Gli Istituti del SS. Redentore a SCALA

I Luoghi Alfonsiani a Scala

 

Santa Maria dei Monti

A poco più di mille metri di altezza, sul pianoro si trovava e si trova ancora un eremo che si innalza su due piani; a pianterreno vi era la Chiesa sul cui altare era posta una statua lignea della Vergine col Bambino.

Vi erano poi tre stanze così come al piano superiore.

 

Qui il culto a Maria era preesistente al 1730, infatti in un atto notarile del notaio Nicola Sorrentino datato 18 luglio 1555, si parla di una concessione al reverendo frate Ludovico, dei frati di San Girolamo, della Cappella di "Santa Maria del Monte" da parte del vescovo Francesco D'Afflitto.

Il vescovo Francesco Benni, poi, al termine della sua visita pastorale del 1600, ordina che:

"La festa di Santa Maria dei Monti venga celebrata la domenica tra l'ottava dell'Assunta o nell'ottava se questa viene di domenica".

Il vescovo Verme nel 1628 creò il Beneficio di Santa Maria dei Monti con cappellano Don Galazio Giustiniano.

Infine il signor Scipione Sorrentino con un atto notarile redatto dal notaio Francesco Campanile il 30 agosto 1655 deliberò di dotare la chiesa di Santa Maria dei Monti della somma di trenta ducati l'anno con l'obbligo per il cappellano di celebrare quattro messe alla settimana all'altare di Santa Maria di Monte.

Anche dopo la venuta a Scala di Sant'Alfonso, il culto continuò tanto che da alcuni documenti risulta che nel 1753 si pagavano "annui ducati nove ...... per il giornale mantenimento di detta chiesa" .

Successivamente l'alluvione del 25 gennaio 1764 danneggiò la chiesa e l'arrivo dei briganti che si rifugiarono nell'eremo negli anni seguenti, la fecero scomparire del tutto.

Il campanile si trovava lontano dal fabbricato, sul ciglio della valle su cui sorge Scala in modo che il suono della campana poteva essere sentito da tutto il paese sottostante.

A questo non toccò sorte migliore: dissestato gravemente dall'alluvione del 1764 nel secolo scorso crollò definitivamente.

La campana che vi si trovava, fusa nel 1650 e che porta scolpita l'immagine della Madonna col Bambino, fu trasportata, il 25 luglio 1808, nel Duomo di Scala da dove ancora oggi fa sentire la sua voce, malgrado sia la più antica delle campane esistenti nel Campanile.

Tra i pochi ruderi rimasti, nel 1987, in occasione del bicentenario della morte di Sant'Alfonso, vi è stata posta, per iniziativa dei giovani del Circolo ANSPI "Gerardo Sasso" presente a Scala, su iniziativa del suo indimenticabile presidente, Antonio Mansi, una statua della Vergine Maria, visibile da gran parte del paese affinché continui sempre a proteggerlo.

 

Grande interesse merita la statua lignea che si trovava sull'altare e che è nota col nome di Santa Maria dei Monti.

 

Raffigura, come è stato detto, la Vergine che su un braccio regge il Bambino e con l'altro mostra la Bibbia.

Probabilmente fu scolpita nel tardo cinquecento e dopo la distruzione della chiesetta di Santa Maria dei monti, fu portata prima nella chiesa di Santa Maria della Neve, nell'omonima contrada, da qui nella Congrega di Gesù, nei pressi del Duomo, ed infine nel Duomo stesso.

Ed è qui che nel dicembre 1950 il redentorista Domenico Capone, la trovò ridotta in condizioni pessime e prossima a disfarsi.

Saputo che la statua proveniva da Santa Maria dei Monti per cui sicuramente era stata venerata da Sant'Alfonso, il padre pregò l'arciprete, don Giuseppe Imperato senior, di cederla ai Redentoristi, che si sarebbero interessati del restauro e l'avrebbero poi esposta al culto del popolo di Scala.

 

Occorreva comunque l'assenso e dell'Arcivescovo di Amalfi, mons. Angelo Rossini e dei confratelli della Congrega, assenso che non tardò ad arrivare, cosicché il 13 maggio 1953 la statua fu portata a Roma nella sede del Gabinetto di Ricerche e di restauro dei musei Vaticani.

