ma che in quel ritrovarci in
un comune progetto e impegno sono divenuti così forti e intensi
da rendere inadeguate e superflue tra noi le parole. Più l'arco
della vita declina, più la vera amicizia diviene inestimabile
dono; ma l'amicizia, come tutto ciò che appartiene alla sfera del
cuore, vela le scelte della ragione, che avrebbe dovuto suggerire
all'autore un presentatore di me più esperto in questo specifico
settore delle arti figurative. Più volte mi sono affettuosamente
e inutilmente negato; alla fine ha vinto la sua ancor più
affettuosa insistenza: spero perdonerete i miei limiti.
Antonello oltre il visibile: i titoli sono già per sé
un'importante chiave interpretativa, e vanno quindi osservati con
attenzione. C'è in questo titolo l'indicazione dell'angolato
settore verso cui l'autore ha principalmente orientato la sua
ricerca, e c'è l'invito al lettore, che voglia accostarsi a un
quadro di Antonello, a non fermarsi all'ampio respiro della sua spazialità, alle vibrazioni
della sua luce, allo smalto, alla sinfonia dei colori, in una
parola alla perfezione e bellezza del visibile, ma di andare
oltre, per penetrare nella segreta dimensione esoterica, misterica,
fatta di simboli e complessi rimandi metaforici; una dimensione in
cui ci smarriremmo senza l'aiuto di una paziente ed esperta guida,
di un Virgilio che ci accompagni in questo aldilà del visibile.
Pergolizzi è il nostro paziente ed amorevole Virgilio, l'esperta
guida che ci conduce nell'Oltre della pittura antonelliana. Pergolizzi
legge, quindi, per noi Antonello, e lo legge con gli strumenti
della cultura e della sensibilità di un artista, di un pittore
quale - è bene ricordarcelo - è, anche, l'autore del libro che
stasera viene presentato; una lettura che ci invita ad intendere -dicevo
- non solo il colore, l'aria che circola entro le due dimensioni
del quadro, anzi le tre dimensioni essendo fortissima in Antonello
l'attenzione alla spazialità tridimensionale con le tecniche
della prospettiva da poco riscoperta nella pittura; non solo ad
entrare, cioè, in quella rigorosa struttura: il punto di vista,
le linee di forza, la collocazione delle figure nell'architettura
dello spazio, l'intersezione e l'assemblaggio dei piani. Tutto
questo era già stato da altri perfettamente rintracciato e
chiarito; Pergolizzi va oltre il visibile, oltre - e cito dalla
esperta ed intelligente prefazione l'intonaco che copre i
significati e che perciò bisogna scrostare con gli strumenti
colti e sensibili di una raffinata chiave interpretativa. Una
lettura, dunque, nuova ed estremamente fruttuosa, perché nuova è
- cito ancora dalla prefazione - la forza medianica che entra nel
codice cifrato dei segni, che interagiscono con gli intrecci
epocali più lontani. Una lettura storicizzata che colloca
Antonello nel contesto di un'età innovatrice e complessa, quale
fu il quattrocento; colloca l'uomo e la sua pittura in quel
pensiero, in quella cultura, in quella visione del mondo che si
apriva al nuovo, che ridava all'uomo quella orgogliosa e impegnata
centralità che fu del mondo classico e che il medioevo aveva
smarrito o meglio aveva spostato oltre la terra, privilegiando
l'incommensurabile centralità del divino. E tuttavia in questo
Umanesimo che dall'Italia irradiava nel mondo il nuovo pensiero,
la nuova civiltà di cui tutti ancor oggi siamo figli ed eredi, in
questo Umanesimo quattrocentesco in cui era presente e vivo il
neoplatonismo, l'ansia del divino, dell'universale, di ciò che ai
sensi è negato, ma rimane insopprimibile aspirazione e speranza,
era ancora fortissima, diversa ma non meno avvertita di quella che
caratterizzò la cultura e l'arte del Medioevo. I
critici, gli studiosi di Antonello, anche i grandissimi, anche i
più recenti, cito ancora dalla prefazione - accennando a un
barlume interpretativo, si sono fermati al limite di una
decifrazione appena sussurrata. Con queste parole che ho voluto
