Il loro amico Howe Gelb (Giant Sand) ha dichiarato "il suono del deserto
è al centro dei Greyhound Soul". Ne prendiamo atto, tornando a parlare
di questa formazione dell'Arizona a breve distanza dal recente Alma
de Galgo (2001), disco con il quale avevamo approcciato la
loro cruda miscela di spigoloso rock'n'roll e ballate desertiche. Down
porta avanti le ambientazioni estreme ed aride del deserto americano,
che si tramutano in un folk-rock oscuro, a tratti vorticoso come può esserlo
solo un tornado, colpevole il rigurgito vocale di Joe Peña,
minaccioso come pochi. L'esperienza dei musicisti coinvolti, gente navigata
del circuito alternativo di Tucson, a cui si aggiunge il peso di ospiti
quali Winston Watson (Bob Dylan) e Tommy Larkins (Jonatahn
Richman), oltre alla produzione d'origine controllata di Craig Shoumacher,
completano il quadro. Intervallando torbide ballate bluesy, una raucedine
rock tra Tom Waits e Bob Dylan e cavalcate notturne di younghiana memoria,
i Greyhound Soul (che si sono scelti un nome splendido) mischiano
sapori seventies, organi vintage e chitarre al vetriolo, in un disco come
sempre molto lungo (al limite dei settanta minuti) che chiede esperienza
e palato fine per essere apprezzato fino in fondo. Se l'inizio è romantico
nelle note dell'armonica in Turn Around e nella slide di Drive
to The Moon, con un Joe Pena che mormora il suo personale blues, il
proseguio accende la miccia del rock'n'roll: Drag Queen è una ballata
elettrica pulsante, Hollywood parte attendista e scoppia in un
finale da spasmi, mentre la strepitosa Rain potrebbe uscire dalla
penna del Dylan più fosco. Un brano strumentale spezza idealmente la tensione
ed apre il secondo atto: ritornano le romanticherie con i chiaroscuri
di Shoulder e Rose, si vira poi al country d'autore con
l'andamento dolcissimo di Comin' Home e quello più cialtrone di
Little While, Little Girl (siamo dalle parti degli Stones più rurali)
per ritornare tutti a casa nelle braccia del deserto con le asperità rock-blues
di You Could be The One. Giù il cappello: gran bel disco per una
band che meriterebbe più crediti
(Fabio Cerbone)
www.greyhoundsoul.com
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