ARGOMENTI della PAGINA -
LA VITA :
Il
giovane Mauro è affidato a San Benedetto
San Mauro nasce nella città di Roma dal Senatore e Console
Eutichio (da altri Equizio) discendente dagli Anicii e dalla nobile e virtuosa
matrona Giulia, nell'anno di grazia 512. La madre, nel timore che
il figliuolo si viziasse al contatto dei suoi coetanei, avrebbe voluto degli
istitutori perché lo istruissero sotto i suoi occhi nelle scienze e nella virtù.
Ma Eutichio, udite di già le meraviglie che operava Benedetto nel Monastero di
Subiaco, decise di affidarlo a lui.
Dio, come un giorno ad Abramo, fa sentire a Mauro, per i savi
ragionamenti dei suoi genitori, la Sua potente ed amorevole voce: «Mauro
abbandona per sempre la tua Roma e vieni a Me!
Esci, seguimi, che io ti additerò la via della santificazione».
Così Mauro, all'età di dodici anni, assieme a
Placido, figlio di Tertullo, parente di Benedetto, fu consegnato al grande
Patriarca del Monastero di Subiaco, distante da Roma appena quaranta miglia.
Prostrati, Eutichio e Tertullo, implorano da Benedetto, per i loro figli, il
battesimo della vera nobiltà; parlano solo in nome dell'innocenza e della
salute spirituale dei loro figli. Benedetto li alza da terra, li abbraccia, dà
loro il bacio della pace, stringe in un solo amplesso Mauro e Placido, divenuti
i primi due «oblati» del suo ordine. E certo che Benedetto, fin dal primo
incontro, ebbe un affetto tutto speciale per Mauro e benché tra i suoi
figliuoli non sia stato il primo in ordine di tempo, egli lo ebbe sempre in
conto di suo primogenito per elezione. E perché questo? Perché in Mauro ravvisò
la più perfetta espressione di quel tipo monastico che egli aveva concepito, il
suo principale coadiutore nella grande opera intrapresa. Mauro fu preso subito
dalla nuova vita e per la sua maturità di spirito e per la sua già notevole
cultura poté assumere le prime responsabilità, per cui sorveglia, incoraggia i
fratelli ed interpreta loro i comandi di Benedetto. Si può riferire a Mauro la
bella espressione della Sacra Scrittura: «Essendo ancora
fanciullo ho cercato la vera sapienza, il mio piede ha camminato per la via
diritta ». Le ricchezze, gli onori ed i piaceri che avrebbe potuto avere
dal suo nobile casato, li volle cambiare con la povertà, l'ubbidienza e la
castità che gli offriva la vita religiosa. «Chi non
rinunzia a tutto quello che possiede, non può essere mio discepolo»
(Luca 14, 33).
Tale appello di Gesù Cristo risuonò potente al cuore
di Mauro e si spogliò volontariamente di tutti i beni. Con gli apostoli si
metteva in spirito ai piedi di Gesù, tendeva con ansia l'orecchio alle sue
parole, lo accompagnava passo passo, di scena in scena per vedere quello che
faceva, come parlava, come istruiva, come trattava col popolo, con gli
ammalati, coi fanciulli, coi peccatori. A questa maniera la meditazione della
vita di Nostro Signore si convertiva per Mauro in vera scuola, dove egli
studiava in tutti i particolari il suo modello, se l'imprimeva nell'animo,
l'attuava e rispecchiava in tutto il suo contegno diventando così ogni giorno
di più quel che doveva e voleva essere: un altro Gesù Cristo! Per amore di
questo ideale e di questa santità, Mauro abbassò la fronte sotto la forbice
che attorno attorno gli recise la bionda chioma.
Per amore di questa santità, Mauro cambiò le laute
mense paterne col pezzo di pane e la misura di vino assegnatagli giorno per
giorno. Per amore di Gesù Cristo, Mauro cambiò le sfarzose vesti patrizie con
l'umile saio monastico. «O me beato - esclamava Mauro - se pur di me potrà
dirsi: Umiliò se stesso e si fece obbediente fino alla morte!».
Preghiera
e lavoro
Quale sarà tra i recinti del Monastero l'occupazione del nostro Mauro?
