Fiamme sui Nuraghi, romanzo postumo di Mario Rappazzo

Centonove 14 settembre 14-09-2001

 Per non dimenticare Rappazzo

    Raccontare la saga di un popolo di agricoltori e pastori, quello dei nuraghi sardi, organizzato in tribù e clan, nel momento in cui venne a contatto con la potenza di Roma già vincitrice dei Cartaginesi: questa l’idea sorta nella mente e nel cuore del compianto Mario Rappazzo in occasione di un soggiorno in Sardegna per un impegno di commissario agli esami di maturità. Così nacque il romanzo “Fiamme sui nuraghi”, rimasto a lungo nel cassetto, anche dopo la scomparsa dell’autore nel 1991, e che l’Editrice Associazione Culturale “Parentesi”, con il dinamico Filippo Briguglio che ne ha curato l’introduzione, ha voluto ora pubblicare e presentare al pubblico, nell’Aula Magna dell’Università di Messina, per ricordarne il decennale della morte. Rappazzo, nativo di Castroreale, di formazione classica e laureato in filosofia, partigiano e decorato nella guerra di liberazione, fu a lungo insegnante, ma soprattutto operatore culturale nella veste di poeta, narratore, critico, giornalista e, in particolare, fondò a Messina il trimestrale di cultura “Prometeo”, che diresse con Vincenzo Mascaro fino al 1989. In questo romanzo storico, affascinato evidentemente dalla terra sarda, dai suoi colori e profumi, ma soprattutto da quelle costruzioni, appunto i nuraghi, che ancora oggi sfidano i secoli, egli trasporta il lettore in un mondo scomparso, dando vita ad una serie di personaggi che sembrano intagliati proprio nel tronco delle fitte foreste di quell’isola, mentre le vicende narrate (amore, passione, morte) sono poi quelle eterne della storia dell’umanità. La chiara e precisa prefazione di Rinaldo Anastasi, preannunziano efficacemente al lettore il piacevole periodo di immersione in un’atmosfera tra realtà e fantasia che non manca di affascinare.

Felice Irrera

                                                                         


Peloro 2000, d
icembre 2001

“Fiamme sui nuraghi” (romanzo postumo) di Mario Rappazzo 
 
Collana di narrativa libriparentesi a cura di Filippo Briguglio
 

Un ponte ideale tra la Sicilia e la Sardegna
“Fiamme sui nuraghi”, romanzo postumo dello scrittore e giornalista siciliano,è stato ispirato dal fascino che la terra sarda ha esercitato sull’Autore avvinto dai paesaggi incontaminati e dai nuraghi, strane costruzioni immote e remote, custodi di una storia millenaria.

    Introdotto dal suo curatore Dott. Filippo Briguglio,il libro è stato presentato nell’Aula Magna dell’Università di Messina, dal decano Professor Antonino Ioli, uomo di scienza e di lettere, il quale, con rigorosa competenza filologica ha relazionato sul romanzo, definendolo, “colto e avvincente”. “ Fiamme sui nuraghi, - sostiene Ioli-, è l’espressione, dell' universalità dei sentimenti dell’uomo di ieri e di oggi, che definisce l’amore, inteso nella sua accezione più vasta e completa, l’attaccamento alla propria terra, il bisogno di libertà per se, e per il proprio popolo. Un romanzo che ci porta indietro nel tempo, eppur sempre attuale, dove i sentimenti dei protagonisti e del popolo nuragico rispecchiano l’essere umano di qualunque epoca. Mario Rappazzo, insegnante, scrittore, critico, giornalista, fondatore e direttore della rivista (Prometeo) durante un breve soggiorno in Sardegna, che lo vede, incaricato quale commissario di discipline letterarie per gli esami di maturità, subisce il fascino di questa terra, bella e misteriosa, la vista dei (nuraghi), l’aria tersa e i paesaggi incontaminati si prestano alla fantasia e alla facile penna dello scrittore che si lascia trascinare fuori del tempo storico dando vita e anima ad una serie di personaggi che l’autore muove con arte di valente regista. Il dinamismo delle azioni, la vivacità delle scene, l’icastica delle figure, tutto giova all’autore per tenere desta l’attenzione dalla prima riga in cui Varsu, “re pastore- guerriero”, forte e coraggioso vive il suo amore con Lillìa, fino all’ultima, dove lo scontro tra la cultura nuragica e la temperie romana, seminano morte e distruzione di uomini e cose, permeando il romanzo di un’intensa carica emotiva. La cultura scientifica del romanzo oscilla tra la magia e la medicina, tra la storia e la fantasia, tutto sapientemente dosato, senza espliciti riferimenti spazio- temporali, lo scorrere del tempo è segnato da ritmi biologici e naturali.    L’amore per la giustizia, la libertà, la dignità dell’uomo di “rigenerarsi nelle cose superiori, piuttosto che degenerare verso gli esseri inferiori”, come cita il prof. Rinaldo Anastasi, filologo di Capo d’Orlando, nella prefazione al libro, prendendo a prestito Giovanni Pico della Mirandola, sono i messaggi che l’autore lancia al lettore, esercitando ancora oggi, la sua funzione di docente - educatore.         Mario Rappazzo, a dieci anni dalla sua scomparsa, con il romanzo “Fiamme sui nuraghi” ha dato un valido contributo alla narrativa e alla letteratura italiana, proponendo al lettore l’immersione in un’atmosfera tra fantasia e realtà, amori e odiai, passioni e violenze, nei quali ognuno di noi può riconoscersi protagonista. 

