PRESENTAZIONE DEL LIBRO  "ANTONELLO OLTRE IL VISIBILE" 

di Fortunato Pergolizzi

Il professor Fortunato Pergolizzi, anzi meglio l'amico Pergolizzi, ha voluto che fosse mio l'onore,  tale lo ritengo, di presentare il suo libro, Antonello oltre il visibile, che raccoglie in breve e parziale silloge i numerosi, dottissimi e gradevolissimi articoli che nell'arco di alcuni anni egli ha pubblicato sulla Gazzetta del Sud. Era il periodo in cui sia lui che io lavoravamo all'Archimede, un tempo che ricordiamo con forte coinvolgimento emotivo perché, sia pur operando con compiti diversi ma complementari e interagenti, uguale era l'amore e la fiducia per la scuola, per quella nostra scuola. Legami già allora antichi, ma che in quel ritrovarci in un comune progetto e impegno sono divenuti così forti e intensi da rendere inadeguate e superflue tra noi le parole. Più l'arco della vita declina, più la vera amicizia diviene inestimabile dono; ma l'amicizia, come tutto ciò che appartiene alla sfera del cuore, vela le scelte della ragione, che avrebbe dovuto suggerire all'autore un presentatore di me più esperto in questo specifico settore delle arti figurative. Più volte mi sono affettuosamente e inutilmente negato; alla fine ha vinto la sua ancor più affettuosa insistenza: spero perdonerete i miei limiti. 
Antonello oltre il visibile: i titoli sono già per sé un'importante chiave interpretativa, e vanno quindi osservati con attenzione. C'è in questo titolo l'indicazione dell'angolato settore verso cui l'autore ha principalmente orientato la sua ricerca, e c'è l'invito al lettore, che voglia accostarsi a un quadro di Antonello, a non fermarsi  all'ampio respiro della sua spazialità, alle vibrazioni della sua luce, allo smalto, alla sinfonia dei colori, in una parola alla perfezione e bellezza del visibile, ma di andare oltre, per penetrare nella segreta dimensione esoterica, misterica, fatta di simboli e complessi rimandi metaforici; una dimensione in cui ci smarriremmo senza l'aiuto di una paziente ed esperta guida, di un Virgilio che ci accompagni in questo aldilà del visibile. Pergolizzi è il nostro paziente ed amorevole Virgilio, l'esperta guida che ci conduce nell'Oltre della pittura antonelliana. Pergolizzi legge, quindi, per noi Antonello, e lo legge con gli strumenti della cultura e della sensibilità di un artista, di un pittore quale - è bene ricordarcelo - è, anche, l'autore del libro che stasera viene presentato; una lettura che ci invita ad intendere -dicevo - non solo il colore, l'aria che circola entro le due dimensioni del quadro, anzi le tre dimensioni essendo fortissima in Antonello l'attenzione alla spazialità tridimensionale con le tecniche della prospettiva da poco riscoperta nella pittura; non solo ad entrare, cioè, in quella rigorosa struttura: il punto di vista, le linee di forza, la collocazione delle figure nell'architettura dello spazio, l'intersezione e l'assemblaggio dei piani. Tutto questo era già stato da altri perfettamente rintracciato e chiarito; Pergolizzi va oltre il visibile, oltre - e cito dalla esperta ed intelligente prefazione l'intonaco che copre i significati e che perciò bisogna scrostare con gli strumenti colti e sensibili di una raffinata chiave interpretativa. Una lettura, dunque, nuova ed estremamente fruttuosa, perché nuova è - cito ancora dalla prefazione - la forza medianica che entra nel codice cifrato dei segni, che interagiscono con gli intrecci epocali più lontani. Una lettura storicizzata che colloca Antonello nel contesto di un'età innovatrice e complessa, quale fu il quattrocento; colloca l'uomo e la sua pittura in quel pensiero, in quella cultura, in quella visione del mondo che si apriva al nuovo, che ridava all'uomo quella orgogliosa e impegnata centralità che fu del mondo classico e che il medioevo aveva smarrito o meglio aveva spostato oltre la terra, privilegiando l'incommensurabile centralità del divino. E tuttavia in questo Umanesimo che dall'Italia irradiava nel mondo il nuovo pensiero, la nuova civiltà di cui tutti ancor oggi siamo figli ed eredi, in questo Umanesimo quattrocentesco in cui era presente e vivo il neoplatonismo, l'ansia del divino, dell'universale, di ciò che ai sensi è negato, ma rimane insopprimibile aspirazione e speranza, era