citare perché mi sembra che colgano perfettamente le ragioni e il
valore del lavoro di Pergolizzi non si vuole certamente affermare
che un grande della pittura come è Antonello non sia stato finora
inteso; faremmo torto all'intelligenza e alla serietà del nostro
autore che all'artista messinese ha dedicato trent'anni di attento
studio e conosce benissimo quanto e con quanta ricchezza su di lui
è stato scritto: basti ricordare tra tutti Stefano Bottari, che
io ho avuto il privilegio di avere come mio professore nel liceo
Maurolico, un critico di raffinata sensibilità e profonda
cultura, che su Antonello ha espresso giudizi definitivi, credo
non più perfettibili. Ma anche Bottari nella sua fondamentale
opera monografica o in altri scritti dedicati ad Antonello non ha
ritenuto di doversi soffermare a illustrare e chiarire tutta la
complessa simbologia che sorregge quella pittura. Pergolizzi,
invece, con un ricco e dominato corredo di strumenti storici e
filologici ci fa più compiutamente conoscere l'Antonello
mistagogo. Mistagogo si dice - di chi, dotato di profonda dottrina
e di elevata ispirazione, è in grado di comunicare ad altri
supreme e recondite verità. Antonello fu anche questo e viene
restituito nella sua interezza alla nostra conoscenza e alla
nostra ammirazione dalla lettura di Pergolizzi: questa la novità
dei suoi saggi raccolti oggi in volume, questo il centro della sua
attenta analisi, la chiave per penetrare nella pittura
antonelliana e intenderne la complessità senza sbadate, ignare o
parcellizzate letture. Mistagogo
non fu solo Antonello; mistagoghi furono in maggiore o minore
misura tutti i grandi pittori del quattro e del cinquecento,
che sotto questo aspetto presentano una sorta di continuità con
le arti figurative dei secoli precedenti. Certo tra la concezione
figurale propria dell'età medievale, così acutamente penetrata da
Auerbach, e il simbolismo rinascimentale influenzato dal
neoplatonismo e contaminato da innesti mitologici talora
paganeggianti c'è una grande differenza, ma i materiali
metaforici sono spesso i medesimi. Non è questa la sede per
tentare di chiarire quale sostanziale divaricazione nell'apparente
continuità ci sia tra il simbolismo medievale e quello del
nascente e trionfante Umanesimo.
Chi voglia maggiormente documentarsi su questi materiali
metaforici e simbolici troverà un esaustivo catalogo nel lavoro
di Gèrard de Champeaux "I simboli del medioevo", oltre che nel
notissimo Mimesis del già citato Auerbach. Utile altresì la
consultazione di altri due testi: Il medioevo fantastico di Yurgis
Baltusaitis e Il pensiero esoterico di Leonardo di Paul Villaud,
che ci consente di mettere a confronto l'esoterismo dei due
grandissimi pittori presso che coevi, testi tutti citati nella
bibliografia essenziale posta in calce. Ciò che qui importa è
che Antonello e molti altri pittori rinascimentali quei materiali
usarono, sia pure contaminati da altri apporti ed altre
sovrapposte metafore. Se li conosciamo, se qualcuno, come fa
Pergolizzi, ce li indica e ce ne dà la decodificazione, certi
particolari, che altrimenti potrebbero apparire gratuiti o
solamente decorativi, divengono messaggio, divengono la vera
ragione d'essere del quadro più ancora talvolta del tema o del
personaggio che appariscentemente vi dominano. Sarebbe certamente
interessante verificare sulle diapositive dei quadri di Antonello,
esaminati e decifrati con acribia da Pergolizzi, tutta la
complessa simbologia che ha guidato il pennello del pittore; ma
non vorrei abusare della vostra cortesia e pazienza. Procederemo,
quindi, all'analisi più puntuale di due dipinti soltanto, il
Polittico di San Gregorio e il San Gerolamo nello studio,
riferendo quanto su di essi scrive il nostro autore nei due primi
saggi del libro, mentre per gli altri mi limiterò a qualche
essenziale cenno, lasciando a voi il piacere di una soggettiva
scoperta e lettura.