Alla fine degli anni settanta, però, si è dovuto intervenire nuovamente, in quanto i tarli minacciavano di distruggerla di nuovo.

Quest'ultimo restauro che pure ha fermato la distruzione sicura, ha tolto alla statua la primitiva espressione e il movimento dato dalle linee e dai disegni presenti sul manto.

Attualmente la statua si trova nella cappella dei padri redentoristi e in tanti, seguaci di Sant'Alfonso, vengono a Scala per pregare dinanzi a colei che essi chiamano: "La nostra mamma".

 


Casa Anastasio

La casa prima del 1733 era di proprietà dei Sasso di San Pietro in Castagna, frazione di Scala; si sviluppava su due piani, aveva varie stanze quasi tutte inabitabili e la vigna che per metà era incolta.

Su di essa gravavano molti censi e forse sono tutti questi i motivi per cui la proprietà nel 1732 era passata a Giuseppe Amendola che aveva l'obbligo di ripararla e di pagare i ventidue ducati per i censi.

Nel 1733 l'Amendola la diede in affitto alla nuova Congregazione in quanto ancora non era riuscito a riattarla.

Furono "i signori" di Scala che per consentire ai padri di abitarvi, con grande sollecitudine, la accomodarono e la resero abbastanza accogliente.

T'annoia così la descrive:

" Passò Alfonso ad abitare coi compagni in una casa detta di Anastasio, ma disadatta non meno della prima (foresteria o ospizio delle suore).

Consisteva questa in quattro picciole stanze, ma così scomode, che restringer si dovevano i letti fino a quattro per ogni stanza, se non si vuol dire della stanza uno solo letto per tutti ... .

Faceva capo alla casa una sala larga palmi diciotto e lunga quattordici.

Questa destinò Alfonso per Oratorio comune, e nel mezzo vedevasi situato, a vista di tutti un gran Crocifisso, ma così straziato che attirava le lagrime a chiunque.

Per chiesa adattò mons. Santoro un sottano di palmi sedici in quadro, che aveva piuttosto figura di catacomba che di chiesetta.

La povertà regnava da per tutto e nella casa e nella chiesa.

Non avendosi un tabernacolo per riporvi il divin Sacramento, lo ripose Alfonso in una scatola che rese abbellita con fettucce e pannicelli di seta.

Poverissimo era l'altare, ma adornato il meglio che si poteva con rose e carofali artificiali.

Tuttavia quella piccola chiesa ispirava divozione e raccoglimento.

Quivi Alfonso e tanti altri de' suoi consumavano parte della notte orando o strappando a terra un poco di sonno avanti a Gesù Sacramentato " .

Da Giuseppe Amendola nel 1740 passò al nipote Matteo il quale, con testamento del 29 luglio 1776, la lasciò ai nipoti Gennaro e Francesca Anastasio.

I due eredi però non seppero amministrare appieno la proprietà, né i loro successori la vollero in eredità per non assumere anche i debiti, tanto che nel 1813 la casa minacciava rovina.

Maggiore creditore degli Anastasio era Gabriele Mansi il quale rinunciò ad ogni azione su tutti i beni dei suoi debitori e diventò proprietario della Casa e della vigna nel 1831.

Ed è da un erede del Mansi, Diego, che il 5 dicembre 1954 Casa Anastasio fu acquistata dalla provincia Napoletana dei Redentoristi.

Da allora si è cercato in più riprese di evitare che la casa crollasse, ma solo tra la fine degli anni ottanta e inizi degli anni novanta è stato possibile intervenire in modo energico e globale.

I recenti lavori di ristrutturazione che pure hanno cambiato la disposizione delle varie stanze, consolidando i muri portanti, ampliando il fabbricato abbellendolo con il ripristino dell'ampio porticato, che originariamente la casa aveva, rimodernando tutti i servizi, hanno lasciato intatto il forno con il suo prezioso documento scolpito sopra che è stato protetto da uno spesso vetro per impedire che venga distrutto.