ancora fortissima, diversa ma non meno avvertita di quella che caratterizzò la cultura e l'arte del Medioevo. I critici, gli studiosi di Antonello, anche i grandissimi, anche i più recenti, cito ancora dalla prefazione - accennando a un barlume interpretativo, si sono fermati al limite di una decifrazione appena sussurrata. Con queste parole che ho voluto citare perché mi sembra che colgano perfettamente le ragioni e il valore del lavoro di Pergolizzi non si vuole certamente affermare che un grande della pittura come è Antonello non sia stato finora inteso; faremmo torto all'intelligenza e alla serietà del nostro autore che all'artista messinese ha dedicato trent'anni di attento studio e conosce benissimo quanto e con quanta ricchezza su di lui è stato scritto: basti ricordare tra tutti Stefano Bottari, che io ho avuto il privilegio di avere come mio professore nel liceo Maurolico, un critico di raffinata sensibilità e profonda cultura, che su Antonello ha espresso giudizi definitivi, credo non più perfettibili. Ma anche Bottari nella sua fondamentale opera monografica o in altri scritti dedicati ad Antonello non ha ritenuto di doversi soffermare a illustrare e chiarire tutta la complessa simbologia che sorregge quella pittura. Pergolizzi, invece, con un ricco e dominato corredo di strumenti storici e filologici ci fa più compiutamente conoscere l'Antonello mistagogo. Mistagogo si dice - di chi, dotato di profonda dottrina e di elevata ispirazione, è in grado di comunicare ad altri supreme e recondite verità. Antonello fu anche questo e viene restituito nella sua interezza alla nostra conoscenza e alla nostra ammirazione dalla lettura di Pergolizzi: questa la novità dei suoi saggi raccolti oggi in volume, questo il centro della sua attenta analisi, la chiave per penetrare nella pittura antonelliana e intenderne la complessità senza sbadate, ignare o parcellizzate letture. Mistagogo non fu solo Antonello; mistagoghi furono in maggiore o minore misura tutti i grandi pittori del quattro e del cinquecento, che sotto questo aspetto presentano una sorta di continuità con le arti figurative dei secoli precedenti. Certo tra la concezione figurale propria dell'età medievale, così acutamente penetrata da Auerbach, e il simbolismo rinascimentale influenzato dal neoplatonismo e contaminato da innesti mitologici talora paganeggianti c'è una grande differenza, ma i materiali metaforici sono spesso i medesimi. Non è questa la sede per tentare di chiarire quale sostanziale divaricazione nell'apparente continuità ci sia tra il simbolismo medievale e quello del nascente e trionfante Umanesimo. Chi voglia maggiormente documentarsi su questi materiali metaforici e simbolici troverà un esaustivo catalogo nel lavoro di Gèrard de Champeaux "I simboli del medioevo", oltre che nel notissimo Mimesis del già citato Auerbach. Utile altresì la consultazione di altri due testi: Il medioevo fantastico di Yurgis Baltusaitis e Il pensiero esoterico di Leonardo di Paul Villaud, che ci consente di mettere a confronto l'esoterismo dei due grandissimi pittori presso che coevi, testi tutti citati nella bibliografia essenziale posta in calce. Ciò che qui importa è che Antonello e molti altri pittori rinascimentali quei materiali usarono, sia pure contaminati da altri apporti ed altre sovrapposte metafore. Se li conosciamo, se qualcuno, come fa Pergolizzi, ce li indica e ce ne dà la decodificazione, certi particolari, che altrimenti potrebbero apparire gratuiti o solamente decorativi, divengono messaggio, divengono la vera ragione d'essere del quadro più ancora talvolta del tema o del personaggio che appariscentemente vi dominano. Sarebbe certamente interessante verificare sulle diapositive dei quadri di Antonello, esaminati e decifrati con acribia da Pergolizzi, tutta la complessa simbologia che ha guidato il pennello del pittore; ma non vorrei abusare della vostra cortesia e pazienza. Procederemo, quindi, all'analisi più puntuale di due dipinti soltanto, il Polittico di San Gregorio e il San Gerolamo nello studio, riferendo quanto su di essi scrive il nostro autore nei due primi saggi del libro, mentre per gli altri mi limiterò a qualche essenziale cenno, lasciando a voi il piacere di una soggettiva scoperta e lettura. 