Se volete un'idea esatta dell'operosità di Mauro, considerate che cosa sia un
Monastero. E la casa della preghiera e del lavoro, dunque è la copia della casa
di Nazaret. Preghiera e lavoro fu per trent'anni la vita di Gesù Cristo;
preghiera e lavoro fu similmente la vita di Mauro nei Monasteri di Subiaco e
Montecassino. Dolce era vedere Mauro ora nelle comuni salmodie corali
confondere, col grave canto dei monaci, la sua voce argentina, ora nella sua
cella passare genuflesso le lunghe ore.
Proprio in virtù della preghiera Mauro riesce a
vedere un demonio indurre un monaco ad uscire dalla Chiesa all'ora della
preghiera. Ci racconta San Gregorio Magno nei «Dialoghi» che in uno dei
Monasteri che S. Benedetto aveva costruito vi era un monaco il quale non poteva
stare raccolto in orazione, ma quando i frati si riunivano a pregare egli usciva
fuori e con mente divagata si occupava di cose terrene e transitorie. Ripreso più
volte dal suo abate, da ultimo fu portato a San Benedetto, il quale lo rimproverò
aspramente della sua stoltezza; quegli però tornato al monastero appena due
giorni tenne a mente l'ammonizione dell'uomo di Dio.
Infatti al terzo giorno, ritornando a fare come prima,
cominciò ad andare in giro nel tempo dell'orazione. Allora il servo di Dio,
informatone dall'abate del monastero, esclamò: «Ecco che ora vengo costà io e
lo correggo da me». Venne infatti e vide che ad una data ora, quando i frati,
terminato l'Ufficio si mettevano a fare la meditazione, un fanciullo molto nero
tirava per l'orlo dell'abito quel monaco, che non poteva rimanere in preghiera.
Allora l'uomo di Dio chiamato segretamente Pompeiano, abate del monastero, e il
buon servo di Dio, Mauro, disse loro: «E non vedete voi chi è che tira fuori
di coro questo monaco?». Ed essi risposero: «No, padre». E Benedetto riprese:
«Preghiamo Dio che vi faccia vedere chi è costui, dietro al quale va questo
monaco». E dopo due giorni di preghiere, al monaco Mauro fu dato di vederlo, ma
non così all'abate Pompeiano. Intanto il giorno seguente Benedetto, uscito di
chiesa e trovato quel monaco che se ne stava fuori lo percosse col suo bastone
per quella sua cecità di cuore. Da quel giorno in poi il monaco non si lasciò
più persuadere da quel fanciullo nero.
Del lavoro manuale, poi, che a quei tempi era ritenuto
un servizio di schiavitù, San Benedetto ne aveva fatto una legge,
sottomettendovi ugualmente lo schiavo ed il libero. Mauro, il nobile figlio di Eutichio,
armato or di scure, or di mazza, invincibile e sereno e spesso senza che nemmeno
ci badi, apre il cammino a tutte le buone opere del lavoro e della
civilizzazione cristiana. Al lavoro manuale, Mauro accompagna il letterario.
Nella medesima mano era bello vedersi alternare ora la mazza ora la penna. Con
gli altri figli del gran Patriarca era tutto proteso allo studio e alla fatica
di trascrivere gli antichi manoscritti. Fatica necessaria e sublime poiché ad
essa il mondo letterario va debitore di tutto il suo patrimonio.
Umiltà
e obbedienza
«Se non vi convertirete e diverrete come fanciulli, non entrerete nel
regno dei cieli». Mauro meditò profondamente tali parole del Divin Maestro e
propose e mantenne di abbassarsi, farsi piccolo, credersi umile. Mai alterigia né
sdegno, non ambizione né ricerca di precedenza, non preoccupazioni né disturbi
di amor proprio. Come i fanciulli fu semplice, fiducioso, docile, buono, senza
pretenzione; piccolo in tutto! Andava in cerca del Regno di Dio e perciò voleva
la pace dell'anima, tendeva alla perfezione. «O Gesù
- andava ripetendo - se io mi farò piccolo in
tutto entrerò nel gaudio-eterno. Chi si umilia sarà esaltato». Un
giorno, essendo rimasto nel monastero al posto di San Benedetto che ne era
uscito per un'opera di carità, gli si presentarono i genitori di un fanciullo
zoppo e muto, i quali, prostratisi ai piedi di Mauro, con le lacrime,
imploravano la grazia della salute del figlio. Mauro, confuso, poggiò sul capo
dell'infermo una stola che il Santo Patriarca gli aveva regalato in occasione
della sua prossima ascensione all'ordine del Diaconato. Il fanciullo fu salvo e
Mauro, umilmente, attribuì il miracolo alla virtù della stola di S. Benedetto.