Il Polittico di San Gregorio si trova nel nostro Museo. In
premessa nel suo saggio Pergolizzi getta un breve ma efficace
sguardo sulla Messina del XV secolo, ove Antonello nacque e dove
ebbe inizio la sua attività. Una Messina che forse anche chi
possiede tutti gli strumenti culturali per non ignorarlo dimentica
che sia mai esistita, tanto essa è lontana purtroppo dalla città
in cui oggi viviamo. Una
Messina in cui operavano umanisti quali Domenico Aurispa,
Costantino Lascaris e il cardinale Bessarione che, profughi da
Costantinopoli caduta in mano ai Turchi, fondarono qui una scuola
di grecisti, aprendo alla grande civiltà e alla cultura greca
l'Umanesimo, allora quasi soltanto volto al culto della latinità,
tanto da fare esclamare ad Aldo Manuzio, il grande tipografo
umanista veneziano, che nella città dello Stretto era sorta la
nuova Atene. E' bene leggere quanto in proposito scrive Pergolizzi
(pag. 17 1° e 2° paragrafo). Abbiamo qui la conferma
di quella simbiosi, di quell'amalgama tra pensiero e simbologia
cristiani e pensiero e simbologia del paganesimo greco-latino, che
caratterizzò tanta arte e cultura rinascimentale e influenzò
profondamente Antonello, la cui pittura non si può intendere,
quindi, senza questa griglia interpretativa. Ecco, ad esempio, la
pesca che il Bambino Gesù tiene sulla gambetta; la pesca a forma
di cuore è un simbolo ereditato da lontanissimi tempi , ma poiché
al picciolo non è attaccata la foglia che simboleggia per la sua
forma la lingua, Pergolizzi ci spiega che quel gesto ci dice che
il Figlio rivolge a Maria l'invito a tacere la Sua divinità sino
a quando il cuore non abbia deciso di parlare, cioè sino a
quando non avrà inizio la Sua missione pubblica. Il Bambino
toglie dalle mani della Madre le ciliegie; il ceraso dalle foglie
velenose nella simbologia misterica rappresenta la perfidia umana:
questo particolare quindi ci dice che Gesù libera Maria, novella
Eva, dal peccato originale. Il corallo rosso che pende al collo
del Bambino è il simbolo della Passione; ma poiché il corallo è
anche l'amuleto caro ai pagani il significato che viene trasmesso
in modo iniziatico è che la Passione avverrà in un mondo pervaso
dalla superstizione; il mantello di Maria è decorato dal cardo,
tradizionale simbolo di Cristo e della sua passione, ma qui anche
del dolore che trafiggerà la Madre. Un altro particolare, il
rosario che pende in basso dalla predella, parrebbe solo un chiaro
simbolo mariano; ma se si guarda più attentamente si scorge che i
grani non sono cinquanta come nel rosario cristiano, ma solo
trentotto; è quindi una coroncina simile al rosario musulmano
testimonianza del rispetto che l'Islam aveva per la vergine Maria,
ma i 38 grani alludono al versetto 38 della Sunnah che raccoglie
le prediche di Maometto, un versetto che ribadisce la superiorità
dell'uomo sulla donna che è a lui inferiore, mentre invece il
cristianesimo colloca sul trono Maria, proprio una donna, sul più
alto gradino dell'umanità.
Ancora più ricca e complessa
la simbologia misterica del San Gerolamo nello studio che si
trova nella National Gallery di Londra. Lo studiolo è posto in un
grande ambiente basilicale, cui si accede da un ampio portale,
sormontato da un arco a sesto ribassato i cui conci anziché in
numero dispari, come è costante tradizione architettonica, sono
12 a rappresentare gli Apostoli. L'arco è sormontato da una
cuspide a forma di cardo - Cristo - che così abbraccia non
solo i discepoli, ma tutta la Terra, simboleggiata da quanto è
racchiuso dall'apertura quadrata del portale archetipo della città
santa, Gerusalemme - Abbiamo così nel quadro simboleggiato
l'universo cristiano: il cielo al di sopra dell'arco col cardo -
Cristo, e sotto la terra; al centro dei due mondi, terra e cielo,
il Vangelo aperto sul leggio, mentre sotto il gradino inferiore,
da cui si accede al tempio entro cui è lo studio del Santo, è il
mondo ctonio, gli Inferi custoditi dal pavone, che rimanda ad Argo
dai cento occhi e dalla pernice - I'"Astuzia" nemica
della Verità. Sempre in basso sulla destra è un catino che il
Michiel, che vide il quadro a Venezia nel 1529, curiosamente definì un "bacil de barbiero"; è invece il simbolo del