Il Polittico di San Gregorio si trova nel nostro Museo. In premessa nel suo saggio Pergolizzi getta un breve ma efficace sguardo sulla Messina del XV secolo, ove Antonello nacque e dove ebbe inizio la sua attività. Una Messina che forse anche chi possiede tutti gli strumenti culturali per non ignorarlo dimentica che sia mai esistita, tanto essa è lontana purtroppo dalla città in cui oggi viviamo. Una Messina in cui operavano umanisti quali Domenico Aurispa, Costantino Lascaris e il cardinale Bessarione che, profughi da Costantinopoli caduta in mano ai Turchi, fondarono qui una scuola di grecisti, aprendo alla grande civiltà e alla cultura greca l'Umanesimo, allora quasi soltanto volto al culto della latinità, tanto da fare esclamare ad Aldo Manuzio, il grande tipografo umanista veneziano, che nella città dello Stretto era sorta la nuova Atene. E' bene leggere quanto in proposito scrive Pergolizzi (pag. 17   1° e 2° paragrafo). Abbiamo qui la conferma di quella simbiosi, di quell'amalgama tra pensiero e simbologia cristiani e pensiero e simbologia del paganesimo greco-latino, che caratterizzò tanta arte e cultura rinascimentale e influenzò profondamente Antonello, la cui pittura non si può intendere, quindi, senza questa griglia interpretativa. Ecco, ad esempio, la pesca che il Bambino Gesù tiene sulla gambetta; la pesca a forma di cuore è un simbolo ereditato da lontanissimi tempi , ma poiché al picciolo non è attaccata la foglia che simboleggia per la sua forma la lingua, Pergolizzi ci spiega che quel gesto ci dice che il Figlio rivolge a Maria l'invito a tacere la Sua divinità sino a quando il cuore non abbia deciso di parlare, cioè sino a quando non avrà inizio la Sua missione pubblica. Il Bambino toglie dalle mani della Madre le ciliegie; il ceraso dalle foglie velenose nella simbologia misterica rappresenta la perfidia umana: questo particolare quindi ci dice che Gesù libera Maria, novella Eva, dal peccato originale. Il corallo rosso che pende al collo del Bambino è il simbolo della Passione; ma poiché il corallo è anche l'amuleto caro ai pagani il significato che viene trasmesso in modo iniziatico è che la Passione avverrà in un mondo pervaso dalla superstizione; il mantello di Maria è decorato dal cardo, tradizionale simbolo di Cristo e della sua passione, ma qui anche del dolore che trafiggerà la Madre. Un altro particolare, il rosario che pende in basso dalla predella, parrebbe solo un chiaro simbolo mariano; ma se si guarda più attentamente si scorge che i grani non sono cinquanta come nel rosario cristiano, ma solo trentotto; è quindi una coroncina simile al rosario musulmano testimonianza del rispetto che l'Islam aveva per la vergine Maria, ma i 38 grani alludono al versetto 38 della Sunnah che raccoglie le prediche di Maometto, un versetto che ribadisce la superiorità dell'uomo sulla donna che è a lui inferiore, mentre invece il cristianesimo colloca sul trono Maria, proprio una donna, sul più alto gradino dell'umanità. 