Mauro aveva meditato il detto scritturale «L'uomo obbediente riporta vittoria»
e, con magnanimità e generosità, vincola e perfeziona la sua libertà con la
volontà di Dio. Con la povertà offrì i beni materiali; con la castità i beni
corporali, il proprio cuore; con l'ubbidienza i beni spirituali, la propria
volontà, il proprio «io», il proprio giudizio! E Dio accetta e conferma
facendo operare delle meraviglie al nostro Mauro. Narra S. Gregorio nel secondo
libro dei «Dialoghi» che un giorno il monaco Placido uscì a prendere l'acqua
nel lago. Ora accadde che mettendo egli senza cautela la brocca nell'acqua gli
uscì di mano e mentre si sforzava per riprenderla precipitò nelle acque e
subito la corrente lo tirò verso il centro del lago quasi per lo spazio che
suole percorrere una saetta. Allora Benedetto che, quantunque chiuso nella sua
cella ebbe per ispirazione di Dio conoscenza dell'accaduto, chiamò subito Mauro
e gli disse: «Fratello Mauro, corri perché quel monacello che è andato per
l'acqua è caduto nel lago, e già l'acqua lo trasporta lontano».
Mauro, chiesta e ricevuta la benedizione, corse subito come gli era
stato comandato dall'abate e, camminando sull'acqua, mentre credeva di camminare
ancora sulla terra, arrivò fino al punto dove la corrente trasportava Placido,
e presolo per i capelli in men che si dica ritornò a terra. Toccata appena la
riva e raccapezzatosi di quel che era accaduto, guardando indietro si accorse
che aveva corso sopra l'acqua e tutto tremante stupì di aver fatto ciò che
egli non avrebbe mai e poi mai
presunto di fare. Ritornato quindi dall'abate gli raccontò l'accaduto.
Benedetto attribuì tutto non ai propri meriti ma all'ubbidienza di Mauro.
Questi invece diceva che la cosa era avvenuta soltanto in forza del comando dato
a lui da Benedetto. In questa ammirevole gara di umiltà sopraggiunse arbitro il
giovanetto salvato, il quale disse: «Quando sono stato tirato fuori dall'acqua
io ho visto sopra di me il mantello dell'abate e mi pareva che esso mi liberasse».
Mauro proposto come modello agli altri monaci
«Lo condurrò nella solitudine e parlerò al suo cuore»
(Osea 11, 14). Fu sempre questo il costume di Dio, di non far sentire la sua
voce nel tumulto del mondo delle passioni, bensì nel silenzio e nella
solitudine. Così il nostro Mauro nel silenzio del monastero sentì la voce di
Dio che voleva attirarlo tutto a sé e che voleva ricolmarlo delle sue grazie e
dei suoi favori. Osservava scrupolosamente il silenzio, che è la perfezione dei
solitari, la parte della salute, la scala del cielo, il piccolo Paradiso, il
gran mezzo per progredire nella perfezione. La vita religiosa fu per Mauro un
continuo godimento ed, infiammato dalla bellezza della nuova vita, si segnalava
sopra tutti gli altri nel mortificare il suo corpo e nel sottometterlo
interamente alle leggi dello spirito. Lo stesso Benedetto ne rimaneva fortemente
ammirato e meravigliato. Per le virtù menzionate e per altre ancora il nostro
Mauro avanzava rapidamente a gran passi nel cammino della perfezione. San
Benedetto senza nominarlo, per non offenderne l'umiltà, lo propose come modello
agli altri confratelli. «Noi abbiamo visto - diceva loro - un giovane monaco
chiaro ed illustre per nobiltà di sangue, il quale disprezzando tutto ciò che
non piaceva a Dio, assoggetta con rigore la sua carne allo spirito; porta
coraggioso il peso della Regola monastica, anzi raddoppia i digiuni, le veglie,
le mortificazioni e tutte le altre osservanze». Mauro comprendeva benissimo che
tali elogi erano diretti a lui, ma non si inorgogliva poiché la sua virtù
l'attribuiva alla bontà e misericordia del Signore. Colui che guida gli altri
è condottiero di uomini! Per essere tale ci vuole intelligenza, cuore e volontà.
