Vita e Sviluppo del Protomonastero
dal
1732 al 1902
Già prima
dell'allontanamento della Crostarosa dal monastero cioè dal
momento in cui il vescovo Santoro aveva revocato il decreto
di approvazione per il nuovo Ordine sul finire del 1732, le
suore si erano poste sotto la Regola del Falcoia, continuando
ad avere quale direttore spirituale padre Romano che era
entrato nella nuova Congregazione.
Quando nel 1738 sorse
il problema della successione del Romano, le suore
rifiutarono sia Sportelli, designato da mons. Falcoia, sia
Falcoia stesso in quanto con costui era difficile dialogare.
Dovette intervenire, a
volte con molto tatto, a volte in modo energico, padre
Sarnelli affinché la comunità di Scala accettasse di
passare nuovamente sotto la direzione dei Padri Pii Operai.
E ciò avvenne l'anno
successivo, nel 1739.
Questi padri
subentrarono ai Redentoristi anche nell'azione missionaria a
Scala.
Le suore, però,
continuavano a rincorrere l'idea e la Regola che erano state
scritte dalla Crostarosa e, quando nel 1749 seppero che il
Papa aveva dato la propria approvazione alla Congregazione
fondata da Sant'Alfonso, fecero di tutto affinché l'Opera
elaborata da suor Celeste, anche se costei risiedeva ormai
lontana da Scala, a Foggia, ricevesse l'assenso di Benedetto
XIV.
Una delle suore, suor
Maria Raffaella De Vito, inviò una lunga lettera contenente
anche le nuove regole a Roma al cardinale Besozzi
chiedendogli di intercedere così come aveva fatto per i
Redentoristi, presso il Papa.
E l'8 giungo 1750 con
il Breve Apostolico "In Supremo
militantis Ecclesiae" Papa Benedetto XIV
concesse l'approvazione all'Ordine che, come era stato per i
Padri l'anno prima, intitolò al Santissimo Redentore.
L'anno successivo, il 1
dicembre 1751, si ottenne l'exequatur del Re di Napoli
Carlo III.
Le fotocopie di questi
due atti vengono riportati in Appendice.
L'11 maggio 1752, Festa
dell'Ascensione, le monache professarono i voti solenni nelle
mani del vescovo diocesano mons. Biagio Chiarelli, che appose
al monastero anche la clausura papale, il tutto come
riportato nel seguente atto pubblico del notaio Francesco M.
Verrone di Scala:
" Oggi 11
maggio 1752 nella città di Scala, e propriamente nel Ven.
Monistero, già del SS. Salvatore al presente del SS.
Redentore, con licenza del Rev.mo Generale Vicario, ecc.
A richiesta
fattaci per parte delle infrascritte RR. Sig.re Superiora,
Vicaria e monache del suddetto Ven. Monistero, cioè Suor M.
Angiola del cielo, Superiora, Suor M. Michele della Vittoria,
Vicaria, suor M. Caterina del Santo Bambino, suor M. Serafina
del Paradiso, suor M. Raffaela della Carità, Suor M.
Maddalena del S. Sepolcro, Suor M: Gabriele dell'Umiltà,
Suor M. Teresa del SS. Salvatore, Suor M. Colomba delle Sante
Piaghe, Suor M. Felice dei S. Chiodi, Suor M. Rosa delle
Sante Spine, Suor M. Eletta della Divina Misericordia, Suor
M. Crocefissa della Mortificazione, Suor M. Deodata del S.
Presepe, Suor M. Anna Giuseppa di Gesù, Suor M. Angelica del
SS Salvatore, Suor M. Celidonia della Divina Provvidenza,
Suor M. Margherita della SS. Trinità e Suor M. Giacinta del
SS. Sacramento, tutte Superiora, Vicaria e monache del Ven.