Ancora più ricca e complessa la simbologia misterica del San Gerolamo nello studio che si trova nella National Gallery di Londra. Lo studiolo è posto in un grande ambiente basilicale, cui si accede da un ampio portale, sormontato da un arco a sesto ribassato i cui conci anziché in numero dispari, come è costante tradizione architettonica, sono 12 a rappresentare gli Apostoli. L'arco è sormontato da una cuspide a forma di cardo - Cristo -  che così abbraccia non solo i discepoli, ma tutta la Terra, simboleggiata da quanto è racchiuso dall'apertura quadrata del portale archetipo della città santa, Gerusalemme - Abbiamo così nel quadro simboleggiato l'universo cristiano: il cielo al di sopra dell'arco col cardo - Cristo, e sotto la terra; al centro dei due mondi, terra e cielo, il Vangelo aperto sul leggio, mentre sotto il gradino inferiore, da cui si accede al tempio entro cui è lo studio del Santo, è il mondo ctonio, gli Inferi custoditi dal pavone, che rimanda ad Argo dai cento occhi e dalla pernice - I'"Astuzia" nemica della Verità. Sempre in basso sulla destra è un catino che il Michiel, che vide il quadro a Venezia nel 1529, curiosamente definì un "bacil de barbiero"; è invece il simbolo del mare che circonda la terra, ma anche del fonte battesimale, che lava dal peccato originale. Il messaggio mistagogico più impegnato e intenso è nella parte centrale del quadro, incorniciata dal portale. Lo scanno su cui siede il santo poggia su tre archi, tre come gli scalini - l'ascesa verso Dio per mezzo di una scala, Cristo, e delle tre virtù teologali - ma poiché queste virtù, Fede Speranza e Carità, non furono possedute né dall'ebraismo né dall'Islam, le due religioni non ricevono la luce che frontalmente si proietta sul Santo e su tutta la sacra scena, ma sono nell'ombra l'ignoranza, l'assenza - proiettata dallo stipite del portale sul fianco dello scaffale ove è appeso l'ephod, la stola del rabbino, mentre l'Islam è simboleggiata dal gatto, metafora del dissimulatore dei vizi e animale caro a Maometto. Ma c'è ancora dell'altro: il santo per salire sullo scanno - il trascendente - ha lasciato ai piedi della scala le babbucce, perché il sacro non sia contaminato dalle cose terrene; lo scaffale è diviso in quattro scansie - i 4 Vangeli e sullo sfondo a sinistra le finestre si aprono su un paesaggio con lo scorcio di uno specchio d'acque, sui cui è una barca - la barca di Pietro, la Chiesa, che traghetta l'umanità alla Gerusalemme celeste - la città turrita. Si intravede un giardino, l'Eden, con un solitario cipresso - l'albero del mistero della vita, già presente nella simbologia pagana, piantato com'era all'ingresso dei templi. A destra nella fuga delle colonne del tempio avanza verso chi guarda il Leone - Cristo risorto che libera i figli di Adamo, rappresentati dai garofani e dall'alberello nei vasi di ceramica blu - Da notare che anche in questo quadro come in altri di Antonello - vedremo più oltre nelle tre Crocifissioni - il paesaggio è quello che il pittore si portava nel cuore, Messina e lo Stretto. Nel San Gerolamo il panorama è visto dalla fiumara del Boccetta, nei pressi di quel Cortiglio degli Schiavi ove Antonello abitava. Uno sguardo, ora, necessariamente rapido agli altri quadri analizzati da Pergolizzi.  
L'Ecce Homo, del 1473, si trova a Piacenza, nel Collegio San Lazzaro. Interessante il particolare inusitato - non lo troviamo infatti nelle tante rappresentazioni dell'Ecce Homo di altri pittori - un particolare che Antonello mutua dalle sculture romaniche: la corda annodata con tre nodi - la Trinità - intorno al Christus patiens. Il supplizio, che non ha riscontro nei vangeli, costringeva i condannati con la corda legata al collo, ancorata al terreno e tenuta malvagiamente corta, a stare curvi, in una posizione che dopo poco tempo diveniva dolorosissima; ma Cristo quella corda ha spezzato, si è liberato, e ci ha liberato, dai maligni legami che rendono schiavi della terra. La successiva diapositiva ci consente di scorgere meglio le quattro gocce di lacrime, che rigano il santo Volto,e simboleggiano i quattro Vangeli, e insieme alle gocce di sangue richiamano l'acqua e il vino del rito sacrificale della messa
Il Salvator mundi, 1465, National Gallery di Londra. Notevole è in questo quadro il colore biondo dei capelli di Cristo, prima tradizionalmente di colore nero, con maggiore rispetto dell'etnia di Gesù. Ha inizio l'iconografia del Nazareno biondo (Apollo?) che diventerà dominante. La mano, come rivelato da una radiografia, era stata in un primo momento dipinta a poggiare sul petto - la perfezione raggiunta da Cristo come uomo (Barrois poi Antonello preferì le dita nel gesto benedicente, simbolo della Trinità, e che aggettano in avanti sfondando lo spazio, cosi come nella celeberrima Annunziata di Palermo.