Questi si impone a quelli che lo circondano, esercita su di essi un prestigio
naturale e li trascina a seguirlo e ascoltarlo. Mauro ardente, generoso, pieno dì
fresche energie fu tale! Il primo monastero fabbricato da San Benedetto fu
quello di San Clemente, ai piedi della montagna di Subiaco, lungo la riva destra
del lago. i lavori sono stati sorvegliati direttamente da Mauro e tutti,
sterratori, muratori, manovali, lavoravano con lena perché ognuno era felice
quando poteva dare a Mauro motivo di compiacenza e gioia. Ci racconta S.
Gregorio che un goto, deciso di vivere povero in spirito, si convertì e venne a
far penitenza presso S. Benedetto il quale lo accolse tanto volentieri. Ora un
giorno gli fece dare un ferro curvato in forma di falce, quello appunto che si
chiama ròncola, perché sterpasse quel luogo, dove aveva da farsi un orto, il
quale era situato sopra la riva del lago. Messosi il goto a tagliare con grande
sforzo quella sterpaglia così fitta, il ferro gli uscì dal manico e cadde nel
lago, dove l'acqua era così profonda da non esservi più speranza di
ripescarlo. Perduta così la ròncola, il goto corse tutto tremante dal monaco
Mauro a dirgli il male occorsogli e ne ebbe la penitenza. Intanto il monaco
Mauro lo fece sapere a sua volta a S. Benedetto, il quale recatosi nel luogo,
prese di mano al goto il manico e lo immerse nel lago; subito il ferro ritornò
di fondo all’acqua e rientrò nel manico stesso. S. Benedetto rese la ròncola
al goto dicendogli: «Prendi, lavora e stai pure tranquillo».
Da ciò possiamo argomentare quanta fiducia abbia
meritato presso Benedetto il nostro Mauro, e quale profondo concetto questi
avesse della santità del grande Patriarca.
S. Benedetto, sempre sotto la sorveglianza di Mauro,
aveva fatto costruire dodici Cenobi, numero simbolico; in ogni Cenobio, dodici
monaci ed un abate.
Dodici gli apostoli, uno il Maestro: Gesù. L'opera
dei nostri monaci, destinata a tanta gloria di Dio, eccitava sempre l'avversione
di Satana che trovò adesso un alleato nell'invidia di un indegno prete delle
vicinanze, di Vicovaro, di nome Fiorenzo. Si narra nei «Dialoghi» di S.
Gregorio che la santità dei monaci di S. Benedetto e l'accorrere di tanta gente
al loro monastero, davano assai fastidio e amarezza a quel prete degenere. Un
giorno tentò di farli morire mandando un pane avvelenato prima che la comunità
si fosse messa a tavola per la cena, ma Benedetto scoprì l'inganno e fece
portare nel bosco quel pane avvelenato da un nero affezionato corvo. Un'altra
volta attentò all'innocenza dei monaci, inviando alcune ragazze scostumate dei
dintorni a molestarli con le loro cattive arti distraendoli dalla preghiera e
dal lavoro. Ciò vedendo S. Benedetto e temendo la caduta dei discepoli più
giovani, siccome capì che tutto questo si faceva in odio a lui, lasciò libero
il campo all'invidioso, e ordinate tutte le chiese e i monasteri da lui
costruiti rinnovandone i superiori e aggiungendovi frati di santa vita, egli andò
a stare di monastero in altro luogo, a Montecassino prendendo con sé pochi
monaci.
