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Stralci critici
Alla base dei Gestaltwitze,
dei motti di forme di Mavi Ferrando, c’è un’analisi semiotica radicale...
Ritratti (o meglio caricature) del comun denominatore segnico, indicano in
modo concreto (e mascherato) la mancanza della funzione. Per ricondurci alla
problematica della perduta sostanza… Nei confronti del nostro spazio
esistenziale, Mavi Ferrando parte da un punto di vista molto simile a quello
dei primi pop inglesi (e il tempo storico coincide, perché noi non
anglosassoni attraversiamo ora la fase d’indistrializzazione equivalente) ma
con un intervento che, sconvolgendo insieme forme e significati, approda ad
un recupero del gesticolante, del ridondante, del Camp, e contrabbanda, un
po’ come fecero i poppisti USA, attraverso un filtro strettamente
intellettuale l’immaginazione plastica ‘collettiva’… . ... Difatti
l’implicito messaggio non è la seggiola, e nemmeno la non seggiola, e
nemmeno il nome; molto di più: un invito alla libertà. Il lavoro esce dal
piano didattico ed entra nella sfera estetica perchè all’interno
dell’azione contestativa è comunicata l’inventiva, la potenzialità,
l’ipotesi, la disponibilità plastica. …
Mirella Bentivoglio
((1975)
... Mavi Ferrando ha scelto l’“apparenza
assurda”, l’”accurata” costruzione, dopo una precisa progettazione, in una
sintesi qui particolarmante “felice” di trompe products, che si potrebbero
collocare in trompe environments, mentre si può addirittura operare per un
trompe planning design. Essenziale è però che la trompe designer,
sorprendendo nel suo agire per épater les bourgeois, che non si scompongono
più per nulla, induca a tornare a “guardare”, e a continuare poi ad
utilizzare gli occhi per la vita di ogni giorno, e a riflettere infine sul
possibile, concreto intervento di un design correttamente inteso.
Anty Pansera
(1976)
… Ma l’apparenza inganna e
l’errore è di considerare una sedia, benchè inospitale, quella che è invece
la coniugazione irregolare del verbo ‘fare mobili’, usato nel gergo ribelle
di un’artista che di una lingua sceglie le strutture di base, ma non i
luoghi comuni. Come che questa, malgrado gli ostacoli e la violenza fatta
alla dolcezza del legno con quei braccioli dentati, debba essere una sedia,
e non pittosto una presenza che proprio dalla negazione del modello… trae la
sua propria autonomia. …
Paolo Carloni
(1976)
... Se l’oggetto Pop, o Neo-Dada, si
proponeva la celebrazione feticistica di sé stesso, quello di Mavi Ferrando
ribalta completamente tale impostazione e produce una coniugazione segnica
descrittiva e concettuale che rifiuta la mera constatazione, la semplice
nausea programmatica (intendo un obbligo e un dovere il rifiuto di cliché
consunti; l’alternativa in questo momento storico sono l’assurdo e il
superfluo intesi come beffa stilistrica, ma soprattutto intesi come
sconvolgimento degli schemi ufficiali. (Il corsivo è tratto da uno
scritto dell’artista). L'artista gioca allora con un’ironia aspra e
tagliente sulla funzione delle sue ultime sculture, mimandone per un tratto
i significati consueti, per poi sbarazzarsene di colpo con un’imprevista
traumatica riconversione dell’oggetto nel mondo del non-senso, dell’altro da
sè. ... Questi enigmatici oggetti ci sembrano più che mai
intercettare-deviare la nostra carica libidica dall’oggetto di derivazione
(sedia) per concentrarla e assorbirla in se stessi; partners anomali e
devianti rispetto ad una cultura imposta come “geroglifico sociale”,
emanazione del potere, o valore scaduto ed omologato.