mare che circonda la terra, ma anche del fonte battesimale, che
lava dal peccato originale. Il
messaggio mistagogico più impegnato e intenso è nella parte
centrale del quadro, incorniciata dal portale. Lo scanno su cui
siede il santo poggia su tre archi, tre come gli scalini -
l'ascesa verso Dio per mezzo di una scala, Cristo, e delle tre
virtù teologali - ma poiché queste virtù, Fede Speranza e Carità,
non furono possedute né dall'ebraismo né dall'Islam, le due
religioni non ricevono la luce che frontalmente si proietta sul
Santo e su tutta la sacra scena, ma sono nell'ombra l'ignoranza,
l'assenza - proiettata dallo stipite del portale sul fianco dello
scaffale ove è appeso l'ephod, la stola del rabbino, mentre
l'Islam è simboleggiata dal gatto, metafora del dissimulatore dei
vizi e animale caro a Maometto. Ma
c'è ancora dell'altro: il santo per salire sullo scanno - il
trascendente - ha lasciato ai piedi della scala le babbucce, perché
il sacro non sia contaminato dalle cose terrene; lo scaffale è
diviso in quattro scansie - i 4 Vangeli e sullo sfondo a sinistra
le finestre si aprono su un paesaggio con lo scorcio di uno
specchio d'acque, sui cui è una barca - la barca di Pietro, la
Chiesa, che traghetta l'umanità alla Gerusalemme celeste - la
città turrita. Si intravede un giardino, l'Eden, con un solitario
cipresso - l'albero del mistero della vita, già presente nella
simbologia pagana, piantato com'era all'ingresso dei templi. A
destra nella fuga delle colonne del tempio avanza verso chi guarda
il Leone - Cristo risorto che libera i figli di Adamo,
rappresentati dai garofani e dall'alberello nei vasi di ceramica
blu - Da notare che anche in questo quadro come in altri di
Antonello - vedremo più oltre nelle tre Crocifissioni - il
paesaggio è quello che il pittore si portava nel cuore, Messina e
lo Stretto. Nel San Gerolamo il panorama è visto dalla fiumara
del Boccetta, nei pressi di quel Cortiglio degli Schiavi ove
Antonello abitava.
Uno sguardo, ora,
necessariamente rapido agli altri quadri analizzati da Pergolizzi.
L'Ecce Homo, del 1473, si trova
a Piacenza, nel Collegio San Lazzaro. Interessante il particolare
inusitato - non lo troviamo infatti nelle tante rappresentazioni
dell'Ecce Homo di altri pittori - un particolare che Antonello
mutua dalle sculture romaniche: la corda annodata con tre nodi -
la Trinità - intorno al Christus patiens. Il supplizio, che non
ha riscontro nei vangeli, costringeva i condannati con la corda
legata al collo, ancorata al terreno e tenuta malvagiamente corta,
a stare curvi, in una posizione che dopo poco tempo diveniva
dolorosissima; ma Cristo quella corda ha spezzato, si è liberato,
e ci ha liberato, dai maligni legami che rendono schiavi della
terra. La successiva diapositiva ci consente di scorgere meglio le
quattro gocce di lacrime, che rigano il santo Volto,e
simboleggiano i quattro Vangeli, e insieme alle gocce di sangue
richiamano l'acqua e il vino del rito sacrificale della messa
Il Salvator mundi, 1465, National Gallery di Londra. Notevole
è in questo quadro il colore biondo dei capelli di Cristo, prima
tradizionalmente di colore nero, con maggiore rispetto dell'etnia
di Gesù. Ha inizio l'iconografia del Nazareno biondo (Apollo?)
che diventerà dominante. La mano, come rivelato da una
radiografia, era stata in un primo momento dipinta a poggiare sul
petto - la perfezione raggiunta da Cristo come uomo (Barrois poi
Antonello preferì le dita nel gesto benedicente, simbolo della
Trinità, e che aggettano in avanti sfondando lo spazio, cosi come
nella celeberrima Annunziata di Palermo.
Il San Sebastiano, 1475, nella Gemaldegalerie di Dresda. Torna qui
il paesaggio, la profondità dello spazio, accentuata dalla
struttura architettonica di stampo veneziano dietro cui sullo
sfondo si intravede una città con reminiscenze, ancora una volta
dei luoghi dello Stretto. Moltissimi in questo quadro i
particolari simbolici: un vescovo e un rabbino - Vecchio e Nuovo
Testamento - due soldati, uno col rebbio satanico e l'altro
dormiente - il paganesimo che rifiuta il messaggio cristiano -
Impossibile esaminarli tutti; rimando alle ricchissime pagine del
libro.