                                                Maria Teresa  Raffa

                                                                           


Peloro 2000 - settembre/ottobre 2001
Fiamme sui nuraghi di Mario Rappazzo

    "La guardo a lungo ed essa non ha più alcun potere su di me, le sue labbra sono ancora rosse come il corallo ' ma il suo cuore è freddo come il suo corpo... (pag. 143). Lilia uccidendosi, distrugge Varsu, perché questi deve recidere il filum biologico, come il ragno taglia il filo a cui è sospesa la sua rete, quando incontra il suo guerriero ".. che si avvicina a me con terribili denti pronti ad azzannarmi .. Gli immergo il pugnale nella gola e ne zampilla una fontana rossa. Mi getto su di essa e bevo, bevo a lungo, finché la mia sete non si placa (pag. 151) è il romanzo di Varsu e Lillia, ma è anche la storia della Sardegna, che è legata, secondo l'autore, alla magia, che sovrasta le singole azioni degli uomini. Il legame religioso è vago, incerto e cangiante, mentre la presenza magica è sempre al fondo di ogni operazione. Lillia è la figlia bella della brutta Biti a, che ha gli occhi con quattro pupille e lo sguardo che uccide. Ma la bellezza di Lillia è malefica e serve per rovinare Varsu, ritrovando anch'essa lo sguardo che uccide. Varsu è il figlio del capo che, per malattia misteriosa, non è in grado più di governare ed il potere di capo ed anche quello magico, dell'arte medica, con le trapanazioni del cranio che liberano dagli spiriti, passa a Varsu, che tenta di essere prudente e saggio, ma non riesce a salvare né il fratello Antinu, generoso ed audace, né la sua gente, quando si presentano nemici forti, come i romani.
Sarebbe interessante - anche per la coincidenza con le mie interpretazioni - fare una digressione sullo sguardo, visto come mezzo per trasmettere il potere, anche malefico. Bitia ammaliatrice, ha quattro pupille e lo sguardo che uccide (pag. 33). Luce sinistra di Bitia quando guarda le persone (pag. 42). Lillia ha gli sguardi di fuoco di Bitia (pag.64). Doppio fuoco nello sguardo di Lillia, come in quello della madre Bitia (pag.66). Gli occhi di Lillia mandano fuochi biforcuti, come le lingue del genio del male (pag. 94). La madre di Varsu ha paura degli occhi di Lillia, pieni di odio e di iattura (pag. 141). La cultura degli abitanti dei Nuraghi è estremamente povera, come traspare bellamente dalla descrizione del Rappazzo: non hanno alcun concetto della dignità della persona umana, come si evince dal disprezzo della donna e dei vecchi, non riconoscono la libertà di pensiero del singolo, ma solo la libertà dell'insieme del clan. Neanche dinanzi al pericolo esterno dei romani, riescono a coordinarsi ed unirsi fra le varie tribù. Tutto dipende dalla natura, che regola impietosamente le varie azioni degli uomini che ne sono schiavi. La loro ignoranza personifica, animizza, le forze avverse e le ritiene, in ogni caso, magiche. Così la magia è sostituto della ignoranza, a sua volta causa della paura. Non comunicando, restando ristretti a piccoli gruppi, non si ha evoluzione, che in fin dei conti è maggior disponibilità di informazioni. Non è tanto la mancanza di scrittura, quanto la mancata comunicazione a chiudere l'esistenza nei nuraghi. I greci hanno comunicato con tutti i popoli attraverso le loro scuole ed i loro teatri. I romani hanno raccolto i popoli nel fascio ed hanno così vinto la paura. Pur restando superstiziosi, hanno aperture con le quali unificano il mondo. Certo, solo la Rivelazione toglie completamente la paura della natura e dell'ignoranza, riconoscendo la paternità universale di Dio. L'ignoranza genera paura e porta ad essere diffidenti e poco disposti ad intendersi e coordinarsi con gli altri. Tutto resta ristretto nell'ambito della tribù senza scambi di conoscenza e di esperienze conservate dalla ricchezza dell'organizzazione biologica che mette in comune il passato codificato nelle strutture somatiche. L'ignoranza genera paura, che si tenta di vincere con la violenza ed il sangue, ma non con lo sviluppo ed il progresso: per questo alla fine i romani vincono e i sardi recidono il filo della loro continuità, uccidendo e mangiando i compagni della loro stessa stirpe. 

Aldo Nigro

 
 
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