"LAICO"

 

La ragion d’essere minima di questo lemma - la sua ragion d’essere piena risulterà - è data da un’opera celebre ma poco celebrata di Freud dal titolo La questione dell’analisi laica (Die Frage der Laienanalyse). La traduzione ora proposta è opinabile come altre. La più opinabile è comunque quella corrente: La questione dell’analisi dei non medici, che ha il torto rozzo di censurare materialmente la parola Laie che significa "laico", raddoppiato dall’errore concettuale del definire il laico per mezzo di una negazione: chi non è qualcun altro. Che equivale a una definizione clericale del laico: laico è chi non è clero (per l’occasione: il clero medico). Con l’aggravante della conseguenza inevitabile di clericalizzare gli psicoanalisti e di mutuarne la laicità da altrove, per di più da una delle ormai vaghe idee correnti in proposito.
La tesi di Freud - lo psicoanalista non è medico anche se ha la laurea in medicina, che vuol anche dire: se lo psicoanalista si comporta da medico non è psicoanalista - resta scandalosa anche oggi in rapporto a una cultura già ottocentesca che vedeva nel medico un laureato in laicità. Laienanalyse dice piuttosto: l’analisi in quanto laica o anche: in quanto di laici.
Una delle più note, triviali persino, definizioni di laicità ci servirà da buona guida: laicità è pensare con la propria testa. Definizione e condizione certo necessaria ma non sufficiente, come tutta la satira contemporanea, sulla scorta di quella molièriana, ormai sa: la causa laica è una causa disperata, vista la neoproduzione moderna e soprattutto contemporanea di clericalismi diversi (politici, scientifici ecc.) al posto di quelli antichi. In breve: le forme del clericalismo includono quello religioso, che seguono storicamente ma da cui non derivano formalmente. In termini teologici si direbbe: il clericalismo è di radice "secolare" o "mondana" anche in casa ecclesiastica. Si potrebbe dire che il clericalismo religioso ha tirato la cordata di quello "laico" moderno.
Se laicità è pensare con la propria testa, si pone la domanda: "con quale testa"? Dobbiamo a Freud la costruzione delle forme logiche necessarie per formulare questa domanda come non assurda.
Ricordiamo la nota frase di Freud: "L’io non è padrone in casa sua", nella casa del suo pensiero, della sua "testa". Perché la "propria testa" non basta per pensare. Per pensare ne occorre un’altra: l’inconscio, in quanto l’inconscio è un pensiero. Al punto che rimozione, sconfessione ecc. implicano pensare poco e male, compensato da pensare troppo e senza riposo. L’io (sovrapponiamo provvisoriamente io e coscienza) non si basta per pensare: pensa con l’inconscio (oppure, come abbiamo più volte sostenuto - cfr. controlavoro, controinconscio, controgiudizio - pensa contro l’inconscio, mai senza).
Potrà darsi la possibilità, che sosteniamo, che io e coscienza vivano in pace - riconoscimento, legittimazione - con l’inconscio. Ma questa possibilità non ne abolisce la distinzione dall’inconscio: l’inconscio funziona per la coscienza come una permanente realtà oggettiva (normativa: cfr. realtà psichica), come ragione (ratio).
La tesi che se ne deduce è allora la seguente: laico, è l’inconscio, e così l’elaborazione che a esso afferisce e da esso si sviluppa. Che implica: il laico non si definisce per antitesi a una posizione altrui, ma per occupazione di una posizione propria. Quanto alle posizioni altrui, l’inconscio non ha pregiudizi ma giudizi: dipende dall’Altro (dalla sua competenza).
Dunque l’inconscio è la condizione sufficiente perché la necessaria (pensare con la propria testa) sia vera.
Lo sviluppo di queste premesse va nel duplice senso già affrontato in diversi articoli: l’inconscio come norma che vale come criterio di riconoscimento della competenza dell’Altro, e di liberazione del posto che a questo competerebbe se ne fosse all’altezza e volesse occuparlo; l’Altro come supplemento che completa in una meta la legge del moto pulsionale, legge di cui la norma dell’inconscio viene a essere parte per legittimazione.
