Mai,
dai tempi dei Creedence di John Fogerty, una definizione simile è
stata così calzante per una rock'n'roll band: i Blasters
suonavano pura "american music", senza fronzoli e troppi
giri di parole, e lo dicevano forte e chiaro fin dal loro acerbo disco
d'esordio, l'unico a non essere compreso in questa favolosa raccolta
degli anni con la Slash (ma comunque reperibile nella ristampa della
Hightone). I fratelli Dave e Phil Alvin erano l'anima
e il cuore di un gruppo antesignano del rock delle radici: nella Los
Angeles dei primi anni ottanta, tra le scosse del punk-rock e i rigurgiti
psichedelici del Paisley Underground, loro giocavano con la musica dei
padri, rispolveravano i vecchi vinili della Chess, mitica etichetta
blues di Chicago, ripassavano i riff di Chuck Berry e le ballate di
Hank Williams, il sound di New Orleans ed il rock'n'roll di Memphis,
dando vita a quello che in molti poi avrebbero chiamato roots-rock,
oggi Americana (ma il concetto non cambia). Dave era la mente, l'autore
che tutti poi avremmo imparato ad amare, Phil il frontman capriccioso
e dalla voce inconfondibile e gli altri più che degli onesti
comprimari, dal piano impazzito di Gene Taylor al sax di Lee
Allen e Steve Berlin. Fedeli al concetto della vita on the
road e scopritori di un'essenza rock'n'roll incontaminata, hanno brillato
lo spazio di un breve lustro, lasciando però in eredità
uno dei manifesti più sinceri dell'american music di quegli anni,
Hard Line. Correva l'anno 1985 ed insieme a Scarecrow
di Mellencamp, l'America operaia alzava la testa e la voce contro lo
scempio ultra-liberista di Reagan. Siano benedetti.
(Fabio Cerbone)
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