GENOVA 

ovvero

             Due giornate per dire NO al G8 alla maniera delle                

                                

                                                            Donne

         

                        

 

 

 

 

    

 

 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      Non è difficile trovare a Genova in questi giorni, simboli e sintesi che esprimano il disagio della città di fronte all'evento che il mese prossimo si concretizzerà nel famoso e famigerato summit dei G8.  Una città cantierizzata ci accoglie sotto un generoso caldo estivo che sembra amplificato dai rumori e dalle ferite dei numerosi lavori e ponteggi che ci accompagnano per ogni dove. La breve e popolosa via di san Lorenzo non è che l'epilogo del nostro arrivo al Palazzo S. Giorgio da dove per due giorni "donne convenute da tutti i paesi" discuteranno di pace, guerra, globalizzazione,  biodiversità, razzismo e sentimenti. Un tentativo di racchiudere in così breve tempo un universo ricco di tematiche e sfumature, un universo in espansione  che accoglie e considera anche gli uomini come parte del discorso di liberazione e di autodeterminazione, parte di un sogno e di una speranza. Ed è come parte di quella diversità accolta, auspicata e considerata che mi aggiungo, intimidito ospite e viandante per scoprire, tuttavia senza eccessivo disagio, di essere uno dei pochissimi uomini presenti.

 Ho già in pronta una caustica risposta ad una eventuale legittima brusca domanda, ma nessuna sembra farci caso più di tanto, anzi qualcuna mi saluta auspicando l'inizio di una pratica trascurata da troppo tempo. Per tutti gli anni '70 le donne sono state artefici di un grande e profondo movimento di autocoscienza  e liberazione che escludeva o rimandava a tempi più favorevoli il confronto e la condivisione con gli uomini.     

 L'affermazione e la pratica del genere ha dato alle donne quella sicurezza e quella chiarezza necessarie per intraprendere questo dialogo, ma oggi per assurdo le donne si ritrovano sole. Il disagio maschile affonda le sue radici almeno in una generazione (la mia) e si esprime sia nell'ambito familiare che in quello lavorativo con atteggiamenti spesso contraddittori e nevrotici: si passa dal machismo patriarcale, praticato a casa, in ufficio e nella vita quotidiana, alla referenzialità e accondiscendenza più sospette....  

E all'uomo rimane comunque la pratica non trascurabile del potere che si esprime in ogni forma ed in ogni situazione. La globalizzazione è parte determinante di questa pratica e colpisce gli strati sociali e le condizioni più deboli e sensibili. Di queste condizioni ancora una volta  le donne sono le protagoniste principali.

Questi due giorni sono serviti proprio per analizzare le forme attraverso le quali la Globalizzazione colpisce e la condizione nelle quali le donne si trovano a vivere quello che per alcuni sembra essere lo stadio ultimo e supremo dello sviluppo capitalistico. Ma dopo il quale sembra non esserci nient'altro che le tragiche conseguenze che la globalizzazione lascia: pensiero ed economia unicista, distruzione del pianeta, impoverimento e saccheggio delle risorse, sfruttamento e distruzione delle popolazioni e degli strati sociali più deboli. Scopo dunque di questi due giorni e far sentire la voce delle Donne che propongono un modello di vita e di sviluppo completamente o significativamente alternativo a quello attuale, a quello che è l'attuale modello maschile, capitalistico, militarista. Ecco quindi che trovano convegno le realtà più diverse che vanno dalle Associazioni Lesbiche alle Donne in Nero, dai gruppi di studio antimilitarista come il Rosa Luxemburg alle donne di Rifondazione Comunista. 

 

La sala al primo piano di Palazzo S. Giorgio fa fatica a contenere tutte coloro che provengono stanche , curiose e felici dalle parti più disparate dell'Europa e del mondo. Ci sono infatti donne provenienti dal Brasile, dal Kurdistan, dall'Afghanistan, dall'Algeria, dal Belgio e dall'Olanda, dalla Spagna e poi da Siracusa, da Trento, da Roma, Bologna e Bari e ovviamente da Genova e dalla Liguria.  

 

 

Accennavo ai simboli e, come qualcuna mi faceva notare, Palazzo S. Giorgio è un simbolo. Da qui è nata la prima Banca che ha organizzato la spedizione coloniale nelle Americhe e quindi la prima forma di globalizzazione. Da qui le banche e le compagnie commerciali decidevano già agli albori della età moderna le sorti ed i destini di nazioni e popoli. Da qui per due giorni un gruppo di 300/500 donne determinate, entusiaste e pazienti ha discusso ed incontrato ed organizzato quella che sarà, oltre ed al di là del G8 di luglio, la marcia mondiale delle donne contro la povertà, che come cinque anni fa a Pechino, riporterà migliaia di Donne  a Johannesbourg a gridare e testimoniare rabbia e determinata indignazione. Le tematiche sono tantissime e non si perde tempo ed indugio in piacevoli saluti, anche  se la sorellanza accomuna forme di amore e di tenerezza sconosciute spesso a noi che siamo l'altra parte della terra.

 

Il meeting è aperto da Monica Lanfranco e Laura Guidetti rispettivamente direttora e redattora della rivista trimestrale Marea che è anche tra le organizzatrici e partecipa al Genoa Social Forum contro i G8, insieme ad altre seicento e più organizzazioni.                     

     

Le impressioni e le emozioni sono tantissime   per me che in realtà sono uno dei pochi compagni presenti e non perché le compagne non gradirebbero, una interlocuzione con l'altro sesso, dopo tanti anni di militanza e riappropriazione    esclusiva.

        

        

 

 

Una volta acquisita con grande fatica e difficoltà la pratica del genere, ed è comunque una acquisizione che non si ferma ad una semplice auto-referenziale constatazione, si sente ora il bisogno di un confronto costruttivo e solidale che emerge nel cartello che ci accoglie nella sala:       

                      

    Punto G: Genere e  Globalizzazione  

       per una società di donne e uomini equa solidale pacifica e democratica

 

Questa società è il punto G che coinvolge in una progettualità nuova, tutto il pianeta. Al termine dei due giorni si produrrà la Carta degli intenti che è in qualche modo il Manifesto politico-ideologico della manifestazione.

  

 

Una cosa emerge chiara fin dalle prime dichiarazioni ed ai saluti delle convenute:

non c'è un feminismo monolita ed esclusivo perché il punto fondante da cui si parla è l'esperienza, la conoscenza e la fatica del fare. Il tutto si concre-sintetizza nei "saperi".

I saperi che le donne si trasmettono sono saperi che partono non solo dalla consapevolezza di genere, ma da quanto questa consapevolezza si esplica nelle esperienze di vita quanto mai diverse e talvolta divergenti. É quanto emerge il secondo giorno quando i quattro gruppi  costituitisi il pomeriggio prima, hanno avuto spazi e tempo ( relativi e pochi  a dire il vero) per elaborare e confrontare. Non c'è invero modo di elaborare una soluzione che sintetizzi il lavoro svolto nelle poche ore del venerdì. Tuttavia se non ci sono (e non sarebbe stato altrimenti) delle risposte, interessante è il modo diverso e ricchissimo di formulare le domande. Nel gruppo dove Imma Barbarossa della Associazione Rosa Luxemburg facilitava la discussione su Globalizzazione, tecnologia e guerra, che ha trovato spazio alla sede del WWF, erano presenti numerose compagne provenienti anche da aree geografiche diverse.  

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