Santa.
Marina Vergine:
protettrice del paese omonimo |
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IL
NOSTRO PAESE
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Santa Marina Vergine
LEGGENDA DI S. MARINA
C 'era in quel tempo un uomo secolare, al quale morì presto la moglie lasciandogli piccola l'unica figliuola. Volendo abbandonare il mondo e ridursi a vita di penitenza, affidò la figlia a un suo parente ed entrò in un monastero poco lungi dalla città. Fu monaco di santa vita e sì bene e sì fedelmente si comportò che l'abate l'amava più degli altri. Ora avvenne, dopo alcun tempo, che ricordandosi della figliuola lasciata nel mondo, si fece triste e malinconico. Della qual cosa avvedendosene l'abate, gliene chiese la ragione.Ed egli gli manifestò il soprappensiero per il figliuolo (non disse che era una femmina) che aveva lasciato nel mondo e per guardarlo dai pericoli accennava volersene andare dal monastero. Il padre abate che quel monaco aveva caro, affinché il figliuolo non gli fosse pretesto d'uscire, gli disse:"perché non lo porti con te qua dentro, io lo terrò volentieri monaco con gli altri monaci?" Gli piacque il detto dell'abate e tosto andato dalla figliuola, siccome ella era buona e pia, facilmente la indusse a viver vita con lui in monastero. Le tosò i capelli, la vestì del largo abito monacale e la portò al convento: nella fresca verdezza dei suoi quattordici anni parve a tutti un angelo di monacello quella giovane che cambiato il nome suo Marina in Marino, incominciò vita regolare di monaco. Il padre l'educò a forte virtù, l'avvezzò a mortificazioni severe, l'allevò ad alta contemplazione.La riuscita fu tale che i monaci e l'abate dal padre e dalla figlia avevano edificazione. E questo stimolo a maggior pietà restò vivente dinanzi ad essi anche quando, morto il padre, Marina a diciassette anni, restò sola, più rigida e più intenta ad osservar quella regola appresa dal padre e praticata con lui, pronta ad accettar battaglia, caso mai il nemico avesse osato dargliene una. Ed una presto gliela diede fortissima. Avevano i monaci in costume d'andare a muta di quando in quando alla vicina città, con entro un carro tirato dai buoi i lavori fatti nel loro cenobio. Se mai li avesse presi la notte si posavano da un oste amico e appena fatto giorno riprendevano il cammino alla volta del monastero. Venendo il suo turno anche Marino con un compagno più vecchio scendeva alla città, innamorando quanti lo vedevano col suo contegno serio e con l'angelica bellezza della sua persona. Ora, è da sapere che quell'oste aveva una figlia, la quale di nascosto dei genitori amoreggiando con un soldato, cadde turpemente in peccato e rimase incinta. I suoi, accorgendosi di ciò, afflittissimi le domandarono:" di chi?" , e la cattiva istigata dal demonio, volendo salvare l'amante, disse:" del monaco che si chiama Marino". Ne fu fortemente scandalizzato il padre e senza accertarsi della verità di tale rivelazione, corse di filato al monastero e con parole frementi espose all'abate l'ingiuria turpe che dal monaco Marino era stato fatta alla figliuola. Stupito l'abate di sì grave accusa, non volle crederla: era tanto un angelo quel monaco! E a sbugiardare l'insolente accusatore chiamò Marino; il quale sentendo di che era accusato e potendo difendersi facilmente, dopo averci molto pensato, non si scusò e piangendo ai piedi dell'abate, si umiliò e disse:" Peccai, padre: sono pronto per la penitenza". Il disonore che per quel monaco veniva al monastero era grande assai, per cui l'indignatissimo abate lo scacciò mal portando il monastero tanta ignominia. Non era sua, ma della mala femmina della quale Marino accettando la colpa, si prestò a farne la penitenza, assumendo in sé l'infamia del peccato. Disagiato il dì, mal riparato la notte, Marino se ne stette alla porta del monastero chiedendo in lacrime ai passanti l'elemosina del pane, ricevendo spesso con umiltà insulti e derisioni. Venuto il tempo di partorire, quella misera partorì un figliuolo maschio e appena levatolo dal latte, la madre di lei lo portò a Marino, dicendogli con grande orgoglio:"ecco il figlio tuo, nutrilo come sai";e glielo lasciò. Pietosamente l'accolse e di quel cibo che in elemosina riceveva nutriva il bambino. Dal dì che fu cacciato ad ora scorsero tre anni: anni lunghi, passati in amarezza e pianto. I monaci vedendolo per la penitenza dimagrito ed estenuato di molto, temendo che morisse là fuori e fama disonorevole di crudeltà ne venisse al monastero, pregarono l'abate affinché lo perdonasse e col bambino lo ricevesse fra loro. Non voleva; ma i monaci insistettero e così fu ricevuto e non senza una grave ammonizione, l'abate lo caricò di tutti i servigi del monastero, i più bassi ancora, i più abbietti. E Marino accettò mansueto e adempiva agli obblighi impostigli, quando dopo pochi dì, come piacque a Dio, passò di questa vita. Spaventatosi l'abate di morte sì presta, disse ai frati suoi:" vedete quanto grave fu il suo peccato: non l' ha voluto Iddio ricevere a penitenza!" Ed ordinò fosse seppellito senza onoranze lontano dal monastero. Ma quale fu poi la meraviglia e quella dei suoi frati quando, componendolo per la sepoltura, conobbero ch'era femmina? Piansero tutti e più forte pianse l'abate di essere stato con lei tanto severo, predicando alto che tale conversazione e penitenza non s'era mai fino ad allora trovata in alcuno. L'abate ordinò che il corpo di quella vergine fosse lasciato nell'oratorio per devozione della gente, ché ben tosto del fatto fu sparsa novella al di fuori, e dalla città e dai cenobi vicini accorrevano a venerare tale meraviglia e a dar lode a Dio nella santa sua. Invasa dal demonio venne la mala femmina, la quale posta di riscontro a quel corpo virginale spumava, digrignava i denti, tramortiva, gridando il suo peccato e manifestando con chi l'aveva commesso.Per preghiere degli astanti alla santa, fu liberata dall'immondo spirito; e questa misericordia fu il primo miracolo operato alla sua tomba. Da quel dì il sepolcro di Marina fu glorioso: dalla città, dalle vicinanze a processione venivano i devoti, cantando inni e cantici e salmi, benedicendo Iddio delle meraviglie che operava per la intercessione di quella benedetta che volle sostenere l'infamia ed esercitare aspra penitenza a sconto del peccato non suo.