 


Grotta Di Sant'Alfonso

A poche decine di metri dalla foresteria delle suore che fu il luogo in cui il 9 novembre 1732 si diede inizio alla Congregazione del SS. Redentore, si trova quella che ormai da quasi tre secoli è conosciuta come "Grotta di Sant'Alfonso".

È questa un'incavatura nella roccia poco profonda in cui il santo si recava per pregare, meditare, fare penitenza, parlare con la Madonna.

Fino al 1910 era all'aria aperta, quasi abbandonata tra rovi e sterpaglie; erano pur vivi, però, il culto e la devozione popolare spontanea a Sant'Alfonso e alla Madonna, in quanto i Redentoristi ancora non avevano fatto ritorno con una sede stabile di una loro Casa a Scala.

Da testimonianze orali raccolte negli anni cinquanta da padre Capone, si sa che il signor Filippo Vissicchio fu Luigi di Atrani, morto a ottantanove anni l'8 novembre 1923, proprietario del fondo denominato "di Sant'Alfonso" proprio perché comprendeva la grotta, prima di venderlo nel 1915 o 1916 a Luigi Mansi, faceva salire dal suo paese ogni anno un sacerdote affinché celebrasse la messa in occasione della festa del santo in suo onore.

Altri dicevano che in gioventù si recavano nei pressi della grotta per recitare il rosario, accendere una candela¸ alimentare la lampada che vi ardeva.

Quando padre Van Rossum, nominato cardinale il 27 novembre 1911, nell'ottobre del 1910 venne a Scala per condurre al monastero le suore provenienti dal Belgio, volle ripercorrere tutto l'itinerario alfonsiano, da Santa Maria dei Monti, fino alla grotta che trovò senza alcuna indicazione o segno che facesse riferimento ad Alfonso per cui si adoperò affinché non solo il terreno antistante fosse acquistato dai Redentoristi, ma vi si erigesse anche intorno alla grotta una chiesetta.

Ed infatti, egli stesso il 17 aprile 1912 benedisse solennemente la cappella.

Questa era costata circa ventimila lire e la somma era stata donata o "lasciata per testamento dalla sorella dell'arcivescovo di Amalfi" alla quale "desiderosa di lasciare un'opera buona in onore di Sant'Alfonso, uno dei nostri padri aveva suggerito la costruzione di detta cappella" .

Recentemente, nel 1987 altri lavori hanno sistemato lo spazio antistante la chiesetta che è meta di visitatori e non sono pochi coloro che , attratti dalla particolarità del luogo, lo scelgono per celebrarvi matrimoni, battesimi, prime comunioni.

 


L'ospizio (o Foresteria) delle Suore

È forse la costruzione più rimaneggiata e trasformata di quello che fu ed è il "patrimonio redentorista" a Scala.

Di proprietà delle suore, al 9 novembre 1732 si articolava su due piani, con la cucina e una cisterna al piano inferiore, nonché un cortile e delle piazzole di terra dalle quali era possibile giungere alla "Grotta" che dista soltanto sessantacinque metri da qui.

Al piano superiore vi erano una piccola sala e quattro camere.

Quando Alfonso e i suoi confratelli andarono ad abitarvi la casa era ammobiliata poveramente, disadorna, angusta; unici mobili erano dei pagliericci, alcuni tavoli con pochi vasi di creta da utilizzare in cucina.

Nel 1768 la parte inferiore fu venduta a Pasquale Oliva e nel 1955 è stata trasformata in un piccolo albergo.

Anche la parte superiore, che è tuttora di proprietà delle suore, nel 1966 è stata trasformata in due appartamenti, ma attualmente sono in corso dei lavori per riportare il fabbricato alla struttura originaria.

Vi si accede da via Torricella; prima della trasformazione dopo la porta d'entrata c'era un piccolo spazio che a sinistra portava ad una camera isolata che i padri nel 1732 adattarono a cappella.

Di fronte all'ingresso vi era un'ampia camera che immetteva su un'altra ancora più grande e a destra altre due stanze intercomunicanti.

Accanto alla porta d'entrata, sulla parete esterna è stata posta una lapide che ricorda che fu proprio in quella casa che il 9 novembre 1732 Sant'Alfonso Maria de' Liguori fondò la Congregazione del SS. Redentore.

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