Subcomandante Marcos
IL NOSTRO PROSSIMO PROGRAMMA :
OSSIMORO !
(LA DESTRA INTELLETTUALE E IL FASCISMO LIBERALE)
"Nella
figura retorica chiamata ossimoro,
si applica a una
parola un aggettivo che
sembra contraddirla ;
così gli gnostici
parlavano di una luce
oscura ; gli
alchimisti di un sole
nero."
Jorge Luis Borges
Avvertenza,
introduzione e promessa
Attenzione:
Se non avete letto l'epigrafe, è meglio che lo facciate adesso,
altrimenti non capirete alcune cose.
Un fatto incontestabile : la globalizzazione c'è. Non la giudico
(ancora), semplicemente indico una realtà. Però, come primo ossimoro,
occorre segnalare che si tratta di una globalizzazione frammentata.
La globalizzazione è stata resa possibile, fra le altre cose, da due
rivoluzioni : quella tecnologica e quella informatica. Ed è stata, ed
è, diretta dal potere finanziario. La tecnologia e l¹informatica (e
con esse il capitale finanziario) hanno fatto scomparire le distanze e
hanno rotto le frontiere. Oggi è possibile avere informazioni su
qualunque parte del mondo, in qualunque momento e simultaneamente. Ma
anche il denaro ha ora il dono dell¹ubiquità : va e viene a velocità
vertiginosa, come se fosse in ogni luogo nello stesso momento. Di più,
il denaro dà uno nuova forma al mondo, la forma di un mercato, di un
mega-mercato.
Tuttavia, nonostante la ³mondializzazione² del pianeta, o meglio,
proprio a causa di questa, l¹omogeneità è ben lungi da essere la
caratteristica di questo passaggio di secolo e di millennio. Il mondo è
un arcipelago, un rompicapo i cui pezzi si trasformano in altri
rompicapo, e l¹unica cosa davvero globalizzata è la proliferazione
dell¹eterogeneità.
Se la tecnologia e l¹informatica hanno unito il mondo, il potere
finanziario che le utilizza lo ha spezzato usandole come armi, come armi
in una guerra. Abbiamo detto in precedenza (il testo si chiama "La
quarta guerra mondiale è cominciata", EZLN - il manifesto, 1997)
che con la globalizzazione si porta a termine una guerra mondiale, la
quarta, e si sviluppa un processo di distruzione/spopolamento e
ricostruzione/riordino (sto cercando di riassumere concisamente, siate
comprensivi) in tutto il pianeta. Per la costruzione del "nuovo
ordine mondiale" (Planetario, Permanente, Immediato e Immateriale,
secondo Ignacio Ramonet), il potere finanziario conquista territori e
abbatte frontiere, e lo fa con una guerra, una nuova guerra. Una delle
vittime di questa guerra è il mercato nazionale, base fondamentale
dello Stato-Nazione. Quest¹ultimo è in via di estinzione, o quantomeno
lo è nella sua forma tradizionale o classica. Al suo posto sorgono
mercati integrati, o meglio ancora i negozi del grande "centro
commerciale" mondiale, il mercato globalizzato.
Le conseguenze politiche e sociali di questa globalizzazione sono un
Ossimoro reiterato e complesso : meno persone con più ricchezze,
prodotte da più persone con meno ricchezze, "la povertà del
nostro secolo non è confrontabile con nessun'altra. Non è, come è
accaduto a volte, il risultato naturale di carestie, ma di un insieme di
priorità imposte dai ricchi al resto del mondo" (John Berger,
"Cada vez que decimos adiós" Ediciones de la Flor, Argentina,
1997. Pp. 278-279.). Per alcuni potenti il pianeta si è spalancato ;
per milioni di persone il mondo è un non-luogo, e vagano errabondi da
una parte all¹altra. La criminalità organizzata costituisce la spina
dorsale dei sistemi giudiziari e dei governi (gli illegali fanno le
leggi e "conservano l'ordine pubblico"), e
l'"integrazione" mondiale moltiplica le frontiere.
Così, volendo mettere in risalto alcune delle principali
caratteristiche dell¹epoca attuale, dovremmo dire : supremazia del
potere finanziario, rivoluzione tecnologica e informatica, guerra,
distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordino, attacco allo
Stato-Nazione, conseguente ridefinizione del potere e della politica, il
mercato come figura egemonica che permea tutti gli aspetti della vita
umana in ogni luogo, maggior concentrazione della ricchezza in poche
mani, maggior distribuzione della povertà, aumento dello sfruttamento e
della disoccupazione, milioni di persone in esilio economico,
delinquenti che si fanno governo, disintegrazione del territorio.
Riassumendo : globalizzazione frammentata.
Bene, secondo queste premesse, nel caso degli intellettuali (posto che
abbiano a che vedere con la società, il potere e lo stato) sarebbe il
caso di domandarsi : hanno subito lo stesso processo di
distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordino ? Quale ruolo assegna
loro il potere finanziario ? Come usano (o sono usati da) i progressi
tecnologici e informatici ? Che posizione hanno in questa guerra ? Come
si rapportano con questi minacciati Stati-Nazione ? Qual è il loro
legame con questo potere e con questa politica così ridefiniti ? Che
posto occupano nel mercato ? e che posizione prendono di fronte alle
conseguenze politiche e sociali della globalizzazione ? Insomma : come
si inseriscono in questa globalizzazione frammentata ?
Il mondo sarebbe cambiato da e per questa guerra. Se così fosse, gli
intellettuali "classici" non esisterebbero più, e nemmeno le
loro tradizionali funzioni. Al loro posto una nuova generazione di
"teste pensanti" (per usare un termine coniato dal comandante
zapatista Tacho) sarebbe emersa (o starebbe per emergere) e avrebbe
nuove funzioni nei propri compiti intellettuali.
Anche se cercheremo qui di limitarci agli intellettuali di destra,
saranno evidenti alcune indicazioni a proposito degli intellettuali in
genere e sui loro rapporti con il potere. Dato che questo testo si
propone di partecipare e di alimentare la polemica fra intellettuali di
destra e di sinistra, una riflessione più profonda su intellettuali e
potere e su intellettuali e trasformazione, è rinviata a futuri e
improbabili scritti.
Bene. Salve, e tenete a portata di mano il vostro telecomando. Fra un
minuto cominciamo...
Subcomandante Marcos
IL
NOSTRO PROSSIMO PROGRAMMA : OSSIMORO !