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.NOTE ALLA LEGGENDA
La leggenda, con poche mutazioni, più di stile che di sostanza, quassù riportata, sta nelle Vitae Patrum ed è d'autore incerto. I Bollandisti la accolsero nei loro Acta santorum to. IV Julii die decima septima e il dotto padre Solerio S. J. vi premise giustissime osservazioni critiche. Come si può vedere, tranne il nome e la gloriosa gesta, di Marina nulla più dice l'Anonimo autore. Però la leggenda ha tutto il carattere d'esser primitiva e l'autore non molto discosto dei fatti che narra. Dall'ultimo periodo, dove dice dei molti accorrenti alla tomba di Marina: ubi usque modo Christus orationibus sanctae Virginis multa facit mirabilia ad laudem nominis sui; egli si mostra narratore di veduta, presente alle folle circostanti il sepolcro della santa. Dall'Anonimo deriva la narrazione del Metafraste, che a suo modo la cambiò, mantenendone la sostanza. Di più non ha che il luogo ove il fatto avvenne, la Bitinia; e il nome del padre Eugenio: indicazioni che può aver avuto da buona e diretta fonte. Ora si sa che il Metafraste lavorava attorno ai santi suoi nella metà circa del sec. X. ponendo fra lui e l'anonimo un secolo appena, arriviamo alla metà del secolo IX e supponendo che di Marina abbia scritto non vecchio, alla distanza poco più d'una cinquantina d'anni dalla sua morte, possiamo presumere che le generose gesta di Marina avvenissero nella metà del secolo VIII circa. Alcuni fanno conto netto e mettono senza altro la data della morte di Marina nel 740. Dice bene il p. Solerio: Ita conjicere et supponere liceat, donec certius aliquid alicunde eruatur. Tutto quello che altri scrissero della patria e dell'età della santa, il medesimo padre dice doversi attribuire ad divinationem potius quam ad verisimilitudinem. Né faccia caso se gli anni di Marina coincidono con gli anni delle persecuzioni iconoclaste, perché per quanto Costantino Copronico l'avesse forte coi monaci veneratori delle immagini, la sua mano non arrivò certo a disperdere tutti gli asceteri, poiché parecchi li troviamo dov'erano prima della sfuriata iconoclasta. Nemmeno si gridi alla inverosimiglianza della leggenda, se accolta fra monaci si veda una femmina, dicendo ciò strettamente proibito dai canoni; perché quel di Marina non è caso isolato e i Bollandisti registrano una Appollinare Sincretica monaco col nome di Doroteo, e una Eufrosina e una Reparata, senza dire di quella famosa Anna che sotto la veste del Calogero e il nome di Eufimiano, rese celeberrimo per le sue virtù e per i suoi miracoli il monastero degli Abramiti "alla fonte", non molto lontano dalla porta dorata di Costantinopoli. I canoni, è vero, proibivano tali intrusioni, ma che c'é a ridire se queste anime a far ciò erano spinte da una speciale mozione di Spirito Santo? Del resto, qualunque inverosimiglianza è tolta qualora si pensi com'erano conformate le Laure o gli asceteri deserti dell'oriente. I monaci vivevano l'un l'altro separati o in grotte o in casupole a parte; non si trovavano riuniti se non alla preghiera e ai santi uffici, dove la compostezza della persona, la silenziosità del luogo, la serietà delle sacre operazioni toglievano ogni via ad accostevoli rapporti. Erano come dice S. Girolamo, monaci nella stretta accessione della parola, cioè soli, cioè solitari. Che meraviglia dunque se inosservata nel sesso suo passò Marina in mezzo a quei monaci, tra i quali l'aveva condotta il padre suo? Nella credenza appunto fosse monaco, potè esserle attribuito quel peccato; in tale credenza poté Marina dare quell'alto esempio di generosa sostituzione suggeritole dalla sua ardente carità. Così la leggenda, ch'é storia, assume bellezza grandiosa e se l'atto suo della simulazione di sesso non è imitabile, è però imitabilissimo il sacrificio fatto di sé per scontare il peccato altrui. |