Monistero del SS. Redentore di Scala, ci siamo personalmente
conferiti nella Chiesa del predetto loro Monistero, ed ivi
essendo, abbiamo ritrovato starvi ancora l'ill.mo e rev.mo
Mons. D. Biagio Chiarelli, Vescovo della suddetta città di
Scala, e quella di Ravello, con la maggior parte dei rev.mi
Signori Dignità e Capitolo della Cattedrale Chiesa della
nostra città, il quale rev.mo ed ill.mo Mons. Vescovo teneva
nelle sue mani il Breve originale dell'approvazione delle
Regole e delle Costituzioni per le monache del mentovato Mon.
del SS. Redentore colla perpetua clausura in esso Monistero,
ottenuta già dalla S. Sede Apostolica, una insieme, col R.
exequatur, pur anche ottenuto dalla Maestà del re, nostro
Signore, che Dio guardi.
E volendo il
detto ill.mo Mons. Chiarelli a richiesta delle RR. Signore
Superiora, Vicaria e monache dateli con il loro memoriale
quello mandare in esecuzione, per ciò il medesimo paratosi
pontificalmente, accompagnato dai rev.mi detti Signori
Dignità e Canonici si è portato alle grate del
Communicatorio, corrispondente alla sud. Chiesa del
Monistero, e propriamente avanti il portellino di essa, ove
giunto, sedè in una sedia di seta ricamata con oro, ed
avanti a lui dalla parte di dentro al Monistero si
accostarono tutte le sopradette RR. Signore Religiose, sì
coriste, come converse, le quali con ordine successivo, una
dopo l'altra, in ginocchione con alta e ben chiara voce
professarono, e ferono voto di perpetua castità, totale
povertà ed umile obedienza ai loro legittimi superiori, e al
suddetto Mons. Chiarelli, e suoi successori pro tempore; e di
perpetua clausura, il tutto servata la forma del di loro
direttorio, compreso nel Breve dell'approvazione delle
predette Regole e Costituzioni.
Così promisero
costantemente osservare e ciascuna di esse giurò sul santo
Vangelo.
Compite le
suddette solenne professioni l'ill.mo Mons. Chiarelli
pubblicamente, ed avanti non men del Rev.mo Capitolo, che di
tutto il popolo, ivi concorso, consegnò alla Madre Superiora
per il portellino il predetto Breve originale
dell'approvazione delle Regole ecc. dalla S. Sede, col
predetto R. exequatur, ad oggetto che quelli si fussero
conservati nell'archivio del loro Ven. Monistero, e consegnò
anche a me suddetto Notaio copia in stampa del precitato
Breve Apostolico dell'approvazione delle regole e
costituzioni con copia in forma valida del R.exequatur ad
oggetto d'inserirsi e conservarsi per me Notaio nel presente
atto per futura memoria e maggior sicurezza del Ven.
Monistero ... Inseratur.
Tutto ciò
terminato l'ill.mo Mons. Vescovo Chiarelli si alzò dalla
sedia, ed in compagnia di tutt'i Signori e Rev.mi Capitolari
e popolo ivi concorso si portò avanti la porta maggiore del
Monistero per la quale si entra in esso, ed ivi giunto quella
chiuse con catenaccio e chiave dichiarandolo, in esecuzione
del Breve Apostolico e R.exequatur Monistero di clausura
secondo i propri termini del S. C. di Trento la quale chiave
della clausura fu poi dallo stesso Vescovo consegnata
all'ill.mo D. Emmanuele d'Afflitto, Arcidiacono del Capitolo
e Patrizio della città, che destinò custode e vicario di
esso.
Dal che tutti gli
astanti ne renderono vive grazie al Signore, i quali per
tenerezza anche ne piansero.
Finito tuttociò
s'intonò il Te Deum Laudamus, che fu poi con dolce melodia
seguitato a cantare da tutti ecc." .
Dieci anni più tardi
il 10 maggio 1762, lo stesso mons. Chiarelli approvò le
Costituzioni che furono poi stampate a Napoli nel 1764.
Dopo che Alfonso fu
nominato vescovo di Sant'Agata dei Goti, nel 1762, questi
chiamò da Scala delle suore affinché fondassero anche nella
sua diocesi un monastero dell'Ordine del SS. Redentore.
Il 29 giugno 1766,
accompagnate dai redentoristi Carmine Fiocchi, Mazarelli e
Ferrara, dal vicario Nicola Criscuolo e dal Canonico Romano,
giunsero a Sant'Agata suor Maria Raffaella De Vito, suor
Felicia Pandolfi e suor Maria Celestina Romano che furono
accolte tra l'acclamazione di tutto il popolo.