Fiorenzo era quasi fuori di sé dalla gioia; per
godere meglio lo spettacolo di quella desiderata partenza era salito sul
terrazzo della casa e se ne stava allegro a guardare Benedetto che partiva. Ma
ecco che inaspettatamente il terrazzo crollò e Fiorenzo morì. Allora Mauro, il
fedele discepolo del santo, pensò bene di farne pervenire la notizia a
Benedetto, che si era allontanato appena dieci miglia di là, mandandogli a
dire: «Ritorna pure indietro, perché il prete che ti perseguitava è morto».
A questa notizia Benedetto, da quell'uomo di Dio che era, proruppe in
espressioni di gran dolore, perché era morto il suo nemico, e perché il
discepolo godeva di quella morte; per cui egli impose pure a Mauro una
penitenza, perché mandandogli quella notizia, gli parve che avesse goduto del
fatto. Nei Cenobi intanto si pregava per il padre Benedetto, che aveva lasciato
i suoi figli diletti. Più di tutti però pregava il novello Abate Mauro che
sentiva tutto il peso della sua responsabilità.
San Benedetto manda Mauro da Cassino nella Gallia
S. Benedetto con i suoi monaci, raggiunto Cassino a i
circa cinquanta miglia da Napoli e a settanta da Roma, aveva iniziato a
costruire sulla sommità del monte Cairo un'abbazia, una costruzione regolare ed
ampia ove i monaci potevano avere non solo un buon numero di celle, ma vasti
dormitori, un refettorio, la cucina ed accanto all'abitazione uno o più oratori
e la capace Foresteria. Non più una molteplicità di Cenobi, che frazionano
l'attività e la vita fraterna dei monaci, ma una grande, unica casa ove la
comunità possa svolgere vita stabile, dal ritmo ampio e sicuro, ove l'Abate sia
uno per tutti: Benedetto! Mauro, frattanto, era stato richiamato da Subiaco per
dar mano con Placido e gli altri monaci alla costruzione dì quella che doveva
essere la più celebre Abbazia del mondo per aver dato alla Chiesa uomini
illustri per santità e dottrina.
In quel tempo Bertrando, vescovo di Le Mans, spinto
dalla fama della santità di Benedetto, gli mandò una commissione composta
dall'Arcidiacono Flodegario e dall'Economo Arderado ad offrirgli doni ed a
pregarlo di mandargli alcuni fra i suoi monaci più Santi a costruire un
monastero della Regola, nel fondo di proprietà della Chiesa.
S. Benedetto, santamente ispirato, scelse Mauro con
altri quattro compagni e cioè: Antonio, Costantiniano, Simplicio e Fausto.
Grande fu il dispiacere che ne provarono gli altri monaci, i quali, avendo
appreso da S. Benedetto di non essere lontano il giorno della sua morte, avevano
riposto in Mauro tutte le loro speranze di futuro e degno successore del gran
Padre Benedetto. S. Benedetto li consolò, promettendo loro che per quell'opera
di carità che si faceva aderendo alla richiesta del Pio Vescovo, Dio non
avrebbe mancato di aiutare l'Ordine e consegnati a Mauro e ai suoi compagni una
copia della Regola e del pane e del vino per il viaggio, li congedò. Partiti da
Cassino, dopo un primo tratto di viaggio, racconta la «Vita Mauri» di Fausto,
si fermarono ad Eucheia dove furono accolti con affetto da due confratelli,
Probo ed Aquino. Là furono raggiunti da due monaci, Onorato e Felicissimo
cugino di Mauro, che gli consegnarono, dentro una teca d'avorio, delle reliquie
mandate da S. Benedetto e cioè tre pezzetti della S. Croce, alcune reliquie
della Madonna, di S. Stefano Protomartire e di S. Martino, ed inoltre una
lettera di benedizione contenente anche profezie circa l'epoca della morte ed
altre cose predette da S. Benedetto a Mauro relativamente alle difficoltà che
avrebbe incontrato. Mauro e i compagni, inviati i loro fervidi ringraziamenti al
venerando Padre, si congedarono e ripresero il loro lungo cammino. Dopo 15
giorni arrivarono a Vercelli. Qui accadde subito uno dei sinistri predetti da
Benedetto nella lettera perché Arderado, il messo del Vescovo di Le Mans,
precipitò giù per le scale di una torre, riducendosi quasi in fin di vita.
