Speciale Munich records

Alcune interessanti proposte, tra alternative-rock, suggestioni roots e pop, di una nuova protagonista della scena indipendente europea, l'olandese Munich, che si propone come una valida ed intraprendente concorrente alle grandi famiglie della Blue Rose e della Glitterhouse.

www.munichrecords.com


Jackpot - Weightless 1/2

Delle uscite qui presenti è sicuramente la più classica per il linguaggio musicale affrontato, ma anche la più eccitante: sono un trio di guitar-rock dalle svariate citazioni ed influenze, che gira attorno alla "stanca" vocalità younghiana di Rusty Miller ed alle sue chitarre in bilico tra Crazy Horse sound e alternative-rock. Il background è dunque quello di una tipica college-band cresciuta coi suoni del punk (Radio robots) e di tutta la successiva evoluzione del rock alternativo (chiamiamo in causa il gusto low-fi e pop dei Pavement, a puro titolo di esempio), a cui si aggiungono però una comunione d’intenti con il movimento roots-rock, per via di una rilettura personale dei suoni della tradizione. Aggiungete un amore direi quasi maniacale per le atmosfere e le cadenze del Neil Young più elettrico e vi avvicinerete al fascino ultimo di queste canzoni. Nulla che possa passare per qualcosa di sconvolgente, tuttavia dannatamente piacevole, perché i ragazzi sanno scrivere con mano matura e riescono ad infilare qualche piccolo gioiello: su tutti il country-rock dolciastro e romantico di Piano, le digressioni pop di La La Land, la più ruspante Cartwheels, un’oasi acustica d’impostazione counry-blues, gli orizzonti alla Zuma di She’s so cool e della conclusiva, lisergica Queen bewilderd (che personalmente mi ricorda tantissimo un altro younghiano di ferro quale Chris Cacavas). Anche il resto del materiale si difende bene e non fa la figura di semplice riempitivo (in Whiskey sembra quasi di assistere ad una reincarnazione dei primi Uncle Tupelo), aprendoci ad un giudizio più che lusinghiero sul secondo lavoro dei Jackpot.

www.jackpotweb.net




VIRGIL SHAW

Quad Cities

 

MOTHER HIPS

Green Hills of Heart

Scontroso e dal fascino oscuro questo debutto solista di Virgil Shaw, leader dei Dieselhead, interessante band di San Francisco con all’attivo cinque dischi ed una certa fama nel circuito alternativo della California. Scarno e sperimentale (arricchito però dall’utilizzo di tromba e vibrafono), Quad Cities attraversa i territori di un folk-blues depresso e moderatamente modernista, strettamente legato alla poetica dei contemporanei eroi del più cupo e "soporifero" songwriting di estrazione tradizionale (Palace, Hayden, il Beck acustico sono i primi nomi che balzano alla mente). La voce increspata di Virgil asseconda nove episodi molto omogenei tra loro, che raggiungono momenti di grande pathos nelle nervosa Surfboard shaper e nel canto soul di For your precious love.

www.virgilshaw.com
www.dieselhed.com

Ritroviamo rinnovati e convincenti i Mother Hips, storica rock-band della Baia di Frisco, con alle spalle una rispettabil carriera, che li ha visti pubblicare anche tre dischi con la ormai defunta American di Rick Rubin. Tornati purtroppo nei più ristretti ranghi di una indipendente, hanno comunque l’occasione di liberare il loro talento e dimostrare nuovamente un eclettismo sonoro che li ha sempre contraddistinti. Abbandonate parzialmente le tonalità country-rock e da tipica jam-band cresciuta con i suoini dei seventies, i Mother Hips abbracciano con passione la causa di un fresco e vitale pop-rock, con frequenti divagazioni psichedeliche, che tanto richiamano alla mente la stagione del "flower power". Gli intrecci melodici rimandano al genio di Brian Wilson ed ai Beatles di Revolver, che sono poi i loro nuovi punti di riferimento (Take us out, Channel island girl, Sarah Bellum o Singing seems to ease me), anche se non disdegnano qualche sfuriata rock’n’roll (Rich little girl, dove sembrano i Black Crowes, e Smoke).

www.motherhips.com




JOHNNY DOWD

Temporary Shelter

 

FOR STARS

We Are All Beautiful People
1/2

Country-blues modernista in cui la tradizione viene fatta a fettine e strapazzata da un clima sonoro malsano, con atmosfere da film noir. Una nuova e curiosa versione delle tematiche sudiste, la più lontana possibile dalla classica iconografia musicale di quelle terre, che ti lascia addosso un generale senso di sofferenza e peccato. Prendete il rock pungente e scheletrico di Lou Reed ed il Tom Waits rumorista di Bone Machine, accostateli al blues futurista di Hugo Race e del primo Nick Cave ed aggiungeteci un vago sapore di radici: non avrete ancora un’idea precisa di dove voglia trovare rifugio la sua musica ed il suo songwriting. Terzo lavoro di studio, Temporary Shelter si avvale dell’apporto sostanziale di Kim Sherwood Caso ai cori e spesso alla voce solista, delle fondamentali tastiere di Justin Asher e delle diavolerie ritmiche di Brian Wilson. Dal minaccioso organo di Strumble and fall alle lunghe cavalcate funeree di Cradle to the grave e Angel eyes non c’è via di scampo. Decisamente ostico

www.johnnydowd.com

Un’altra formazione proveniente dall’area di Frisco, poco affine tuttavia alle altre proposte della Munich. Il quintetto guidato dal suo principale autore (Carlos Forster) si muove piuttosto sulle linee guida tracciate in questi anni da una buona parte del rock californiano: passano sotto gli occhi le esperienze di Mark Eitzel e dei suoi American Music Club su un versante più cantautorale o di band quali Flaming Lips e Sparklehorse (l’atteggiamento low-fi di There was a river) in ambito più sperimentale. C’è una forte propensione ad un pop intelligente ed elaborato (How it goes, The astronaut song, If I could, che sembra un brano degli ultimi Wilco), qualche ballata folk sussurrata, sulla scia di tutto il recente fermento per la poetica di Nick Drake e Tim Buckley (Back in France, Only stars) ed un vago sapore di psichedelia, che, viste le origini della band, non guasta affatto.