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Immaginiamo che una persona sedentaria venga costretta a
sollevare dei carichi pesanti, lavoro a cui la sua muscolatura non è
abituata: all'inizio un lavoro del genere risulterà molto penoso, ma con
l'andare del tempo il suo organismo si adatterà e riuscirà più
facilmente a produrre il lavoro che gli viene richiesto. Analogamente, se
a questo individuo venisse chiesto improvvisamente di percorrere un gran
numero di chilometri a piedi ogni giorno, dovrà adattare il suo organismo
a questo tipo di lavoro. Anche nel caso di un pianista che deve imparare a
muovere le dita su una tastiera di un pianoforte avremo lo stesso
fenomeno, che chiameremo adattamento.
In che cosa consiste esattamente il fenomeno
dell'adattamento?
L'organismo umano conserva una funzionalità di base,
rapportata alla quantità di lavoro che svolge normalmente. Se un agente
aggressore, che può essere una malattia, uno sbalzo di temperatura, un
trauma o anche un lavoro, provoca un cambiamento nel suo stato,
l'organismo reagisce con uno stress, cioè con una reazione volta
ad adattarsi alla nuova situazione. Si ha uno shock con il quale
l'organismo subisce la nuova situazione, e un contro-shock col quale
comincia a reagire. Se l'aggressione di questo agente esterno, che nel
nostro caso è uno sforzo fisico, è superiore come intensità e durata
alle possibilità di difesa dell'organismo, si ha una fase di esaurimento,
e l'organismo rimane vittima dell'aggressore. Se invece l'organismo riesce
ad organizzare una reazione efficace, ci sarà un adattamento. Nel caso
della persona che doveva sollevare dei pesi, l'adattamento riguarderà la
forza, nel caso della persona che doveva camminare per molti chilometri
riguarderà la resistenza, nel caso del pianista riguarderà l'abilità.
Lo scopo dell'allenamento è quello di adattare l'organismo a sostenere
sforzi via via sempre più alti, col principio della supercompensazione.
Quando l'organismo reagisce positivamente ad uno stimolo
che comporti un aumento di consumo di energia rispetto a quello che per
lui è la norma, si è detto che si ha una fase di contro-shock, durante
la quale la curva del suo rendimento energetico, che si era abbassata per
effetto dell'aggressione subita, riprende a salire. Ma l'organismo, come
se volesse premunirsi contro future possibili aggressioni, costruisce
sempre qualcosa in più di ciò che aveva prima. Dunque, al termine della
fase di recupero, abbiamo la supercompensazione: ora l'organismo, se
venisse nuovamente costretto a subire la stessa aggressione, reagirebbe in
maniera superiore: ha cioè acquisito una superiore capacità di lavoro.
In sostanza l'allenamento sfrutta il principio dell'adattamento arrivando
alla supercompensazione. Naturalmente bisogna opportunamente dosare il
lavoro sia nella quantità che nel tempo, per far si che il lavoro sia
allenante.
Supponiamo che il carico di lavoro sia troppo grande, o
troppo ravvicinato nel tempo: l'organismo non avrebbe più tempo di
recuperare, e in breve la fatica si accumulerebbe
fino al sopraggiungere del “surmenage” o superallenamento:
la capacità di produrre lavoro decresce rapidamente fino ad arrivare a
gravi stati di disagio fisico che costringono ad interrompere subito
l'attività per un certo periodo.
(Questo è il motivo per cui non ci si dovrebbe allenare
ogni giorno, ma piuttosto due o meglio tre volte la settimana: se proprio
si sente il bisogno di fare ogni giorno attività fisica, si dovrebbe
badare ad alternare gruppi muscolari diversi, o cambiare tipo di esercizio
fisico).
Ne', d'altra parte, il carico di lavoro può essere troppo
distanziato o troppo leggero. Se è troppo distanziato nel tempo non è
allenante, perchè dopo lo stato di supercompensazione deve subentrare
subito un'altra azione allenante, in mancanza della quale la capacità
sportiva ritorna allo stato in cui era prima dello stimolo che ha prodotto
la supercompensazione. Se, infine, il carico di lavoro non è abbastanza
elevato, il fisico non subisce lo stress che lo aveva portato a reagire, e
ritorna allo stato di routine.
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