Allora Mauro mosso da grande compassione, avvicinò alle ferite la reliquia
della S. Croce mandatagli da S. Benedetto e l'infermo guarì all'istante. Mauro
dichiarò senz'altro che il prodigio si era ottenuto per le preghiere di S.
Benedetto. Continuando il viaggio erano arrivati alla Chiesa della Beata Vergine
sul monte Giura dove furono ospiti di una povera vedova per nome Remeia. Essa
era disperata perché suo figlio, consunto da un morbo crudele, stava ormai per
morire e San Mauro ne ebbe tanta pena, raccomandò a Dio l'infelice ed ecco che
il figlio, da due giorni privo di sensi, improvvisamente si ravvivò.
Avvicinandosi intanto la Pasqua, arrivarono in un borgo della città di Sens
dove celebrarono la Pasqua nel Cenobio di Font-Rouge, nella diocesi di Auxerre,
edificato dal Beato Romano, coadiutore e cooperatore di S. Benedetto, già prima
mandato da lui nella Gallia. Passarono insieme in preghiera la notte del Sabato
Santo che cadeva il 20 marzo. Arrivati all'ora terza del giorno di Pasqua, il
Beatissimo Mauro, mentre era ancora in Chiesa, rapito in estasi, vide a oriente
una via costellata di lumi che arrivava in cielo. Così pure due suoi compagni
ebbero la stessa visione. Mentre stavano contemplando pieni di stupore, videro
in alto un personaggio venerando che disse loro: «Questa è la via per la quale
Benedetto, il diletto del Signore, è salito al Cielo». Cessata l'estasi, Mauro
corse da Romano e narrò anche agli altri compagni la visione avuta della morte
di S. Benedetto. Di là si recarono diretti a Orleans, dove appresero una
notizia ben triste, e cioè che il vescovo Bernando era morto e al suo posto si
trovava già il successore Donnolo. Mauro, memore delle profezie del venerabile
Padre Benedetto, consolò e incoraggiò i compagni abbattuti d'animo e, mentre i
messi del vescovo defunto partirono per Le Mans, egli coi suoi rimase ad
Orleans.
Arrivati i sacerdoti a Le Mans furono annunziati al
vescovo, il quale li accolse con onore confermandoli nei loro uffici ed
accrescendone anche le rendite. Non volle però per niente sapere di dare
esecuzione al disegno del suo predecessore, cioè alla fondazione del monastero
nella sua diocesi. Si rivolsero allora ad un certo Floro, cugino di Arderado,
che aveva vaste proprietà ed era tra i primi nella corte del re Teodoberto.
Questi, che era stato sempre desideroso di promuovere opere in onore di Dio e di
lasciare tutti gli affari di questo mondo per darsi completamente a Dio nella
vita monastica, fece approvare dal re la costruzione del monastero nella sua
campagna di Glanfeuil (oggi S. Maur sur Loire) e redatto l'atto di donazione si
iniziarono subito i lavori di costruzione sulle rive della Loira a 20 km da
Angers.
Durante la costruzione S. Mauro ottiene alcuni
miracoli quali la risurrezione di un chierico caduto da una grande altezza, la
liberazione di ossessi, altre risurrezioni.
S. Mauro dirigeva, durante quegli anni, i lavori
dell'Abbazia che egli aveva fondato e che ebbe il piacere di vedere poi
ingrandire e sviluppare sia materialmente, soprattutto per l'aiuto economico del
re, sia per l'aumento dei monaci che divennero ben 140.
In seguito ne fondò ancora altri, sparsi per tutta la
Francia, e non mancarono certo i miracoli che accompagnavano sempre gli
spostamenti di S. Mauro.