(LA DESTRA INTELLETTUALE E IL FASCISMO LIBERALE)
1 - LA
MONDIALIZZAZIONE : PAY PER VIEW
In bilico sulla cerniera del
calendario, il duemila pencola fra il XX e il XXI secolo e fra il
secondo e il terzo millennio. Non so quanto sia importante questo
computo del tempo, ma mi pare comunque che sia il momento appropriato
perché da ogni parte sorga OSSIMORO. Per non andare troppo lontano, si
può dire che quest'epoca è il principio della fine o la fine del
principio di "qualcosa". "Qualcosa" : modo
irresponsabile di eludere un problema. Ma già si sa che la nostra
specialità non è quella di risolvere i problemi, ma di crearli.
Crearli ? No, è troppa presunzione : diciamo proporli. Sì, la nostra
specialità e proporre dei problemi.
Lassù tutto sembra essere già accaduto in precedenza, come se un
vecchio film si ripetesse con altre immagini, altre risorse
cinematografiche, persino altri attori, ma con lo stesso soggetto. Come
se la "modernità" (o "postmodernità" : lascio la
distinzione a chi se ne voglia prendere il disturbo) della
globalizzazione si vestisse del suo OSSIMORO e ci si presentasse come
una modernità arcaica, ammuffita, antica.
Se quello che sto dicendo vi sembra una valutazione meramente
soggettiva, addebitatelo al nostro stare in montagna, resistenti e
ribelli, ma concedeteci il lusso di leggerci e deciderete poi se si
tratta di un nuovo sintomo del "mal di montagna" o se
condividete questa sensazione di déjà-vu che fluisce attraverso quell'ipercinema
che è il mondo globalizzato.
Il mondo non è quadrato, o almeno questo si insegna a scuola. Però,
sul discrimine della cerniera fra due millenni, il mondo non è neppure
rotondo. Non so quale sia la figura geometrica adatta a rappresentare la
forma attuale del mondo, ma dato che siamo nell¹epoca della
comunicazione digitale audiovisiva, potremmo tentare di definirla come
un gigantesco schermo. Voi potete aggiungere "uno schermo
televisivo", anche se io opterei per "uno schermo
cinematografico". Non solo perché preferisco il cinema, ma anche
(e soprattutto) perché ho l¹impressione che ci troviamo davanti a un
film, a un vecchio film, modernamente vecchio (per continuare con
ossimoro).
E poi è uno di quegli schermi su cui è possibile programmare la
proiezione simultanea di varie immagini (la chiamano "Picture In
Picture"). Nel caso del mondo globalizzato, si tratta di immagini
che si succedono in qualsiasi angolo del pianeta. Ma non sono tutte le
immagini. E questo non perché sullo schermo manchi lo spazio, ma perché
"qualcuno" ha scelto quelle immagini e non altre. Come dire
che stiamo guardando uno schermo con diversi riquadri che ci presentano
immagini simultanee da diverse parti del mondo. E¹ vero, ma non tutto
il mondo è lì.
A questo punto uno inevitabilmente si domanda : "chi ha in mano il
telecomando di questo schermo audiovisivo ? e chi fa la programmazione
?". Buone domande, ma qui non troverete le risposte. E non solo
perché non le conosciamo con certezza scientifica, ma anche perché non
sono l¹argomento centrale di questo scritto.
Dato che non possiamo cambiare canale ( o sala), vediamo alcuni dei
riquadri che ci presenta il megaschermo della globalizzazione.
Andiamo nel continente americano. In questo angolo abbiamo l¹immagine
dell¹Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) occupata da un
gruppo paramilitare governativa : la cosiddetta Policía Federal
Preventiva. Non sembra che stiano studiando, questi uomini in uniforme
grigia. Più in là, incorniciata dalle montagne del Sudest messicano,
una colonna di grigi blindati attraversa una comunità indigena
chiapaneca. A fianco, l'immagine grigia ci mostra un poliziotto
statunitense che arresta, con scialo di violenza, un giovane in una città
che potrebbe essere Seattle o Washington.
Anche nel riquadro europeo prolifera il grigio. In Austria Joerg Haider
e il suo fervore filonazista. In Italia, con l'aiuto disinteressato di
D'Alema, Silvio Berlusconi si aggiusta il nodo della cravatta. In Spagna
Felipe González fa il maquillage alla faccia di José Maria Aznar.
Dalla Francia è Le Pen che ci sorride.
Asia, Africa e Oceania, nei loro rispettivi angoli, ci presentano lo
stesso grigio che si ripete.
Mmh... Quanti grigi... Mmh... Possiamo protestare... Dopo tutto ci
avevano promesso un programma a colori... Alziamo almeno il volume e
cerchiamo di sentire di che si tratta.
2 - UN OBLIO
MEMORABILE
Proprio come la globalizzazione
frammentata, gli intellettuali "ci sono", sono una realtà
della società moderna. E il loro "esserci" non si limita
all'epoca attuale, risale ai primi passi della società umana. Ma
l'archeologia degli intellettuali sfugge alle nostre possibilità di
conoscenza ; quindi partiamo dal fatto che "ci sono". In ogni
caso quello che cerchiamo di scoprire è la forma che acquista adesso il
loro "esserci".
"Gli intellettuali, si sa, come categoria sono qualcosa di assai
vago. Altra cosa è, invece, definire la funzione Rintellettuale'. Essa
consiste nel determinare criticamente quel che si considera una
soddisfacente approssimazione al proprio concetto di verità ; e può
svilupparla chiunque, persino un emarginato che rifletta sulla propria
condizione e in qualche modo la esprima, mentre può tradirla uno
scrittore che reagisca di fronte agli avvenimenti con passione, senza
imporsi il filtro della riflessione." (Umberto Eco, "Cinque
scritti morali"). Se le cose stanno così, allora il compito degli
intellettuali è fondamentalmente analitico e critico. Di fronte a un
accadimento sociale (per limitarci a questo universo) l'intellettuale
analizza l'evidenza, ciò che è positivo e ciò che è negativo,
cercando ciò che è ambiguo, che non è né una cosa né l'altra (anche
se lo sembra), e mostra (comunica, rivela, denuncia) ciò che non solo
non è evidente, ma addirittura contraddice l'evidenza.
Si deve supporre che nelle società umane ci siano persone che si
dedicano professionalmente a questa analisi critica e a comunicarne il
risultato (con le parole di Norberto Bobbio : "Gli intellettuali
sono tutti quelli per cui trasmettere messaggi è l'occupazione abituale
e cosciente (...) e per dirla in un modo che può sembrare brutale,
quasi sempre rappresenta anche il modo di guadagnarsi il pane").
Atteniamoci a questa definizione dell'intellettuale, del professionista
dell'analisi critica e della comunicazione.