La Vergine Annunziata, 1.476, Museo regionale, Palermo. E' uno dei
quadri più noti e più belli; non resta che contemplarlo
ammirati.
Le tre Crocifissioni, particolarmente a noi care, perché in tutte
il Golgota è collocato su una collina che si affaccia su Messina
e il suo Stretto. La prima delle tre, dipinta dal venticinquenne
Antonello nel 1455 si trova nel Museo di Sibiu (Bucarest), e qui
il paesaggio, evocato dalla commossa memoria di chi ne è lontano,
si libera dai limiti del reale per un ideale assemblaggio che
consenta di abbracciare in una panoramica esemplare tutti i luoghi
amati, visti dalla collina di Agliastri: il porto falcato, la
penisoletta di San Raineri, la pianura della fiumara di Santa
Maria del Gesù, le barche dei pescatori alla fonda o a secco, le
acque dello Stretto con la riviera sino a capo Faro e,
irrealisticamente, le isole Eolie, che da Messina non si possono
vedere. Dei tanti simboli mi limito al pegno d'amore per Messina,
la città che Antonello portò sempre nella sua mente e nel cuore
ovunque la sua arte e la crescente fama lo spinsero. Un'ultima
brevissima riflessione. Siamo qui riuniti stasera per accogliere e
conoscere un libro al suo apparire; è come festeggiare l'aprirsi
di una nuova vita, anzi qualcosa di più, perché la vita
dell'uomo è insidiata, fragile e breve; un libro è una sfida al
tempo e alla morte, è il tangibile farsi dell'illusoria tensione
dell'uomo verso l'immortalità. Un incontro il nostro tramato
quindi di gioia e di attese: non vorrei si chiudesse con una
riflessione di segno opposto, ma credo che ciascuno di noi ha il
dovere di testimoniare la verità, anche quando il suo sapore è
amaro. Messina, città martire
più volte distrutta dalla cieca furia di forze non dominabili e
dalla ancora più cieca violenza degli uomini, non ha quasi più
nulla del suo pur glorioso passato, un tempo di cui molti che oggi
vi abitano non hanno neppure memoria. Fu splendida e fervida di
vita, ombelico del Mediterraneo, centro di fiorenti attività
produttive, mercantili, finanziarie, artistiche, culturali. Altre
più fortunate città, in nulla maggiori e migliori di lei,
ostentano orgogliose quanto in esse nei secoli si è tesaurizzato
e gelosamente conservato. A noi resta l'unicità di un paesaggio
che nessuno potrà toglierci, anche se insipientemente noi stessi
cerchiamo di deturparlo, e qualche sparuto residuo della sua
passata grandezza e bellezza. Ebbene: anche questo pochissimo è
incomprensibilmente trascurato o ignorato. Duole dirlo ma è un
dovere ricordarlo. Del grande Antonello, gloria della pittura
italiana e preziosa gemma del nostro passato, Pergolizzi per primo
ha individuato qui a Messina il controverso luogo della sua
sepoltura, dandone informazione e documentata indicazione negli
articoli apparsi sulla Gazzetta del Sud. Malgrado ciò, poco è
mancato che le ruspe non ne cancellassero definitivamente ogni
traccia; un ulteriore accorato appello di questo ha indotto almeno
a recintare quel luogo. L'ultimo capitolo del libro di Pergolizzi,
Il giallo della tomba di Antonello, racconta quelle vicende e
spera così di scuotere l'inerzia cui sembra condannata la nostra
città. Su quel sito recintato è calato il silenzio: tutto è
fermo, e forse sotto poca terra si potrebbero trovare preziose
testimonianze e reliquie di quel perduto passato, di quelle nostre
recise radici. Del resto è di oggi la notizia che il Museo,
appena restaurato e ammodernato, rischia di andare in malora perché
mancano o ci vengono negati i fondi per completare i lavori. E'
malinconico, dicevo, chiudere con queste considerazioni un incontro
che dovrebbe essere di gioia, ma vorrei che al nostro
concittadino, che con tanta umiltà, tanta passione e tanta
faticosa ricerca a quel nostro perduto passato si volge per
recuperarlo ed offrirlo alla nostra distratta memoria, venisse qui
stasera almeno donato il conforto della nostra riconoscenza.