Il San Sebastiano, 1475, nella Gemaldegalerie di Dresda. Torna qui il paesaggio, la profondità dello spazio, accentuata dalla struttura architettonica di stampo veneziano dietro cui sullo sfondo si intravede una città con reminiscenze, ancora una volta dei luoghi dello Stretto. Moltissimi in questo quadro i particolari simbolici: un vescovo e un rabbino - Vecchio e Nuovo Testamento - due soldati, uno col rebbio satanico e l'altro dormiente - il paganesimo che rifiuta il messaggio cristiano - Impossibile esaminarli tutti; rimando alle ricchissime pagine del libro.
La Vergine Annunziata, 1.476, Museo regionale, Palermo. E' uno dei quadri più noti e più belli; non resta che contemplarlo ammirati.
Le tre Crocifissioni, particolarmente a noi care, perché in tutte il Golgota è collocato su una collina che si affaccia su Messina e il suo Stretto. La prima delle tre, dipinta dal venticinquenne Antonello nel 1455 si trova nel Museo di Sibiu (Bucarest), e qui il paesaggio, evocato dalla commossa memoria di chi ne è lontano, si libera dai limiti del reale per un ideale assemblaggio che consenta di abbracciare in una panoramica esemplare tutti i luoghi amati, visti dalla collina di Agliastri: il porto falcato, la penisoletta di San Raineri, la pianura della fiumara di Santa Maria del Gesù, le barche dei pescatori alla fonda o a secco, le acque dello Stretto con la riviera sino a capo Faro e, irrealisticamente, le isole Eolie, che da Messina non si possono vedere. Dei tanti simboli mi limito al pegno d'amore per Messina, la città che Antonello portò sempre nella sua mente e nel cuore ovunque la sua arte e la crescente fama lo spinsero. Un'ultima brevissima riflessione. Siamo qui riuniti stasera per accogliere e conoscere un libro al suo apparire; è come festeggiare l'aprirsi di una nuova vita, anzi qualcosa di più, perché la vita dell'uomo è insidiata, fragile e breve; un libro è una sfida al tempo e alla morte, è il tangibile farsi dell'illusoria tensione dell'uomo verso l'immortalità. Un incontro il nostro tramato quindi di gioia e di attese: non vorrei si chiudesse con una riflessione di segno opposto, ma credo che ciascuno di noi ha il dovere di testimoniare la verità, anche quando il suo sapore è amaro. Messina, città martire più volte distrutta dalla cieca furia di forze non dominabili e dalla ancora più cieca violenza degli uomini, non ha quasi più nulla del suo pur glorioso passato, un tempo di cui molti che oggi vi abitano non hanno neppure memoria. Fu splendida e fervida di vita, ombelico del Mediterraneo, centro di fiorenti attività produttive, mercantili, finanziarie, artistiche, culturali. Altre più fortunate città, in nulla maggiori e migliori di lei, ostentano orgogliose quanto in esse nei secoli si è tesaurizzato e gelosamente conservato. A noi resta l'unicità di un paesaggio che nessuno potrà toglierci, anche se insipientemente noi stessi cerchiamo di deturparlo, e qualche sparuto residuo della sua passata grandezza e bellezza. Ebbene: anche questo pochissimo è incomprensibilmente trascurato o ignorato. Duole dirlo ma è un dovere ricordarlo. Del grande Antonello, gloria della pittura italiana e preziosa gemma del nostro passato, Pergolizzi per primo ha individuato qui a Messina il controverso luogo della sua sepoltura, dandone informazione e documentata indicazione negli articoli apparsi sulla Gazzetta del Sud. Malgrado ciò, poco è mancato che le ruspe non ne cancellassero definitivamente ogni traccia; un ulteriore accorato appello di questo ha indotto almeno a recintare quel luogo. L'ultimo capitolo del libro di Pergolizzi, Il giallo della tomba di Antonello, racconta quelle vicende e spera così di scuotere l'inerzia cui sembra condannata la nostra città. Su quel sito recintato è calato il silenzio: tutto è fermo, e forse sotto poca terra si potrebbero trovare preziose testimonianze e reliquie di quel perduto passato, di quelle nostre recise radici. Del resto è di oggi la notizia che il Museo, appena restaurato e ammodernato, rischia di andare in malora perché mancano o ci vengono negati i fondi per completare i lavori. E' malinconico, dicevo, chiudere con queste considerazioni un incontro che dovrebbe essere di gioia, ma vorrei che al nostro concittadino, che con tanta umiltà, tanta passione e tanta faticosa ricerca a quel nostro perduto passato si volge per recuperarlo ed offrirlo alla nostra distratta memoria, venisse qui stasera almeno donato il conforto della nostra riconoscenza. 