La laicità dell’inconscio fa l’individuo non individualista. "Non individualista" significa che nella sua legge non è debitore né condizionato dall’etica della contrapposizione: interesse individuale/interesse d’Altri (di cui l’interesse collettivo è un caso). La distinzione singolare/universale come coppia non oppositiva ma consensuale gli basta: il suo dissenso si esprime al di fuori di questa coppia, verso l’alterità quando illude, delude, contraddice, disdice tale coppia.
L’individuo (in-dividuus) dell’inconscio è dividuo, non in "sé" ma nella sua legge: non c’è auto- né eteronomia, ma piuttosto, seconda la corretta espressione di Freud, rapporti di dipendenza, il cui concetto non può essere confuso con quello di rapporti di servitù. Un tale individuo mantiene la distinzione sia tra posti, occupati o meglio occupabili mobilmente da un soggetto e dal suo Altro, sia tra soggetti, che sono soggetto e Altro (che non è meno soggetto nei casi in cui è astratto: astratto rispetto a un Altro in persona).
Ciò permette di distinguere individualismi diversi, a seconda che siano confusi i soggetti o i posti:
1° nell’identificazione comunemente detta (detta anche, non sempre correttamente, isterica), quella dell’identificazione di un soggetto a un tratto di un Altro (è solo perché lo si coglie come Altro che ci si identifica a un suo tratto), non c’è confusione di posti (il posto dell’Altro rimane distinto), ma di soggetti. L’individuo pensa di pensare con la propria testa, mentre pensa (e agisce) con la testa di un Altro, peraltro non colta né rispettata come tale: un tratto gli basta. Analoghe considerazioni per il fantasma. L’Altro reale sarà poi trattato individualisticamente secondo uno schema di contrapposizione formale di interessi eventualmente contrapposti. (Si avrebbe tuttavia torto a credere che quando, nell’identificazione e nel fantasma, il soggetto pensa di pensare con la propria testa, egli abbia torto del tutto: infatti identificazione e fantasma sono frutto di un’elaborazione sostitutiva, sostitutiva di quella testa che se fosse riuscita sarebbe la propria. Nell’un caso e nell’altro egli fa quel che può sul fondo di quel che non può);
2° nell’identificazione melanconica c’è confusione di posti: il soggetto occupa il posto dell’Altro - persino lo oblitera affinché nessun Altro possa più occuparlo - , nella distinzione dei soggetti: è l’odio per l’Altro precisamente isolato da Freud nella melanconia. Il posto dell’Altro diventa una camera di tortura (godimento sadico del melanconico, ma in cui non è più possibile districare sadismo da masochismo: ecco il punto di contatto cercato tra melanconia e masochismo). L’Altro sarà poi trattato individualisticamente secondo contrapposizione d’interessi.
