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Il mondo fatato di Renato Fancellu

Lui, Renato Fancellu, ridacchia sotto i baffi. Ha 48 anni: troppo giovane per appartenere alla vecchia scuola, troppo pittore per cavalcare l’onda neo-dadaista che ha dominato la scena cittadina degli anni Novanta, a Sassari ha sempre dovuto fare gioco personale. Isolato ma apprezzato dal pubblico che compra, simpatico agli intellettuali ma mai innalzato agli onori delle cronache culturali che non gli hanno perdonato i suoi doni: quel segno facile che invece è il distillato di anni; quel suo essere narrativo; quella preziosità di superfici che ha aperto ai suoi quadri la strada per i salotti buoni e i locali chic chiudendogli quella delle rassegne di ricerca; quel suo essere Fancellu prendere o lasciare.
Lui, un po’, ne ha risentito. Ha tentato altre strade: l’informale, il materico, l’installazione. Ma la sua corda è quella della leggerezza, che pizzica con lo stesso tocco delicato con cui realizza giardini zen in vasetti larghi cinque centimetri e lunghi otto: due anni fa, ha raccontato le morti bianche disponendo sul pavimento della galleria un mucchio di rudi tubi Innocenti, ha poi scelto come titolo un esotico, leggero Sciangai.
Nemesi storica, ad aprirgli le porte parigine è uno che a Sassari chiamerebbero villano: Salvatore Biddau, nato nella villa di Codrongianos una quarantina d’anni fa ma da sempre residente nella Ville lumière dov’è per tutti monsieur Biddò, instancabile organizzatore ed editore francese di uno fra i più colti fumettisti italiani: Sergio Toppi. In Sardegna, un paio d’anni fa, si è imbattuto per caso in una mostra “autogestita” di Fancellu (che esponeva, in pieno agosto, a Palazzo Ducale: 700 visitatori in pochi giorni) e si è innamorato di questo ottimo disegnatore prestato alla pittura. Forse ha visto in lui il grande illustratore che potrebbe essere (c’è, fra i due, un progetto editoriale), forse ha intuito che i suoi quadri avevano delle chance, in Francia. Ci ha scommesso sopra. A quanto pare, ha visto giusto.
Marco Noce