Intorno al 1147, l’allora giudice di Torres Gonario II (foto 2), di ritorno da un pellegrinaggio in Terrasanta dove si era recato con il suo seguito per celebrare il ventennale del suo regno, si accordava con S. Bernardo di Chiaravalle, incontrato probabilmente a Montecassino (secondo le fonti storiche nella “Apulia”), perché una comunità di monaci fondasse un monastero all’interno del suo Giudicato, precisamente nella “Curtis” di Cabuabbas, presso il villaggio di Sindia. Donando ai monaci francesi un grande territorio, che comprendeva tutta la Planargia e parte del Marghine, Gonario ripeteva ciò che quasi un secolo prima aveva fatto il suo predecessore Barisone. A partire dal 1147, i 50 monaci e 50 conversi mandati da Bernardo costruirono quello che è considerato uno dei più antichi edifici monastici di quest’ordine, sicuramente il più antico in Sardegna, e giunsero a completarlo nel 1149 anno in cui vi fu la solenne consacrazione alla presenza dello stesso Bernardo insieme ai giudici sardi e a numerosi esponenti del clero. Dalle fonti storiche (peraltro, non abbondanti) sappiamo che questo grande complesso, il 59° ed ultimo a cui viene riconosciuta con assoluta certezza la diretta fondazione da parte di S. Bernardo, ebbe un’influenza non irrilevante nella vita sociale e nell’economia del territorio circostante in cui tutt’oggi rimangono alcuni importanti esempi dell’antica presenza cistercense: i monaci infatti costruirono nei centri vicini alcune dipendenze, in corrispondenza delle cosiddette “grangie”, aziende agricole pastorali appunto in dipendenza del monastero, situate per la maggior parte nel territorio di Sindia (San Pietro, Santa Barbara, San Michele de Su Furrighesu; altre erano presenti nei territori di Suni (S. Ippolito, S. Sofia), di Silanus (S. Lorenzo) e presso Campeda. Rimangono delle grangie di S. Pietro a Sindia e di S. Lorenzo a Silanus le rispettive piccole chiese, quasi coeve. Ma questo grande centro religioso, che come già detto aveva avuto enorme importanza sin dalla sua fondazione, ed aveva sicuramente dato un ulteriore contributo al riallacciarsi dei rapporti tra la Chiesa di Roma e quella Sarda, accelerando il declino dell’influenza della chiesa orientale nell’Isola, conobbe ben presto un periodo di decadenza che la portò rapidamente e inesorabilmente alla rovina. Già nel 1205 vi fu una diminuzione dei monaci presenti, di sicuro meno di 60, dato che non furono in grado di popolare il nuovo monastero di Paulis1 (situato nel territorio tra Uri e Ittiri). Il numero dei monaci andò sempre più scemando fino all’anno 1398 anno in cui il Monastero inizia ad essere disabitato. E’ Papa Callisto III che con una bolla sopprime l’Abbazia e devolve i beni all’allora vescovo di Bosa Giovanni Cosso. Quali furono le cause di una così rapida decadenza? Esse furono molteplici: da una parte fu determinante la caduta dello stesso Giudicato di Torres, che perse l’autonomia nel 1273, i cui territori vennero spartiti; importanti furono la sensibile diminuzione delle vocazioni, e l’ascesa degli ordini mendicanti tali erano quello Francescano e Domenicano, che meglio rispondevano alle esigenze spirituali del popolo dell’epoca; determinante fu comunque, a partire dal 1323, l’occupazione e la successiva dominazione della Sardegna da parte degli Aragonesi, che non tolleravano in genere nei monasteri Sardi, la presenza di monaci stranieri, fossero essi italiani o francesi. Possiamo comunque constatare che di un così grande complesso architettonico quale era l’Abbazia di N.S di Cabuabbas, oggigiorno non rimangono che poche rovine; ciò si può spiegare se si pensa a tutta la serie di spoliazioni e devastazioni di cui il monastero nei secoli è stato oggetto: utilizzato letteralmente come “cava” le cui pietre squadrate sono servite per edificare numerosi edifici: un caso indicativo è quello della chiesa di San Demetrio a Sindia, il cui rosone si ritiene con tutta probabilità sia appartenuto in origine all'Abbazia di Corte. Si aggiungano le incursioni dei pirati che da sempre tormentavano i territori vicini alle coste dell’isola, e l’ultima in ordine di tempo, quando alla fine dell’800 venne costruita la ferrovia che collegava le città di Macomer e Bosa.