Si narra che un giorno, mentre egli stava facendo un
giro d'ispezione nelle terre del monastero, in località detta Gaudiac, entrò
in una stanza con due monaci per prendere un po' di sollievo. Sedutosi, mentre
stava recitando con i suoi monaci ad alta voce i Salmi, gli si annunzia che alla
porta c'era Ansegario, arcidiacono della chiesa di Agen, il quale desiderava
parlare con lui. Mauro lo fece entrare e, dopo che ebbero parlato di quanto
occorreva, il Santo, chiamato il monaco Simplicio, gli disse: «Vedi un po' di
rinfrescare col vino della carità quest'uomo, che per la sua bontà ed
affabilità già da tempo è legato da affetto alla nostra famiglia». E
Simplicio: «Padre, vino non ne abbiamo, se non in pochissima quantità dentro
un vasetto che di solito porto io legato alla sella». Allora l'uomo di Dio
esclamò: «Ebbene, portalo qua!». Difatti gli fu portato e insieme con quello
anche il pane. Mauro, allora, facendo sul vasetto il segno della Croce, disse:
«Il Signore, che nel deserto procurò al suo popolo da mangiare e anche da
dissetarsi con l'acqua che fece scaturire dalle rupi, può ben moltiplicare il
vino di questo vasetto da provvedere al bisogno». Ed ecco, prodigio! Sessanta
persone (tanti erano appunto i presenti) tornarono per tre volte a bere di quel
vino, rimanendo poi il vasetto sempre pieno come se nessuno l'avesse toccato.
Morte
di S. Mauro
Racconta ancora la «Vita Mauri» che negli ultimi anni della sua vita S.
Mauro si concentrò sempre più nella vita ritirata di preghiera e di
meditazione nel suo monastero a Glanfeuil, per prepararsi alla morte che sapeva
vicina. Quando egli sentì mancargli le forze, allo stremo delle difficoltà che
aveva sostenuto e dei lavori che aveva compiuto per la gloria di Dio, egli
sentì nel suo animo un immenso bisogno di solitudine. Egli dichiarò ai suoi
religiosi di voler lasciare la carica abbaziale e ritirarsi dal monastero per
trascorrere i suoi ultimi giorni lontano da ogni rumore e prepararsi ad una
buona morte. E così, per rimanere del tutto libero, fece eleggere un nuovo
Abate, che fu appunto il monaco Bertulfo, suo degno discepolo. Apprese intanto
dall'Angelo del Signore che molti dei suoi monaci presto sarebbero stati
chiamati alla vita del cielo. Egli allora li esortò a prepararsi al gran passo,
ed i fatti dimostrarono la verità delle predizioni, perché entro cinque mesi
morirono ben 116 monaci a causa di una forte epidemia di peste, fra i quali
Antonio e Costantiniano, che erano stati compagni di viaggio di Mauro.
Allora il Santo si fece fabbricare una piccola cella
presso la chiesa di S. Martino, e di lì a poco fu colpito da pleurite, che ben
presto lo ridusse agli estremi. Disteso per terra, col suo cilicio conficcato
nella sua carne, in quella umida cella, volle essere munito del conforto dei
Sacramenti, finché, circondato dalla corona dei suoi discepoli, passava dalla
terra al cielo il 15 gennaio 584, con forti dolori ai fianchi, all'età di 72
anni, 41 anni dopo il suo arrivo nella Gallia e 18 di dimora in quel luogo.
I monaci del monastero di Glanfeuil deposero
pietosamente il corpo del loro fondatore nella chiesa di S. Martino, ove egli
passò i suoi giorni in preghiera.
La triste notizia della morte di S. Mauro si sparse
fulminea tra la popolazione del luogo, la quale volle che per tre giorni e tre
notti la salma fosse esposta alla loro venerazione.
Fu un continuo pellegrinaggio di uomini, donne,
ragazzi e malati di ogni specie ad implorare dal Santo l'aiuto dell’anima e la
salute del corpo, ed i miracoli furono innumerevoli e strepitosi.
( S. MAURO ABATE - La
vita e la devozione popolare in Acicastello - Libretto curato dalla
Congregazione "S.Mauro Abate"- 3a Edizione 1997. Disegni
di Salvatore Adamantino )
BIBLIOGRAFIA
VIE
DE SAINT MAUR ABBÉ :
Impr. P. Lanchise Belleuvre et
Dolbeau, Chaussé Saint Pierre,13, Angers, 1868.
VITA DI SAN MAURO ABATE
:
A. Lentini, Bibliotheca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII del1a Pontifìcia Università Lateranense,
vol. IX, pp. 210-223.
VITA DI S. BENEDETTO DI S. GREGORIO
MAGNO E REGOLA : Città Nuova Editrice.
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