Marisa Vescovo
(1978)
...Gli “ oggetti finti” del suo primo
periodo ... non mi sembrano delle finzioni di oggetti funzionali come è
stato detto, ma piuttosto delle sculture di oggtti funzionali, con tutte le
differenze che questa distinzione comporta: non si tratta di simulazioni ma
di rappresentazioni... A questo modo di intendere la prima fase del suo
lavoro mi induce l’osservazione delle sue ultime cose: che pur derivando
dalle prime in linea diretta, perdono progressivamente il bisogno di mettere
in mostra negli oggetti l’aspetto di apparecchio, di meccano, ma diventano
frammenti e collages con intenzioni pittoriche, nell’ipotesi di un habitat
metafisico tradotto in pura visione poetica. Sembra questa la attuale
vocazione di Mavi ferrando, nel passaggio dall’uso univoco del legno verso
l’uso di materiali eterogenei, non esclusa la citazione pseudo-kitsch di
figure ritagliate dall’iconografia classica. Ideare un mondo post
magrittiano a rilievo, estraendolo da un’esperienza di contro design del
genere pop è un curioso, e ben personale, processo di evoluzione. …
Alessandro
Mendini (1991)
... L’oggetto-quadro si qualifica come
veicolo di fenomenicità: sembra quasi che l’autrice ritagli uno spaccato di
eventi naturalistico-pittorici e quasi duchampianamente li offra al
fruitore. E’ dovuto a tale visione-gioco il fatto che questi legni dipinti
sono offerti al lettore in vario modo: a squarci, incorniciati a tratti,
ecc. ... Con queste sculture l’artista si libera di un problema che si
portava addosso da circa 15 anni. Alla metà degli anni ’70 aveva prodotto
delle sculture-design. Si ammiccava, o si faceva il verso, al design, ma
mancava la funzionalità. … Come ha osservato Alessandro Mendini si trattava
di finzioni di oggetti funzionali. Insomma la Ferrando esprimeva le sue
sculture - sedie, tanto per fare un esempio emblematico – tenendo presente
il design allo stesso modo con cui un artista di nature morte tiene presenti
le frutta. Ora, la Ferrando torna alle sculture, ma più libera in rapporto a
questa sapida ambiguità … c’è da aggiungere che queste ultime opere hanno
diradato il parallelismo iconografico con gli oggetti funzionali: sono degli
“oggetti inutili”, per parafrasare Bruno Munari, autoreferenziali, con
valenza ambientale. ... Si allontani anche l’idea del design improbabile:
sono sculture. Ovviamente non si tratta di sculture-soprammobile. ...
Carmelo
Strano (1993)
Mavi Ferrando …… fornisce un concentrato di
soluzioni minimali che ibridandosi fra pittura e scultura si delineano su
questi sottili crinali che sottendono, separano e ugualmente uniscono l’alto
design e l’artisticità tout-court. Giacché i legni colorati e sagomati …. si
confrontano con le strutture scultoree, … ne consegue una qualitas
direttamente proporzionale all’eloquenza visiva, addirittura tattile, sul
tema di una “ripetizione differente” di motivi plastici e piani a stretto
contatto con una strategia compositiva che coniuga misura e versatilità,
eleganza e leggerezza poetica.
Pier
Paolo Castellucci
(1999)
…
L’installazione di Mavi Ferrando, soprattutto nella sua parte centrale,
emana un’analoga sensazione di attesa: come se le sagome che occupano la
scena stessero aspettando di acquisire una propria individualità estetica,
qualcosa che le caratterizzi in modo marcato, che differenzi l’elemento
singolo dall’insieme. Anche in questo praesepium, come avviene nel
suo analogo natalizio, sembra di essere di fronte a un ‘fermo immagine, a un
tableau vivant arrestatosi un attimo prima della sequenza principale.
Questa condizione di stasi suscita paradossalmente un senso di movimento, ma
solo accennato, soltanto evocato dalle pose sottilmente difformi delle
sagome. La scoperta di tale dinamica processuale, di questo paradosso
percettivo in cui si mescolano immobilità ed azione, rende legittima una
domanda: e se a essere messa in scena, a essere rappresentata,
nell’installazione di Mavi Ferrando, non fosse altro che la pura potenza
della rappresentazione stessa?…
Roberto Borghi
(2002)
Per Mavi Ferrando black è come un’anima
bianca pura e misteriosa nella sua assolutezza. L’essenza delle forme si
esalta al suo confronto. La sua implacabilità non consente incertezze, i
margini di errore sono annullati ed esci allo scoperto. E’ l’assoluta
opposizione al nitore della luce, ma la contiene per autoannullamento,
negazione di sé. Come il vuoto è positività in essere, stasi necessaria dopo
il movimento. Il nero della sua opera si apre alla luce con lo scavo e
l’intaglio di sagome fluide e morbide, sicché il legno diventa superficie
incisa e traforata in una scultura bassorilievo che esalta la
bidimensionalità come elemento compositivo e strutturale, anche in funzione
tridimensionale. Il pieno e il vuoto sono, come nella realtà, i poli
dialettici, si intersecano sovrapponendosi in un gioco di ombre, descrivendo
forme magiche e misteriose che sembrano alludere con la loro ondivaga
declinazione all’eterno metamorfismo della vita.
Mimma Pasqua
(2004)
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