Una
nuova
Faciesper il
nostro santuario?
di
Riccardo Lorusso
Sono stati e continuano ad
essere al centro delle nostre attenzioni i lavori di adeguamento
statico-conservativo che si stanno svolgendo presso il santuario
della Madonna del Pozzo, sotto la direzione dell'architetto
capursese Vito Coppola. Al di là di quello che può essere
l'interesse a livello tecnico riguardo all'esecuzione dei lavori,
sicuramente ogni capursese avrà espresso un proprio giudizio e
una valutazione a quella che può sembrare una nuova
facies o una nuova veste, che dir si voglia, che è
stata attribuita all'edificio, ma che in realtà rispecchia una
cultura, una tecnica, un modo di fare architettura che dalle
nostre parti non può essere considerato assolutamente una
novità.
Evidentemente i lavori al santuario, emergenza primaria della
cittadina di Capurso in quanto a fede, storia e patrimonio
artistico, hanno costituito o penso abbiano costituito, l'evento
più importante e discusso dell'anno 2000 per il nostro paese.
L'elemento principale, oggetto delle più disparate discussioni
è sicuramente il volto assunto dalla facciata della basilica,
che sarebbe sbagliato, come già detto, definire
nuovo, ma direi
forse inconsueto agli occhi della nostra generazione abituata sin
dagli anni della fanciullezza ad avere un'immagine del santuario
segnata dalla patina del tempo.
Prima di proferire alcun giudizio che può essere affrettato o
guidato esclusiva-mente da una semplice questione di gusto,
bisogna analizzare l'intervento di restauro lasciandosi
supportare da basi di studio storiche e filologiche. Cercherò di
essere più chiaro. Escludendo gli aspetti più tecnici
dell'intervento che di fatto nessuno di noi può conoscere o
pretendere di conoscere meglio del fruitore del manufatto e del
progettista (legati alle operazioni di consolidamento eseguite
comunque in maniera pregievole poichè sulle superfici murarie
non si avverte la presenza nè di cemento, nè di staffe
metalliche o chiodature), concentriamo la nostra attenzione
maggiormente sull'aspetto architet-tonico.
Si parlava in precedenza di analisi storica e filologica che,
secondo il mio parere, è stata alla base delle decisioni legate
alla scelta di ripristinare, con l'uso della calce bianca, un
aspetto tipico della fabbrica, ossia, una
caratteristica inscindibile dalla costruzione dell'edi-ficio,
quale espressione della nostra terra e della nostra maniera di
costruire. È proprio in quest'ambito che si deve analizzare il
risultato dell'intervento, giustificando i concetti storico
filologici a cui si faceva riferimento prima, semplicemente
guardandoci attorno con attenzione ed interesse e riscontrando
gli elementi basilari della cultura architet-tonica dei nostri
paesi pugliesi, ricchi di edifici che ci trasmettono, come un
libro aperto, la storia costituita dalle usanze, le tecniche
costruttive, i materiali, i riferimenti simbolici che hanno
accompagnato e accompagnano le nostre maestranze,
caratterizzandole. Ecco di conseguenza l'aspetto filologico
basato su una accurata lettura del monumento e del contesto che
lo circonda, lettura eseguita non solo a livello di osservazione
visiva ma supportata da un vasta documentazione di archivio,
costituita da fotografie, rilievi grafici e scritti del passato,
fonte sicuramente di interessanti ed indispen-sabili riferimenti
alla fabbrica, che guidano nelle scelte progettuali. Volendo
parlare nel concreto, ho sentito qualcuno che, guardando la
facciata, diceva: Sembra un trullo. Ho risposto:
E' giusto, è proprio quella l'idea che deve dare!.
Cosa significa: vuol dire che il collegamento mentale in
riferimento al trullo o ad una costruzione ove domina la calce o
il colore bianco, caratterizza ed esprime un' architettura, un
modo di costruire, tipico di una cultura, di un luogo, vale a
dire, la nostra cultura, la nostra terra! Senza trascurare poi
quell'aspetto legato alla ricerca storica che, non vorrei
azzardare in riferimenti bibliografici sbagliati, sicura-mente
testimonia e precede la scelta progettuale che è stata presa.
Senza ombra di
dubbio, comunque, l'inserimento della fabbrica
all'interno del contesto cittadino ove è inserita, è
diventato più marcato e forse troppo forte, ma anche in
questo caso, aspettiamo a dare giudizi affrettati e
guardiamo a quella che può essere la sostenibilità, la
durata dell'inter-vento sulla fabbrica nella sua continua
lotta contro il tempo e le intemperie: probabilmente fra
qualche anno troveremo diversi motivi in più per
apprezzare il lavoro che è stato svolto. Non si può inoltre non riconoscere come, aspetti che possono sembrare secondari, quali gli interventi legati all'illuminazione notturna del monumento, stanno rivestendo un ruolo primario nell'opera di valorizzazione dell'edificio sia da un punto di vista architettonico ed estetico che simbolico. La massa muraria con i suoi volumi e le arcate del convento illuminate nella |
giusta maniera,
sottolineano un'idea architettonica di massività e di preminenza
dell'edificio nell'ambito del costruito che lo circonda.
Penso, in definitiva, che l'intervento eseguito al nostro
caro santuario, sicuramente spinto da ragioni di
necessità, sia comunque un primo passo verso la valorizzazione
del grande patrimonio culturale che possediamo e al quale non
guardiamo e non facciamo riferimento nella giusta maniera.