È importante rintracciare la medesima distinzione nel collettivo: tra quel collettivo che è unificato dall’identificazione al "capo" (Massenpsychologie di Freud, psicologia delle masse o meglio dei gruppi) e quel collettivo che è unificato politicamente dagli ordinamenti giuridico-statuali (questi due collettivi si distinguono, ed è distinguendoli con precisione che si possono cogliere meglio quelle esperienze della storia recente - fascismo, nazionalsocialismo - che li hanno sovrapposti):
1° nell’identificazione al capo - con il cui "capo" si pensa - , i soggetti sono confusi (l’io del capo al posto del proprio) nella distinzione dei posti. Ciò non vuol dire che la testa o pensiero del capo sia davvero colta e rispettata come tale: importa solo il posto, non l’Altro come soggetto con il suo pensiero. In questa identificazione il tradimento è sempre alle porte. Così, quando il gruppo si infrange o un individuo lo lascia, è difficile che il pensiero del capo sia veramente criticato (si cambia bandiera, non testa). L’individualismo rimane nella rinuncia (alla propria testa, come pure alla critica dell’individualismo): la forma dell’individualismo rimane intatta (approfondiamo la già accennata critica storico-politica: l’antiindividualismo professato dalle ideologie fascista e nazionalsocialista era fasullo);
2° la forma giuridica degli Stati di diritto è formalmente strutturata come la melanconia: la distinzione dei posti di soggetto e di Altro è abolita per principio (per fortuna d’altronde, intendendosi la fortuna del male minore: altrimenti sarebbe il Terrore). Resta la distinzione dei soggetti, in ognuno dei quali soggetto e Altro sono come compressi l’uno sull’Altro in un unico posto (ecco una versione del disagio della civiltà). Lo hobbesiano homo homini Deus, quando si paragonano i concives inter se, si rileva un’ironia, incerta com’è la soglia che lo separa dall’homo homini lupus quando si paragonano tra loro le civitates. L’individualismo, ammesso e pacificato come regola del gioco, è sempre esposto alla tentazione del cosiddetto "querulomane", tentazione di guerra civile endemica: infatti il querulomane è colui che perseguita incessantemente ogni possibile Altro (ecco perché il querulomane non è un paranoico: il paranoico occupa il posto di soggetto, delirando quel posto dell’Altro che per lui si era chiuso, facendolo occupare da un Altro immaginario libero almeno nella persecuzione); il querulomane è il persecutore dell’Altro reale (dunque non c’è delirio), poi per buona misura perseguita - perseguendoli giuridicamente - tutti i malcapitati Altri in quarto, ottavo e sedicesimo capitatigli a tiro.
"Laico" non è dunque un concetto assoluto e negativo (non-clero) ma un concetto relativo e positivo (= posto: come luogo e come soggetto): relativo all’Altro, nella distinzione tra posto dell’Altro e Altro come soggetto. Il laico è il soggetto di un Altro: di un Altro non qualsiasi. Per dirlo con levità è una posizione riposante, anche nell’attività. Rammentiamo la tesi già sostenuta: se il sogno è al servizio del sonno, lo è subordinatamente al fatto che l’Altro occupante ("investimento") se non è soffocante non occupa continuativamente quel posto. Alla posizione laica dell’inconscio compete un grado di libertà in più (senza angoscia, cioè: inversamente a quanto sopra, il posto dell’Altro non necessita la costanza dell’occupazione reale) rispetto ad altre posizioni: in essa il soggetto ha letteralmente la libertà di fare Altro, proprio perché non fa l‘Altro (cfr. elaborazione). Ciò consente di scartare, come pure di individuare, due opposti: d’un lato, la posizione laica non è anarchica rispetto a quella dell’Altro; come pure, d’altro lato, conosciamo una certa critica del "Potere" che non è che rincorsa clericale al rimpiazzo, cioè rinuncia di principio alla posizione laica, che è la posizione di chi sa potere (-desiderare) per mezzo di un Altro.
Guai a quello psicoanalista - che indubbiamente occupa il posto di Altro, lo ha anzi voluto caso per caso - che non ha disponibilità soggettiva e opportunità oggettiva di passare mobilmente al posto di soggetto, cioè di laico: sarebbe un soggetto che ha perso (o rinnegato) l’inconscio cioè ha perso il risultato di un’analisi. Freud rispondeva a ciò con il consiglio che ogni analista riprendesse l’analisi ogni cinque anni (consiglio rimasto largamente disatteso o affettato nella francese tranche). In ogni caso non si tratta solo di questo: sia perché il divano non è l’unica né la prima condizione del posto dell’Altro (semplicemente lo rimette in vigore, a condizione che il posto sia occupato realmente e degnamente); sia perché resta storicamente, praticamente e logicamente aperta la questione di quale istituzione o comunità sia in grado per preservare per gli psicoanalisti il posto dell’Altro, se non di designarne l’occupante reale.

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