Siamo già stati avvertiti del fatto che l'intellettuale non sempre
esercita la sua funzione intellettuale. "La funzione intellettuale
si esercita sempre in anticipo (su ciò che potrebbe accadere) o in
ritardo (su ciò che è accaduto) ; raramente su ciò che sta
succedendo, per motivi di ritmo, perché gli avvenimenti sono sempre più
rapidi e incalzanti della riflessione sugli avvenimenti stessi"
(Umberto Eco, Op. Cit.).
Per la sua funzione intellettuale, questo professionista dell'analisi
critica e della sua comunicazione sarebbe una specie di coscienza
scomoda e impertinente della società (in questa epoca, della società
globalizzata) nel suo insieme e nelle sue varie parti. Una persona che
non si accontenta di nulla, né delle forze politiche e sociali, né
dello stato, del governo, dei mezzi di comunicazione, della cultura,
dell'arte, della religione, né dell'eccetera che il lettore voglia
aggiungere. Se l'attore sociale dice "Ecco fatto !",
l'intellettuale mormora scettico : "Manca questo, c'è troppo di
quest'altro."
Diciamo allora che l'intellettuale, nel suo ruolo, è un critico
dell'immobilità, un promotore del cambiamento, un progressista.
Tuttavia questo comunicatore di idee critiche è inserito in una società
polarizzata, combattuta al proprio interno in molti modi e su diversi
argomenti, ma fondamentalmente divisa tra coloro che utilizzano il
potere per fare in modo che le cose non cambino e coloro che lottano per
il cambiamento.
"L'intellettuale deve comprendere, per un elementare senso del
ridicolo, che non gli viene conferito il ruolo di stregone dello spirito
intorno al quale girerà l'essere o non essere della realtà storica, ma
che evidentemente possiede dei saperi (...) che lo possono allineare in
un senso o nell'altro della realtà storica. Può schierarsi a favore
della ricerca di una spiegazione delle ingiustizie presenti nel mondo
attuale o in favore della complicità con la paralisi e l'insediamento
nel limbo." (Manuel Vázquez Montalbán, "Pamphlet dal pianeta
delle scimmie". Feltrinelli, 1995. Pp. 44-45).
Ed è qui che l'intellettuale opta, sceglie tra la sua funzione
intellettuale e la funzione che gli propongono gli attori sociali.
Compare così la divisione (e la lotta) fra intellettuali progressisti e
reazionari. Gli uni e gli altri continuano a lavorare sulla
comunicazione delle analisi critiche, ma mentre i progressisti
persistono nella critica dell'immobilità, della permanenza,
dell'egemonia e dell'omogeneizzazione, i reazionari inalberano la
critica del cambiamento, del movimento, della ribellione e della
diversità. L'intellettuale reazionario "dimentica" la propria
funzione intellettuale, rinuncia alla riflessione critica e ritaglia la
propria memoria in modo che non ci sia né passato né futuro : il
presente e l'immediato sono le uniche realtà che è possibile cogliere
e, pertanto, sono indiscutibili.
Dicendo "intellettuali progressisti e reazionari", ci
riferiamo agli intellettuali "di destra e di sinistra".
Conviene aggiungere, qui, che l'intellettuale di sinistra esercita la
sua funzione intellettuale, cioè l'analisi critica, anche nei confronti
della sinistra (sociale, ideologica, di partito) ; ma nel momento
attuale la sua critica si applica fondamentalmente al potere egemone :
quello dei signori del denaro e di coloro che li rappresentano nel campo
della politica e delle idee.
Lasciamo adesso gli intellettuali progressisti e di sinistra, e passiamo
agli intellettuali reazionari, alla destra intellettuale.
3 - IL
PRAGMATISMO INTELLETTUALE
In principio i giganti intellettuali
di destra erano progressisti. E parlo dei grandi intellettuali, dei
"think tanks" della reazione, non dei nani che sono andati
iscrivendosi ai loro club "pensanti". Octavio Paz, ottimo
poeta e saggista, il più grande intellettuale di destra degli ultimi
anni in Messico, ha dichiarato : "Vengo dal pensiero definito di
sinistra. E' stato qualcosa di molto importante nella mia formazione.
Non so adesso... l'unica cosa che so è che il mio dialogo - a volte la
mia discussione - è con loro (gli intellettuali di sinistra). Non ho
molto di cui parlare con gli altri" (Braulio Peralta, "El
poeta en su tierra. Dialogos con Octavio Paz".) E casi come quello
di Paz vanno ripetendosi sul megaschermo globale.
L'intellettuale progressista, in quanto comunicatore di analisi
critiche, si trasforma in oggetto e obiettivo per il potere dominante.
Oggetto da comprare e obiettivo da distruggere. Per l'una cosa e per
l'altra, viene posta in campo una quantità di risorse. L'intellettuale
progressista "nasce" nel bel mezzo di questo clima di
seduzione persecutoria. Alcuni resistono e si difendono (quasi sempre in
solitudine : la solidarietà di categoria non sembra essere
caratteristica degli intellettuali progressisti) ; ma altri, forse
stremati, cercano nel proprio bagaglio di idee e tirano fuori quelle che
possano essere al tempo stesso alibi e motivo per legittimare il potere.
Il nuovo esige molto ; il vecchio è già lì, quindi basta inalberare
l'argomento dell'"inevitabile" perché il sistema offra loro
una comoda poltrona (di volta in volta sotto forma di borsa di studio,
posto, premio, spazio, ecc.) alla corte del Principe ieri tanto
criticato.
"L'inevitabile" oggi si chiama : globalizzazione frammentata,
pensiero unico ( e cioè, "la traduzione in termini ideologici e
con pretese universali degli interessi di un insieme di forze
economiche, in particolare quelle del capitale internazionale"
Ignacio Ramonet, "Un mondo senza direzione. Crisi di fine
secolo"), fine della storia, onnipresenza e onnipotenza del denaro,
sostituzione della politica con la polizia, il presente come unico
futuro possibile, razionalizzazione della diseguaglianza sociale,
giustificazione del supersfruttamento degli esseri umani e delle risorse
naturali, razzismo, intolleranza, guerra.
In un'epoca segnata da due nuovi paradigmi, comunicazione e mercato,
l'intellettuale di destra (ed ex di sinistra) capisce che essere
"moderno" significa adempiere alla parola d'ordine :
Adattatevi o perdete i vostri spazi di privilegio !
