Il torrente Leni,
chiamato anche in molti antichi documenti Eleni, nasce dai monti di
Villacidro e confluisce nel fiume Mannu, poco a valle della
zona di Santa
Maria.
E' stato per tanto tempo una ricchezza per i serramannesi,
per tutti i materiali che le sue acque trasportavano e depositavano in occasione
delle piene che si susseguivano nella stagione delle piogge. Una
ricchezza per i giardini (soprattutto agrumeti) che crescevano rigogliosi
grazie alla fertilità dei terreni alluvionali ed agli apporti d'acqua che
alimentavano le falde superficiali; erano attinte dai numerosi pozzi della zona
con le norie (is molinus) fatte funzionare dagli asini che giravano
infaticabili attorno ad un congegno che attingeva l'acqua per accumularla in
una vasca da dove veniva distribuita alle colture orticole ed agli alberi da
frutto. L'acqua del Leni per la sua purezza e leggerezza è stata sempre
un'ottima acqua da bere. Tutta la vegetazione nella zona era rigogliosa e vi allignavano
boschetti con numerosi maestosi alberi, soprattutto di pioppo, ed i canneti che
fornivano il materiale
impiegato, almeno sino
alla fine degli anni '60, per costruire gli incannucciati
dove venivano fissate le tegole dei tetti. Nelle giornate di
sole molte donne arrivavano, con le bacinelle piene di panni sul
capo, a fare il bucato che poi stendevano ad asciugare sui
ciottoli, la dove le acque si erano ritirate, o sulle siepi che
delimitavano gli orti prospicienti
Durante la stagione delle piene il torrente scendeva
impetuoso dal monte Linas di Villacidro, trasportando pietrame e ghiaia che erano raccolti, grigliati per scartare il materiale più grosso e quello più
fine, e utilizzati per la manutenzione delle strade e come sabbia. Questi lavori
erano eseguiti per mezzo delle "comandate" dei carri agricoli e
dei cittadini. Il Comune
redigeva annualmente l'elenco degli obbligati a queste prestazioni di personale
e mezzi. I due cantonieri (che erano l'unico organico di quello che potremmo
chiamare l'ufficio tecnico comunale, le cui dotazioni erano solamente qualche
griglia, badili e picconi), sorvegliavano e dirigevano la cernita, il trasporto
con i carri e lo spargimento della ghiaia sulle strade bianche. Si trattava di
un materiale povero, non troppo idoneo a
quell'impiego perché non legava ed era
inghiottito presto dal fango argilloso essendo le strade prive di sottofondo. Le
pietre più grosse erano utilizzate per l'acciottolato delle altre strade ed
erano pure usate per costruire le fondamenta delle case, legate, sino a molti
anni fa, con una semplice malta di fango e, successivamente, prima con malta di
calce e sabbia e poi con quella di cemento, sino all'impiego del calcestruzzo.
Il
torrente Leni, nel suo ultimo tratto, a poche diecine di metri dalla chiesa di
S. Maria, è stato anche un posto meraviglioso per le scampagnate
(soprattutto nella pasquetta e nel periodo della festa) tra il fresco degli
alberi, le canne e tutta l'altra rigogliosa vegetazione, anche spontanea,
favorita dalla presenza dell'acqua.
Non dimentichiamo però che il Leni era anche fonte di
malessere e lutti per il prosperare, nelle sue acque stagnanti, nei periodi
d'assenza delle piogge, della zanzara anofele che diffondeva la malaria,
caratterizzata da violenti accessi febbrili ricorrenti che indebolivano le
persone portandole spesso a morte precoce. Solo dopo la guerra, con una
imponente campagna condotta dall' ERLAS in tutta la Sardegna, venne debellato
questo male, che ha lasciato il segno in tante persone, facendo sparire quella
zanzara
Oggi
tante cose sono cambiate. Nessuno pensa più al Leni che, col suo nuovo letto
protetto da argini costruiti intorno agli anni '50, è stato portato a circa
mezzo km dalla chiesetta ed è stato privato delle acque, imbrigliate con la
costruzione della diga sui monti di Villacidro. Nella zona di S. Maria è
diminuita la vegetazione, sono stati in parte eliminati gli orti, che molto
spesso comprendevano la casetta per la famiglia dell'ortolano e, nonostante sia
stato allontanato il pericolo della malaria, poca gente vi abita o la frequenta,
se non nel periodo della festa. Possiamo arrivarci comodamente in auto, ma anche
a piedi senza essere sbattuti, come in passato, dentro i carri e senza dover
assorbire la polvere
delle strade bianche; possiamo arrivarci su buone strade asfaltate ed un comodo
ponte che supera il Fiume Mannu con le sue golene ed i suoi argini. Se non è
romantico fermarsi sulle spoglie golene del Leni, torniamo almeno dove esso non scorre
più, in quegli spazi non lontani dalla chiesa, dove era il suo tortuoso e
vagante percorso e dove non è difficile trovare la frescura per fermarci per un
ideale picnic. Qualcheduno però dovrà prima provvedere alla pulizia della zona
che si presenta, in molti punti, come un letamaio ed un accogliente rifugio per
incontri notturni in auto.
(a.m.)
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