Il problema dei Rottami Ferrosi

 

L'importazione in Italia di materiali metallici per il riciclaggio ammonta a circa 7 milioni di tonnellate all'anno.

Di questi circa 5.000 tonnellate sono rifiuti ferrosi radioattivi e perlopiù vengono importati dai Paesi dell'Est: solo in Lombardia, forse per il fatto che è l'unica Regione ad avere una normativa apposita in materia, nel periodo 97-98 sono stati scoperti 113 carichi su TIR sfuggiti ai controlli doganali.

Inoltre nel 1996-98, su 2.260.000 tonnellate di rottami ferrosi in ingresso dai valichi doganali di Gorizia, Villa Opicina e Valico Sant'Andrea, oltre 15.000 tonnellate sono risultate radioattive e bloccate al confine.

Tale importazione può rappresentare un problema rilevante per la sanità pubblica essendo stata constatata una frequenza dell'1% circa di carichi contaminati da materiale radioattivo, sulla base di misure dell'irraggiamento fatte all'esterno dei contenitori per il trasporto ferroviario, ma anche stradale o marittimo. La probabilità quindi, che vengano introdotti sul territorio italiano materiali contaminati da sostanze radioattive è realistica ed è destinata ad aumentare in relazione alle dismissioni o ristrutturazioni di impianti ed apparecchiature nucleari.

In Italia, nelle vecchie centrali nucleari e in strutture pubbliche e private in attesa di smaltimento, sono stoccati 24.000 metri cubi di materiali radioattivi.

Inoltre ogni anno 2.000 metri cubi di rifiuti radioattivi provengono da macchinari ospedalieri e industriali.

Nell'intera Unione Europea i materiali pericolosi ospedalieri e industriali costituiscono la quota di 580.000 mc, a cui nei prossimi 5 anni se ne aggiungeranno altri 220.000.

Sono pertanto necessari tempestivi controlli, in particolare sui carichi provenienti da Paesi extracomunitari e riguardanti rottami metallici, che trasformati in notevoli quantità sarebbero destinati ad usi molteplici.

Poiché detti rottami vengono diffusi anche all'estero, esiste poi la necessità che nel Mercato Comune la nostra industria di settore non appaia scarsamente affidabile per la radioattività, vera o presunta, della materia prima utilizzata, considerato che il rischio per i lavoratori, per la popolazione e per l'ambiente può provenire anche dai prodotti metallici finiti immessi sul mercato.

Inoltre, tenendo conto della schermatura offerta dalla massa dei rottami e dai contenitori, si presume che la quantità effettiva di una possibile contaminazione sia più elevata all'interno del carico che al suo esterno. Ma una più accurata misura della radioattività all'interno dei carichi è praticamente impossibile alle frontiere terrestri e marittime (su carri ferroviari, autotreni, navi, containers) perché comporta soste lunghe dei carichi ai confini, gravi intralci al movimento, forti costi e l'impiego di molto personale tecnico.

La normativa prevista è una direttiva EURATOM, recepita con D.L. n. 230 del 17/03/95, di cui mancano però le modalità di applicazione, per cui è sempre rimasta lettera morta.

L'art. 157 di detto Decreto fa obbligo ai soggetti che a scopo industriale e/o commerciale, compiono operazioni di fusione di rottami o di altri materiali metallici di risulta oppure che esercitano attività che comportano la loro raccolta ed il loro deposito (con esclusione delle attività che comportano esclusivamente il loro trasporto), di effettuare una sorveglianza radio metrica su detti materiali.

Pertanto l'esecuzione dei rilievi radiometrici alle frontiere non è più considerato compito della Pubblica Amministrazione, ma sono i soggetti stessi ad autocontrollarsi, avvalendosi dell'intervento dell'A.S.L. competente per territorio o di qualunque altra ditta privata autorizzata e tecnicamente ritenuta affidabile.

Tutto dipende dalla correttezza e serietà degli stessi industriali siderurgici.

(dati numerici forniti da: Legambiente e Carabinieri NOE - 1999)

 


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