Non deve nemmeno essere originale ; l'intellettuale di destra ha già la
cava da cui dovrà spaccare le pietre che adorneranno la globalizzazione
frammentata : la cava del pensiero unico. L'asepsi non ha molta
importanza : il pensiero unico ha le sue principali "fonti"
nella Banca Mondiale, nel Fondo Monetario Internazionale,
nell'Organizzazione per il Commercio e lo Sviluppo Economico,
nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, nella Commissione Europea,
nella Bundesbank, nella Banca di Francia, "che attraverso i loro
finanziamenti arruolano al servizio delle loro idee, in tutto il
pianeta, numerosi centri di ricerca, università e fondazioni che, a
loro volta, rifiniscono e diffondono la buona novella" (Ignacio
Ramonet, Op. Cit.).
Con tanta abbondanza di risorse, è facile che fioriscano delle élites
che "da anni si impegnano a fondo nel tessere le lodi del Rpensiero
unico' ; che esercitano un vero e proprio ricatto contro ogni
riflessione critica in nome della 'modernizzazione', del Rrealismo',
della 'responsabilità' e della 'ragione' ; che affermano il 'carattere
ineluttabile' dell'attuale evolversi delle cose ; che predicano la
capitolazione intellettuale e consegnano alle tenebre dell'irrazionale
tutti quelli che rifiutano di accettare 'lo stato naturale della società
e del mercato'" (Ibidem).
Lontani dalla riflessione, dal pensiero critico, gli intellettuali di
destra diventano i pragmatisti per eccellenza, snaturano la funzione
intellettuale e si trasformano in echi, più o meno fedeli, degli spot
pubblicitari che inondano il mega-mercato della globalizzazione
frammentata.
Rifunzionalizzati nella globalizzazione frammentata, gli intellettuali
di destra modificano il loro essere e acquisiscono nuove virtù (tra le
quali ricompare Ossimoro) : un'audace vigliaccheria e una profonda
banalità. Entrambe brillano nelle loro "analisi" del presente
globalizzato e delle sue contraddizioni, nelle loro rivisitazioni del
passato storico, nella loro chiaroveggenza. Si possono concedere il
lusso dell'audace vigliaccheria e della profonda banalità perché
l'egemonia universale quasi assoluta del denaro li protegge con torri di
vetro antiproiettile. Per questo la destra intellettuale è
particolarmente settaria e ha, per di più, il sostegno di non pochi
mezzi di comunicazione e governi. L'ingresso in quelle alte torri
intellettuali non è facile : bisogna rinunciare all'immaginazione
critica e autocritica, all'intelligenza, all'argomentazione, alla
riflessione, e optare per la nuova teologia, la teologia liberista.
Dato che la globalizzazione viene venduta come il migliore dei mondi
possibili ma soffre una carenza di esempi concreti dei vantaggi che
elargisce all'umanità, si deve ricorrere alla teologia e supplire con
dogmi e fede neoliberista alla mancanza di argomenti. Il ruolo dei
teologi neoliberisti comprende il denunciare e perseguire gli
"eretici", i "messaggeri del male", cioè gli
intellettuali di sinistra. E quale modo migliore di combattere i critici
che accusarli di "messianismo" ?
Di fronte all'intellettuale di sinistra, quello di destra infligge
l'etichetta lapidaria di "messianismo stantio". Chi mai può
mettere in questione un presente pieno di libertà, in cui chiunque può
decidere che cosa compra, che siano articoli di prima necessità,
ideologie, proposte politiche o condotte per ogni occasione ?
Ma paradosso non perdona. Se c'è del messianismo da qualche parte, è
nella destra intellettuale. "Il Grande Circo degli Intellettuali
Neoliberisti Chimicamente Puri o degli Ex Marxisti Pentiti o la
Trilateral, possono essere messianici quando prefigurano la fatalità di
un universo basato sulla verità unica, sul mercato unico e
sull'esercito gendarme unico che vigila sulla raffica di flash che
accompagna la fotografia finale della Storia, scattata davanti ai
migliori paesaggi delle migliori società aperte." (Manuel
Vázquez Montalbán. Op. Cit. P.
43).
La fotografia finale. O la scena clou del film della globalizzazione
frammentata.
4 - I
CHIAROVEGGENTI CIECHI
Parafrasando
Régis Debray ("Croire, Voir, Faire", Ed. Odile
Jacob, Parigi 1999), il problema qui non è perché o come la
globalizzazione sia irrimediabile, ma perché e come mai tutti, o quasi,
siano d'accordo sul fatto che è irrimediabile. Una possibile risposta :
"La tecnologia del fare-credere (...). Il potere
dell'informazione... In-formare : dare forma, formattare. Con-formare :
dare conformità. Tras-formare : modificare una situazione"
(Ibidem).
Con la globalizzazione dell'economia si globalizza anche la cultura. E
l'informazione. Così le grandi imprese della comunicazione
"tendono" la loro rete sul mondo intero senza che nessuno
glielo impedisca. "Né Ted Turner della CNN, né Rupert Murdoch
della News Corporation Limited, né Bill Gates della Microsoft, né
Jeffrey Vinik della Fidelity Investments, né Larry Rong della China
Trust and International Investments, né Robert Allen della ATT,
esattamente come George Soros e decine di altri nuovi padroni del mondo,
hanno mai sottoposto i loro progetti al suffragio universale" (Ignacio
Ramonet, Op. Cit.)
Nella globalizzazione frammentata le società sono fondamentalmente
società mediatiche. I media sono il grande specchio, non di ciò che la
società è, ma di ciò che deve mostrare di essere. Piena di tautologie
e di ovvietà, la società mediatica è avara di ragioni e argomenti. In
essa ripetere è dimostrare.
E quello che viene ripetuto sono le immagini, come quelle grigie che ci
mostra ora lo schermo globalizzato. Debray ci dice : "L'equazione
dell'era visuale è qualcosa di simile a : visibile = reale = vero. Ecco
l'idolatria rivisitata (e sicuramente ridefinita)" (Regis Debray,
Op. Cit.). E gli intellettuali di destra hanno imparato bene la lezione.
Anzi, ne hanno fatto uno dei dogmi della loro teologia.
Dove è avvenuto il salto che identifica visibile con vero ? Trucchi
dello schermo globalizzato.
Il mondo intero, meglio ancora, la conoscenza intera adesso è a portata
di mano di chiunque abbia una televisione o un computer portatile. Sì,
ma non qualunque mondo e non qualunque conoscenza. Debray spiega che il
centro di gravità delle informazioni si è spostato dallo scritto al
visuale, dalla differita alla diretta, dal segno all'immagine. I
vantaggi per gli intellettuali di destra (e gli svantaggi per i
progressisti) sono ovvi.