Presentazione del prof. Francesco Scisca - Salone degli Specchi della Provincia  13 maggio 2000



La Sicilia Venerdi, 21 maggio 1999

Un Legame da Scoprire

Fortunato Pergolizzí ha scritto un libro sull'amore dell'artista verso la sua terra natia, entrando nel codice dei segni, cogliendo la forza di un "mistagogo della pittura

Nella città del XV secolo Il palcoscenico di Antonello

"A tutti i cittadini si appartengono tutte le cose pubbliche, le quali sono parti della città" sosteneva Leon Battista Alberti nel suo "De re aedificatoria" ed Antonello da Messina appartiene alla sua città, è in stretta connessione con la Messina fiorente del XV secolo e costituisce un esempio illuminante per la città odierna.Se è superfluo ricordare il genio del nostro pittore, è tuttavia d'uopo ribadire che benché su Antonello sia stato scritto moltissimo, è mancata un'indagine su Antonello-Messina e sulle vicende messinesi del sec. XV. Un'epoca felice in cui già la presenza di Costantino Lascaris nella città dello Stretto era sintomatica di fiorenti studi umanistici, in una splendida simbiosi tra civiltà e cultura, tra economia e società. Se riguardo alla presenza di un'attiva scuola pittorica a Messina le tesi dei critici sono contrastanti, si sa tuttavia che Antonello prima del 1457 teneva bottega a Messina, il che farebbe pensare alla presenza operativa di altri pittori. Ebbene, sulla formazione umana e artisitica di Antonello, sul suo modo di essere pittore e sul suo amore verso la città (evidente nelle sue tele), indaga da circa un trentennio con acuto "accanimento" filologico Fortunato Pergolizzi, critico e storico dell'arte, docente e giornalista, oltre che instancabile protagonista di tante iniziative volte a rispolverare la storia dimenticata della nostra città. Ma Pergolizzi al di là dell'indagine iconografica largamente osservata, nell'aver recepito la sensibiltà e la tecnica di Antonello, vuole andare oltre il visibile, entrando nel codice cifrato dei segni, cogliendo la forza medianica di questo "mistagogo" della pittura italiana. Attraverso uno studio attento della simbologia medioevale umanistica, erede di quella pagana, esclusiva chiave di lettura di tutto il mondo allora conosciuto, Pergolizzi ripercorre l'itinerario spirituale di Antonello, svelando il quid misterioso che aggiunge, se necessario, fascino alla splendida fattura delle tele. Di "Antonello oltre il visibile" oggi possediamo un prezioso libretto che raccoglie gli scritti dedicati al pittore (oggi pubblicati da "Parentesi"): una silloge presentata nel salone degli specchi di Palazzo dei Leoni, col patrocinio della Provincia, per iniziativa dell'associazione culturale "Parentesi" col suo direttore, Filippo Briguglio, e dell'«A.E.D.E.», l'associazione europea degli insegnanti che ha inserito questa presentazione nelle sue attività culturali dell'anno. La tavola rotonda, che ha riunito al tavolo dei relatori, insieme a Pergolizzi e Briguglio, il preside Francesco Scisca e la prof.ssa Maria Pia Sidoti, si è svolta tra numerosi convenuti, quanti tra colleghi, amici ed estimatori di Pergolizzi ritengono che scoprire o riscoprire gli aspetti inediti di personaggi o di tradizioni misconosciute della storia patria, significa amare un po' di più questa città bistrattata e dimenticata dai suoi stessi abitanti. Un percorso di "ecologia culturale" che impone a tutti l'imperativo morale di prestare attenzione al nostro patrimonio artistico-culturale, per rinsaldare le nostre radici e riqualificare i comportamenti civili. E' questo, in sostanza, il fine d'iniziative del genere cui si adeguano le linee programmatiche di "Parentesi". E' questo l'appello del preside Scisca che ha cosi concluso la sua relazione sull'analisi esegetica di Pergolizzi su Antonello da Messina.

Patrizia Danzé
 
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