Presentazione del prof. Francesco Scisca - Salone degli Specchi
della Provincia
13 maggio 2000
La Sicilia Venerdi, 21 maggio 1999
Un Legame da
Scoprire
Fortunato
Pergolizzí ha scritto un libro sull'amore dell'artista verso la
sua terra natia, entrando nel codice dei segni, cogliendo la forza
di un "mistagogo della pittura
Nella città del
XV secolo Il palcoscenico di Antonello
"A tutti i
cittadini si appartengono tutte le cose pubbliche, le quali sono
parti della città" sosteneva Leon Battista Alberti nel suo
"De re aedificatoria" ed Antonello da Messina appartiene
alla sua città, è in stretta connessione con la Messina fiorente
del XV secolo e costituisce un esempio illuminante per la città
odierna.Se è superfluo ricordare il genio del nostro pittore, è
tuttavia d'uopo ribadire che benché su Antonello sia stato
scritto moltissimo, è mancata un'indagine su Antonello-Messina e
sulle vicende messinesi del sec. XV. Un'epoca felice in cui già
la presenza di Costantino Lascaris nella città dello Stretto era
sintomatica di fiorenti studi umanistici, in una splendida
simbiosi tra civiltà e cultura, tra economia e società. Se
riguardo alla presenza di un'attiva scuola pittorica a Messina le
tesi dei critici sono contrastanti, si sa tuttavia che Antonello
prima del 1457 teneva bottega a Messina, il che farebbe pensare
alla presenza operativa di altri pittori. Ebbene, sulla
formazione umana e artisitica di Antonello, sul suo modo di essere
pittore e sul suo amore verso la città (evidente nelle sue tele),
indaga da circa un trentennio con acuto "accanimento"
filologico Fortunato Pergolizzi, critico e storico dell'arte,
docente e giornalista, oltre che instancabile protagonista di
tante iniziative volte a rispolverare la storia dimenticata
della nostra città. Ma Pergolizzi al di là dell'indagine
iconografica largamente osservata, nell'aver recepito la sensibiltà
e la tecnica di Antonello, vuole andare oltre il visibile,
entrando nel codice cifrato dei segni, cogliendo la forza
medianica di questo "mistagogo" della pittura italiana.
Attraverso uno studio attento della simbologia medioevale
umanistica,
erede di quella pagana, esclusiva chiave di lettura di tutto il
mondo allora conosciuto, Pergolizzi ripercorre l'itinerario
spirituale di Antonello, svelando il quid misterioso che aggiunge,
se necessario, fascino alla splendida fattura delle tele. Di
"Antonello oltre il visibile" oggi possediamo un
prezioso libretto che raccoglie gli scritti dedicati al pittore
(oggi pubblicati da "Parentesi"): una silloge presentata
nel salone degli specchi di Palazzo dei Leoni, col patrocinio
della Provincia, per iniziativa dell'associazione culturale
"Parentesi" col suo direttore, Filippo Briguglio, e
dell'«A.E.D.E.», l'associazione europea degli insegnanti che ha
inserito questa presentazione nelle sue attività culturali
dell'anno. La tavola rotonda, che ha riunito al tavolo dei
relatori, insieme a Pergolizzi e Briguglio, il preside Francesco
Scisca e la prof.ssa Maria Pia Sidoti, si è svolta tra numerosi
convenuti, quanti tra colleghi, amici ed estimatori di Pergolizzi
ritengono che scoprire o riscoprire gli aspetti inediti di
personaggi o di tradizioni misconosciute della storia patria,
significa amare un po' di più questa città bistrattata e
dimenticata dai suoi stessi abitanti. Un percorso di
"ecologia culturale" che impone a tutti l'imperativo
morale di prestare attenzione al nostro patrimonio
artistico-culturale,
per rinsaldare le nostre radici e riqualificare i comportamenti
civili. E' questo, in sostanza, il fine d'iniziative del genere cui
si adeguano le linee programmatiche di "Parentesi". E'
questo l'appello del preside Scisca che ha cosi concluso la sua
relazione sull'analisi esegetica di Pergolizzi su Antonello da
Messina.
Patrizia Danzé
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