Analizzando il comportamento dell'informazione in Francia durante la
Guerra del Golfo Persico, si rivela il potere dei media : all'inizio del
conflitto il 70% dei francesi si mostrava ostile, mentre alla fine la
stessa percentuale la approvava. Sotto i colpi dei media, l'opinione
pubblica francese si è "ribaltata" e il governo ha ottenuto
il beneplacito per la partecipazione alla guerra.
Siamo nell'"era visuale". Così le informazioni ci si
presentano con l'evidenza dell'immediatezza, pertanto è reale ciò che
ci viene mostrato, pertanto è vero ciò che vediamo. Non c'è posto per
la riflessione intellettuale critica, al massimo c'è spazio per
commentatori che "completino" la lettura dell'immagine. Il
visuale non è fatto, in quest'epoca, per essere visto, ma per dare
"conoscenza". Il mondo è diventato una mera rappresentazione
multimediale - che sopprime il mondo esterno - in grado di essere
conosciuta nella misura in cui viene vista. Sì : inizio del terzo
millennio, XXI secolo, e la filosofia emergente nel nostro mondo
"moderno" è l'idealismo assoluto.
Si possono già trarre alcune conclusioni : il nuovo intellettuale di
destra deve svolgere la sua funzione legittimatrice nell'era visuale ;
optare per ciò che è diretto e immediato ; passare dal segno
all'immagine e dalla riflessione al commento televisivo. Non deve
neppure sforzarsi per legittimare un sistema totalitario, brutale,
genocida, razzista, intollerante ed escludente. Il mondo che è oggetto
della sua "funzione intellettuale" è quello offerto dai media
: una rappresentazione virtuale. Se nell'ipermercato della
globalizzazione lo Stato-Nazione si ridefinisce come impresa fra le
imprese, i governanti come direttori delle vendite e gli eserciti e le
polizie come corpi di vigilanza, allora alla destra intellettuale
compete l'area delle Pubbliche Relazioni.
In altre parole, nella globalizzazione gli intellettuali di destra sono
"multiuso" : becchini dell'analisi critica e della
riflessione, giocolieri con le macine da mulino della teologia
neoliberista, suggeritori dei governi che dimenticano lo
"script", commentatori dell'ovvio, mazzieri di soldati e
polizie, giudici gnoseologici che distribuiscono etichette di
"vero" o "falso" a seconda delle convenienze,
guardaspalle teorici del Principe e mezzibusti della "nuova
storia".
5 - IL FUTURO
PASSATO
"Bruciare libri ed erigere
fortificazioni è normale lavoro dei prìncipi" dice Jorge Luis
Borges. E aggiunge che ogni Principe vuole che la storia cominci da lui.
Nell'era della globalizzazione frammentata non si bruciano i libri
(sebbene si erigano fortificazioni), però li si sostituisce. Così, più
che sopprimere la storia precedente alla globalizzazione, il Principe
neoliberista istruisce i suoi intellettuali perché la rifacciano in
modo tale che il presente sia il culmine dei tempi.
"I Truccatori della storia", così Luis Hernández Navarro ha
intitolato un articolo dedicato al dibattito con gli intellettuali di
destra in Messico (In La Jornada del 10 aprile 2000). Oltre a stimolare
il presente testo (scritto con l'intenzione di dar seguito alle sue
premesse), Hernández Navarro ci avverte di una nuova offensiva : la
nuova destra intellettuale punta le sue batterie contro le figure
rappresentative dell'intellettualità progressista messicana.
"Redditiera tardiva della prosperità planetaria del "pensiero
unico", rinnegatrice della propria identità, erede a contratto
della caduta del muro di Berlino, socia ed emula del circuito culturale
conservatore statunitense, questa destra è convinta che la critica
culturale conceda credenziali sufficiente a emettere, senza
argomentazioni, giudizi sommari contro i suoi avversari in campo
politico" (Ibidem).
Le ragioni non-ideologiche di questo attacco sono da ricercare nella
contesa per uno spazio di credibilità. In Messico gli intellettuali di
sinistra hanno grande influenza nella cultura e nell'accademia.
Disturbano, questo è il loro delitto.
No, è piuttosto uno dei loro delitti. Un altro è l'appoggio che questi
intellettuali progressisti danno alla lotta zapatista per una pace
giusta e dignitosa, per il riconoscimento dei diritti dei popoli indio e
per la fine della guerra contro gli indigeni del paese. Questo
"peccato" non è veniale. "La ribellione zapatista
inaugura una nuova tappa, quella dell'irruzione dei movimenti indigeni
come attori dell'opposizione alla globalizzazione neoliberista" (Ivon
Le Bot, La Jornada del 6 marzo 2000). Non siamo i migliori né gli unici
: ci sono gli indigeni dell'Ecuador e del Cile, le proteste di Seattle e
di Washington (e quelle che seguiranno nel tempo, non nell'importanza).
Però siamo una delle immagini che distorcono il megaschermo della
globalizzazione frammentata e, come fenomeno sociale e storico,
richiediamo riflessione e analisi critica.
E la riflessione e l'analisi critica non si trovano
nell'"arsenale" della destra intellettuale. Come cantare le
glorie del nuovo ordine mondiale (e il suo imporsi in Messico) se un
gruppo di indigeni "premoderni" non solo sfidava il potere, ma
si conquistava anche la simpatia di un'importante frangia di
intellettuali ? Di conseguenza il Principe ha dettato i suoi ordini :
attaccate gli uni e gli altri, io ci metto l'esercito, voi metteteci le
idee. E così la nuova destra intellettuale ha dedicato ironie e
calunnie al suo contraltare di sinistra. A noi indigeni ribelli
zapatisti ha dedicato... una nuova storia.
E, dato che lo zapatismo aveva un impatto internazionale, la destra
intellettuale si è dedicata a questo compito in varie parti del mondo
(non solo in Messico). Gli intellettuali di destra non solo imbellettano
la storia, ma la rifanno, la riscrivono a convenienza del Principe e
secondo la loro funzione intellettuale.
Ma torniamo in Messico. "Nel corso di questo secolo gli
intellettuali in Messico hanno svolto diverse funzioni : cortigiani di
lusso del potere di turno, decorazione statale, voci dissidenti (che
vengono chiamate, per istituzionalizzarle, 'Coscienze Critiche'),
interpreti privilegiati della storia e della società, spettacoli di per
sé" (Carlos Monsiváis, in Viento del Sur 8, 1996).