La comunità di Scala
continuò negli anni, tra alti e bassi, a realizzare l'idea
della Fondatrice e visse una nuova fioritura quando nel 1805
entrò nel monastero anche una nobile donna di Amalfi,
Giuseppa Gambardella.
Questa, divenuta suora
con il nome di Maria Serafina del Paradiso, ricoprì per
tutta la vita l'Ufficio di superiora e maestra delle novizie.
Con il suo zelo riuscì
ad attirare nel monastero ventidue educande; di queste ben
quattordici divennero religiose professe.
Il 14 agosto 1806 il
governo napoleonico emanò un decreto che intimava la
soppressione dei monasteri che avessero meno di dodici
monache.
In quello del SS.
Redentore non si arrivava a tale numero, mentre in quello
benedettino di San Cataldo vi erano esattamente dodici suore;
le Redentoriste avrebbero dovuto, quindi, lasciare il proprio
monastero ed unirsi ad altre comunità.
Nel 1811 era già
pronto il decreto emanato dal vicario Capitolare A.
Sigismondo Criscuolo, quando una delle suore di San Cataldo
morì, per cui la stessa sorte doveva toccare alle
benedettine.
Ma il clero e il popolo
di Scala, sostenuti dall'Arcivescovo di Amalfi mons. Miccù,
vollero che fossero le Redentoriste ad evitare la
soppressione per cui otto benedettine si aggregarono loro,
mentre le altre tre si trasferirono tra le francescane di
Maiori.
Da San Cataldo le suore
poterono portare con sé poche carte, alcuni paramenti, delle
reliquie ed una statua della Madonna del Rosario che, si
racconta, anni prima, avrebbe attirato sui propri occhi un
fulmine che minacciava le benedettine.
Questa statua è
tuttora venerata nell'atrio della chiesa del monastero delle
Redentoriste.
La maggior parte delle
carte e dei documenti di San Cataldo fu portata via dal
commissario di polizia Pietro Gambardella e ben presto andò
distrutto.
Nel 1855, poiché
arrivavano notizie dei festeggiamenti per il centenario della
morte della Crostarosa, la superiora del monastero di Scala,
suor Maria Alfonsa della Volontà di Dio, al secolo Marianna
Anastasio, chiese alla superiora di Foggia, suor Maria Teresa
Spinelli, notizie approfondite sulla vita e la morte della
Fondatrice in quanto a Scala se ne era persa la memoria.
Da Foggia oltre a
quanto chiesto giunse anche un'immagine con una reliquia di
suor Celeste che fu collocata nel coro; la superiora pose
così tutte le suore sotto la sua protezione dichiarandole
sue figlie.
Un nuovo ciclone si
abbatté sul monastero di Scala così come su tanti altri in
Italia.
Le leggi eversive dello
stato Sabaudo del maggio 1855 che toglievano la personalità
giuridica agli Ordini religiosi e ai loro Istituti e di
conseguenza i relativi patrimoni che dovevano essere devoluti
per la formazione di un fondo statale per la sovvenzione al
clero, in seguito all'unità d'Italia, furono estesi a tutto
il Regno e nel 1876-77 maggiormente intensificate in quanto
si proibì ai monasteri di accogliere novizie.
In seguito a queste
normative al monastero di Scala furono tolti alcuni locali
con annesso un giardino in cui avrebbe dovuto essere
costruito un edificio scolastico.
Le suore, avendo perso
i terreni con le relative rendite e impedite a ricevere nuove
candidate, ben presto si trovarono ad affrontare povertà e
disagi tanto che nella visita canonica del vescovo ordinario
mons. Enrico Dominicis dell'ottobre 1895, questi trovò nel
monastero solo cinque suore.
Superiora era suor
Maria Immacolata Camera, proveniente da una nobile famiglia
amalfitana che riuscì a sostenere non solo spiritualmente,
ma anche materialmente le suore, facendo arrivare da Amalfi
cibo e aiuti vari, tanto da evitare che il monastero venisse
soppresso.
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