L'ultimo grande intellettuale di destra in Messico, Octavio Paz, ha
assolto fino alle estreme conseguenze l'incarico affidatogli dal
Principe. Non ha lesinato le parole per screditare gli zapatisti e
coloro che avevano dimostrato simpatia per la loro causa (attenzione :
non per le loro forme di lotta). Una delle migliori dimostrazioni del
Paz al servizio del Principe si trova nei suoi scritti e nelle sue
dichiarazioni degli inizi del 1994. Qui Octavio Paz definiva, non l'EZLN,
ma gli argomenti che avrebbero dovuto approfondire i suoi
"soldati" intellettuali : maoismo, messianismo,
fondamentalismo e alcuni altri "ismi" che adesso mi sfuggono.
Nei confronti degli intellettuali progressisti, Paz non ha lesinato le
accuse : loro erano i responsabili del "clima di violenza" che
aveva segnato l'anno 1994 (e anche tutti gli altri anni del Messico
moderno, ma la destra intellettuale non ha mai brillato per la sua
memoria storica), in sostanza, dell'assassinio del candidato ufficiale
alla presidenza della Repubblica Colosio. Anni dopo, prima di morire,
Paz avrebbe rettificato, segnalando che il sistema era in crisi e che,
anche senza la ribellione zapatista, quei fatti sarebbero ugualmente
accaduti (v. Braulio Peralta Op. Cit.)
Nessuno degli eredi attuali di Paz possiede la sua statura, anche se non
manca loro l'ambizione di prendere il suo posto. Non come intellettuale,
dato che a questi mancano intelligenza e prestigio, ma per il posto
privilegiato che occupava accanto al Principe. Tuttavia, fanno la sua
stessa lotta. E continuano nel suo impegno di confezionare allo
zapatismo una storia che faccia loro comodo, non solo per attaccarlo, ma
soprattutto per eludere un'analisi critica e una riflessione serie e
responsabili.
Ma non è solo la storia dello zapatismo e dei popoli indio che stanno
riscrivendo gli intellettuali di destra. Si sta rifacendo l'intera
storia del Messico, per dimostrare che siamo ormai nel migliore dei
Messichi possibili. E così i nani della destra intellettuale rivisitano
il passato e ci vendono una nuova immagine di Porfirio Díaz, di Santa
Ana, di Calleja, di Cárdenas.
E questa ansia di rimodellare la storia non è esclusiva del Messico.
Sullo schermo della globalizzazione ci viene già proposta una nuova
versione in cui l'Olocausto nazista contro gli ebrei è una specie di
Disneyland selettiva e Adolf Hitler una specie di simpatico Mickey Mouse
ariano, e, in tempi più recenti, le guerre del Golfo e del Kossovo sono
state "umanitarie". Nel futuro passato che ci prepara la
destra intellettuale, la globalizzazione è il deus ex machina che
lavora sul mondo per preparare il proprio stesso avvento.
Ma quelle immagini grigie che ci mostra adesso il megaschermo della
globalizzazione, di che cosa annunciano l'arrivo ?
6 - IL
LIBERALE FASCISTA
Io dico che questo film lo abbiamo già
visto, e se non ce ne ricordiamo è perché la storia non è un articolo
di richiamo nel mercato globalizzato. Quei grigi possono significare
qualcosa : la ricomparsa del fascismo.
Paranoia ? Umberto Eco, in un testo intitolato "Il fascismo
eterno" (Op. Cit.), fornisce alcune chiavi per capire che il
fascismo è sempre latente nella società moderna, e che sebbene appaia
poco probabile il ripetersi dei campi di sterminio nazisti, in ogni
angolo del pianeta sta in agguato quello che Eco chiama "Ur
Fascismo". Dopo averci fatto presente che il fascismo era un
totalitarismo "fuzzy", cioè disperso, diffuso in tutta la
società, ci propone alcune delle sue caratteristiche : rifiuto dei
progressi del sapere, irrazionalismo, la cultura viene sospettata di
fomentare atteggiamenti critici, il disaccordo con ciò che è egemone
è un tradimento, paura della differenza e razzismo, aumento della
frustrazione individuale o sociale, xenofobia, i nemici sono
contemporaneamente troppo forti e troppo deboli, la vita è una guerra
permanente, elitarismo aristocratico, sacrificio individuale per il bene
della causa, maschilismo, populismo qualitativo diffuso attraverso la
televisione, "neo lingua" (di lessico povero e sintassi
elementare).
Tutte queste caratteristiche si possono ritrovare nei valori difesi e
diffusi dai media e dagli intellettuali di destra nell'era visuale,
nell'era della globalizzazione frammentata. "Oggi, quasi come ieri,
non si sta forse utilizzando la stanchezza democratica, la nausea di
fronte al nulla, lo sconcerto davanti al disordine come avallo di una
nuova situazione storica eccezionale che richiede un nuovo autoritarismo
persuasivo, che unifichi la cittadinanza in clienti e consumatori di un
sistema, di un mercato, di una repressione centralizzata ?" (M. Vázquez Montalbán. Op. Cit. pp. 70-71).
Guardate il megaschermo : tutti quei grigi sono la risposta al
disordine, quello che è necessario per affrontare coloro che si
rifiutano di godere del mondo virtuale della globalizzazione e fanno
resistenza. E tuttavia sembra che il numero dei resistenti cresca. Uno
dei nani messicani che aspirano a occupare la poltrona vuota di Octavio
Paz constatava, atterrito, che in un'inchiesta dell'Instituto de
Investigaciones Sociales della UNAM (Università Autonoma di Città del
Messico), nel 1994, il 29% dei messicani intervistati rispondeva che non
si deve ubbidire alle leggi se sono ingiuste. Nel novembre del '99,
sulla rivista "Educación 2001" era il 49% che alla domanda
"Può il popolo disubbidire alle leggi se gli sembra che siano
ingiuste ?" rispondeva "sì". Dopo aver riconosciuto che
è necessario risolvere i problemi di crescita economica, di istruzione,
occupazione e salute, concludeva : "tutte queste cose si possono
raggiungere solo se la società si regge su un terreno di base, quello
della sicurezza pubblica e dell'osservanza delle leggi. In Messico quel
terreno è pieno di buchi e tende a peggiorare." (Héctor Aguilar
Camín, in Esquina, 23 aprile 2000). Il ragionamento è sintomatico : a
mancanza di legittimità e consenso, poliziotti.
Il clamore della destra intellettuale che chiede "legge e
ordine" non è esclusivo del Messico. In Francia il fascista Le Pen
si è preparato per rispondere alla chiamata. In Austria il neonazista
Haider è già pronto, proprio come il franchista Aznar nello Stato
Spagnolo. In Italia Berlusconi (alias il "Duce Multimediale")
e Gianfranco Fini si preparano per quando verrà il momento.
L'Europa affacciata di nuovo al balcone del fascismo ? Suona duro... e
lontano. Ma ci sono le immagini del megaschermo. Quegli skinheads i cui
manganelli spuntano da dietro quell'angolo, sono in Germania, in
Inghilterra, in Olanda ?"Sono gruppi minoritari e sotto
controllo" ci tranquillizza l'audio del megaschermo. A quanto pare
il fascismo rinnovato non ha sempre la testa rasata né si adorna il
corpo con svastiche tatuate, ma anche così non cessa di essere una
destra sinistra.
Se dico "destra sinistra" vi sembrerà che stia giocando con
le parole e che sto solo ricorrendo di nuovo a ossimoro, invece tento di
richiamare la vostra attenzione su qualcosa. Dopo la caduta del muro di
Berlino, lo spettro politico europeo si è, nella sua maggioranza,
avventato verso il centro. Questo è evidente nella sinistra europea
tradizionale, ma è successo anche ai partiti di destra (vedi : Emiliano
Fruta, "La nueva derecha europea", e Hernán R. Moheno, "Más
allá de la vieja izquierda y la nueva derecha". In Urbi et
Orbi", Aprile 2000). Con una maschera moderna, la destra fascista
comincia a conquistare spazi che ormai sorpassano di molto quelli dei
rapporti polizieschi nei media. E' stato possibile perché si sono
sforzati di costruirsi una nuova immagine, lontana dal passato violento
e autoritario.
Anche perché si sono appropriati della teologia neoliberista con una
facilità stupefacente (un motivo ci sarà), e perché nelle loro
campagne elettorali hanno molto insistito sui temi della sicurezza
pubblica e dell'occupazione (mettendo in guardia contro la
"minaccia" degli immigrati). Qualche differenza con le
proposte della socialdemocrazia o della sinistra tradizionale ?
Dietro la "terza via" europea sta in agguato il fascismo, e
anche dietro alla sinistra che non si definisce (in teoria e in pratica)
contro il neoliberismo. Invece la destra può rivestirsi di stracci di
sinistra. In Messico, nel recentedibattito televisivo fra i sei
candidati alla presidenza della Repubblica, il candidato che ha ottenuto
il beneplacito della destra intellettuale è stato Gilberto Rincón
Gallardo, del Partido Democracia Social, di sinistra apparente.
Guardacaso la televisione non ha mostrato che alcuni militanti e
candidati del PDS in Chiapas sono capi di vari gruppi paramilitari,
responsabili, tra l'altro, del massacro di Acteal.
Che la destra fascista e la nuova destra intellettuale siano pronte per
mostrare le proprie "capacità" ai signori del denaro non
sorprende. Ciò che sconcerta è che qualche volta sono la
socialdemocrazia o la sinistra istituzionale che preparano loro la
strada.
Se nello Stato Spagnolo Felipe González (quel politico tanto applaudito
dalla destra intellettuale) lavorò per il trionfo del Partido Popular
di José Maria Aznar, in Italia l'autostrada lungo la quale la destra si
avvia verso il potere si chiama Massimo D'Alema. Prima di dimettersi, D'Alema
ha fatto tutto il necessario per far naufragare la sinistra. "D'Alema
e i suoi hanno finanziato con il denaro di tutti l'istruzione religiosa
e hanno preparato la privatizzazione di quella pubblica, hanno
partecipato pienamente all'avventura NATO contro la Yugoslavia e
all'occupazione virtuale dell'Albania, hanno privatizzato quel che hanno
potuto, hanno attentato alle pensioni, hanno represso gli immigrati, si
sono sottomessi a Washington, hanno "riciclato" i corrotti e
lo stesso Bettino Craxi, sfilando nella sua residenza d'esilio, in fuga
dalla giustizia, per chiedergli aiuto, hanno fatto una legge sui
carabinieri ispirata dal comando golpista degli stessi..." (Guillermo
Almeyra, "La sinistra della destra, La Jornada, 23 aprile 2000).
Risultato ? Buona parte dell'elettorato di sinistra si è astenuta dal
voto.
Nella complicata geometria politica europea, la cosiddetta "terza
via" non solo è risultata letale per la sinistra, ma è stata
anche la rampa di lancio del neofascismo.
Forse sto esagerando, ma "la memoria è una strana facoltà. Quanto
più è acuto e isolato è lo stimolo che riceve, più ricorda ; quanto
più è vasto lo stimolo, minore è l'intensità del ricordo." (John
Berger, Op. Cit.) E sospetto che
questa valanga di immagini grigie sullo schermo serve a farci ricordare
con minore intensità, con pigrizia, con voglia di dimenticare.
E se i libri non mentono, fu il fascismo italiano a risultare attraente
per molti leader liberali europei, perché consideravano che stesse
portando a termine interessanti riforme sociali e poteva essere
un'alternativa alla "minaccia comunista". (Vedi U. Eco. Op.
Cit.)
Nell'agosto del 1997, Fausto Bertinotti scriveva in una lettera all'EZLN
: "Si è aperta in Europa una vera crisi di civiltà. Si
potrebbero, purtroppo, raccontare centinaia e migliaia di episodi di
barbarie quotidiana, di violenza gratuita, di aggressione alle persone,
al corpo, di traffico di persone, di corpi, di organi, senza senso
alcuno. E sopra tutto questo una spessa cappa di indifferenza, come se
la vita avesse perso di senso. Le potrei raccontare cose che accadono
nella periferia urbana, realtà e metafora della tragedia umana in cui
si è trasformato questo nuovo ciclo dello sviluppo capitalista."
Di fronte a questa vita senza senso, il liberale fascista presenta la
sua faccia gentile e, facendo leva sulle proprie virtù, argomenta in
favore del ricorso alla violenza legalizzata, istituzionale.
L'orizzonte annuncia tempesta, e la destra intellettuale cerca di
tranquillizzarci presentandola come un piovasco senza importanza. Tutto
per assicurarsi il pane, il sale... e il posto accanto al Principe.
Proteggetelo ! Non importa che la sua camicia sia grigia e nel suo caldo
seno si incùbi l'uovo del serpente.
"L'uovo del serpente" Se non ricordo male è il titolo di un
film di Bergman che descrive l'ambiente in cui ebbe gestazione il
fascismo. E noi che cosa facciamo ? Restiamo seduti fino alla fine del
film ? Sì ? No ? Un momento ! Guardate gli altri spettatori ! Molti si
sono alzati e fanno capannelli ! Il mormorio cresce ! Alcuno lanciano
oggetti contro lo schermo e fischiano ! E guardate quegli altri ! Invece
di rivolgersi allo schermo guardano in alto, come se cercassero quello
che proietta il film ! Sembra che lo abbiano trovato, perché indicano
con insistenza un angolo lassù ! Chi sono queste persone e con che
diritto interrompono la proiezione ? Uno di loro innalza un cartello che
recita : "Prendiamo quindi noi, cittadini comuni, la parola e
l'iniziativa. Con la stessa veemenza e la stessa forza con cui
rivendichiamo i nostri diritti, rivendichiamo anche il dovere dei nostri
doveri." (José Saramago. "Discorsi di Stoccolma".) Il
dovere dei nostri doveri ? Che qualcuno ci spieghi perché non capiamo
nulla !Silenzio ! Qualcuno prende la parola...
7 - LA
SCETTICA SPERANZA
Gli intellettuali progressisti. Quelli
della scettica speranza. Il sociologo francese Alain Touraine ne propone
una classificazione ("Comment sortir du libéralisme ?" Ed.
Fayard, Parigi, 1999) : La più classica è quella dell'intellettuale
denunciante, ove tutta l'attenzione si concentra sulla critica del
sistema dominante. Il secondo tipo di intellettuale si identifica con
quella lotta o quella forza di opposizione e si trasforma in
intellettuale organico. Il terzo crede nell'esistenza, nella coscienza e
nell'efficacia degli attori sociali, e al tempo stesso ne conosce i
limiti. Il quarto tipo comprende gli utopisti che si identificano con le
nuove tendenze culturali, della società o dell'esistenza individuale.
Tutti loro (e tutte loro, perché essere intellettuali non è un
privilegio maschile) impegnano i propri sforzi nel comprendere
criticamente la società, la sua storia e il suo presente, e tentano di
decifrare l'incognita del suo futuro.
Non è per niente facile il compito degli intellettuali progressisti.
Nella loro funzione intellettuale si sono resi conto di come vanno le
cose e, noblesse oblige, devono svelarlo, esibirlo, denunciarlo,
comunicarlo. Ma per farlo devono affrontare la teologia neoliberista
della destra intellettuale, e dietro di essa ci sono i media, le banche,
le grandi imprese, gli stati (o quel che resta di essi), i governi, gli
eserciti, le polizie.
E per di più devono farlo nell'era visuale. Qui si trovano francamente
in svantaggio, dato che occorre tener conto delle grandi difficoltà che
implica l'affrontare il potere dell'immagine con la sola risorsa della
parola. Ma il loro scetticismo nei confronti dell'evidente gli ha già
permesso di scoprire la trappola. E con lo stesso scetticismo armano le
loro analisi critiche per smontare concettualmente la macchina delle
bellezze virtuali e delle miserie reali. C'è speranza ?
Fare della parola un bisturi e un megafono è già una sfida
straordinaria. E non solo perché in quest'epoca la regina è
l'immagine. Anche perché il dispotismo dell'era visuale confina la
parola nei bordelli e nei negozi di trucchi e scherzi. "Anche così,
possiamo solo confessare la nostra confusione e la nostra impotenza, la
nostra rabbia e le nostre opinioni, con le parole. Con le parole
nominiamo anche le nostre perdite e la nostra resistenza, perché non
abbiamo altre risorse, perché gli uomini sono indefettibilmente aperti
alla parola e perché poco a poco sono queste a modellare il nostro
giudizio. Il nostro giudizio, sempre temuto da coloro che detengono il
potere, si modella lentamente, come l'alveo di un fiume, per mezzo di
correnti di parole. Ma le parole producono correnti solo quando
risultano profondamente credibili." (John Berger. Op. Cit.)
Credibilità. Cosa di cui è carente la destra intellettuale e che,
fortunatamente, abbonda fra gli intellettuali progressisti. Le loro
parole hanno prodotto, e producono, in molti prima la sorpresa, poi
l'inquietudine. Perché questa inquietudine non venga schiacciata dal
conformismo prescritto dall'era visuale, occorrono altre cose, che
sfuggono al compito dell'intellettuale.
Ma anche quando la parola si è fatta corrente impetuosa, la funzione
intellettuale non ha termine. I movimenti sociali di resistenza o di
protesta contro il potere (in questo caso contro la globalizzazione e il
neoliberismo) devono percorrere ancora un lungo cammino, non diciamo per
ottenere i loro fini, ma almeno per consolidarsi come alternativa
organizzativa per altri. "Alla fine bisogna riconoscere la
particolare responsabilità degli intellettuali. Dipende da loro, più
che da ogni altra categoria, che la protesta vada sprecata in denuncia
senza prospettive o, al contrario, conduca alla formazione di nuovi
attori sociali e, indirettamente, a nuove politiche economiche e
sociali". (A. Touraine. Op. Cit.)
L'intellettuale progressista si sta dibattendo continuamente fra Narciso
e Prometeo. A volte l'immagine nello specchio lo afferra e comincia il
suo inesorabile percorso di mutazione in un nuovo impiegato del mega
mercato neoliberista. Ma a volte rompe lo specchio e scopre non solo la
realtà che sta dietro al riflesso, ma anche altri che non sono come
lui, e che però come lui hanno rotto i loro rispettivi specchi.
La trasformazione di una realtà non è compito di un solo attore, per
forte, intelligente, creativo e visionario che sia. Né i soli attori
politici e sociali, né i soli intellettuali possono portare a buon fine
questa trasformazione. E' un lavoro collettivo. E non solo nell'azione,
anche nelle analisi di questa realtà, e nelle decisioni riguardo a
direzioni e priorità del movimento di trasformazione.
Raccontano che Michelangelo Buonarroti abbia realizzato il suo David con
seri limiti materiali. "Il pezzo di marmo su cui lavorò
Michelangelo era già stato lavorato da qualcun altro e aveva già dei
fori ; il talento dello scultore consistette nel costruire una figura
che si adattasse a quei limiti invalicabili e ristretti. Di qui la
postura, l'inclinazione dell'opera compiuta." (Pablo Fernández Christlieb. "La afectividad colectiva". Ed.
Taurus).
Allo stesso modo, il mondo che vogliamo trasformare è stato lavorato
dalla storia è ha molte perforazioni. Dobbiamo trovare il talento
necessario per trasformarlo, con quei limiti, e farne una figura
semplice e schietta : un mondo nuovo.
Salute, e non dimenticate che un'idea è anche uno scalpello.
Dalle montagne del Sudest messicano.
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, aprile 2000
P.S. Qualcuno ha un martello a portata
di mano ?
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