~* POESIE *~
Questi versi sono tutti tratti dalla Divina
Commedia (Purgatorio), se non ci credete controllate pure i primi 10/15
canti del Purgatorio. I versi sono stati messi in ordine rigorosamente
sparso, e se vi sembra che le poesie siano riuscite un po' spinte siete voi
che siete maliziosi! Speriamo che Omero...anzi no...Dante ci perdoni per
questo, ma comunque era un lurido porco con la mente malata che nascondeva
le sue fantasie sessuali nei versi di un libro!!! (Bombardate il Vaticano!)
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TRAMONTI
DOLENTI
Che pelo l’uccel divino ma
China ’l giuso vasello snelletto
E leggero tanto n’inghiottiva.
Sediero sen gì selvaggia assaggia
Aspra
e forte e come ulivo
Calcar 3 volte petto mi pinsi
Soavemente.
Così sciolta com’è tanta ora tolta
Ch’era s’insala però si cala, che
Doglie venendo qui è affannata
Cominciò… Mi suona lo scoglio,
l’esca
Dove riesca né tosta.
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Questa poesia mette in evidenza la
frustrazione dell’autore a causa della perdita della donna amata
(puttana!!!), che si trasforma in follia omicida e termina con un chiasmo
referente totale.
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MALADIZION
Avvegna che ove ragion ne fruga
Come morso che dismaga, che
Dilaga, roggio ch’avea appoggio
Tutto rivolto, vespero tolto, non
Ingombra.
Cala, chi va sanz ’ala e io
Sasso con libero piglio, soverchiar
Questa parete. 2 punte mortali
Orribil miei, Maladizion!!!
Contumacia esto divieto che s’avanza.
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In questi versi è evidente che il poeta è in una totale situazione di silenzio
artistico, forse dovuto alla maledizione che si è abbattuta su di lui contemporaneamente
agli altri fatti. Si noti come la divergenza sia in continua ascesa
spirituale
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LA
BELLA GIOVANNA
Drizzando il dito da sinistra
Si conduca pur me, pur me s’
impiglia
Si pispiglia di traverso
A
verso a verso
Oh! Roco, scorre senza freno
Preme a noi
Deh…
T’arresti?
Ben nati profondi fori
Di là… spira cannucce
Giovanna con bassa fronte
Oh sanguinando ben coglie
Giunse… diede ‘l pregno aere
Fiume Real Dolor
La pia ‘nnanellata gemma.
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Questo può essere considerato un capolavoro,
visto il paragone di Giovanna con una gemma. Qua non conta chi sia
Giovanna e chi Roco, l’importante è che non c’è né il leone, né gazzella.
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OH
FIORENZA, TROIA!!!
Zara porge la man
Più non fa pressa l’Aretìn
La mia è piana
Non falla se sana
Che s’astalla
E io getta
Posta più tosta
Novo
e aperto
‘l tuo successor
Vieni oscura vedova e sola
O è scisso?
Fiorenza mia molti bocca
Ha ben onde sottili membre.
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Come si può ben leggere, Fiorenza è la tipica
donzella rinascimentale, una troia!!! Ma non per questo la poesia perde
il sentimento e il ricordo di una cosa che c’era ma ora non c’è più, o
meglio, c’è ma è nella bocca di Fiorenza, la quale ha sottili membre.
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VAFFANCULO
SOAVE
Poscia siete?
Fur sepolte là s’appiglia
La lingua nostra
Dritto mi t’accosto
Azzo Deste, Jacopo del Cassero
Dichina e andar puote
Fier fu riposto
Frego ‘l dito
La voglia intriga
Ammirando, Allungati scemo!
Fece grembo
tra sghembo
Oro si fiacca
Cocco fresco!
Fiacca.
Salve Regina
Barbuto nasetto ha fatto letto,
colui dal maschio naso
Federigo rade nasuto.
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Non lasciatevi ingannare dall’aggettivo
POSCIA, quello che avete letto è un puro sentimento in contrasto con la
politica settecentesca, che si rifà a quella secentesca. Da notare il
finale nasale. Da consumarsi preferibilmente entro l’agosto 2002.
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CURRADO NON
MORIRE
Era squilla surta mano
Giunse e levò fiaccando
Aguzza, leggero in sue,
Erano
ventilate
La testa binda come si confonde
Pur me non si serrava larghe onde
Giovanna la sua madre per lei accende
La vipera accampa che avvampa
Com’ei drizzò il dito forse amaro
Mi vidi mosso, Fui chiamato Currado!
Ti fia sermone se s’arresta.
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Chi vuole uccidere Currado? Ma ovviamente il
maggiordomo! E’ spaventoso come colei alzando il dito riesce a dare
movimento all’intera poesia, senza preoccuparsi assolutamente di quello
che tutto ciò può causare. Forse.
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LUCIA…POSSO ENTRAR???
La concubina s’imbiancava nel loco
Quel d’Adamo
Inchinai tutti e 5 sedavamo
Più presa… sospesa
Aguglia a calare intesa
Là dove
consistoro, forse piede
Poi rotata al foco
Schiro trafugò il dipartiro
Dallato… Torto il mio conforto
Torto
Semo dentro Lucia!
Quella intrata aperta
A guisa discoperta,
senza cura, però la rincalzo
Va persi una spada spesso
Lo scaglion primario, Petrina
crepata
Misericordia aprisse
Quantunque falla, calla l’altra
Perché di groppa dissemi serrata
Di fuor guataa…
Rugghiò.
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C’è una sola parola che può descrivere la
bellezza di questa poesia: SPINTEROGENO!!! Lucia non riesce a tirarsi
fuori dal tormento interiore che la perseguita, ma non per questo si
arrende, anzi, s'imbianca nel loco. Non è chiaro quale sia il
collegamento, ma si sa che non è quello che ci aspettiamo, perché dobbiamo
ricordarci che la vita non porta con sé quello che ha, ma il resto.
Vendiamo magliette con la stampa di questa poesia a sole £ 15.000, con in regalo un fantastico
adesivo.
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RIME
VEDOVELLE
Perché tosta suonando richusa
E s’ io… scusa?
Restammo liberi e aperti
Lassù
Policleto
pareva intagliato in atto
Propriamente si suggella
Di retro da Maria da quella…
Movea traendo, facea cantà.
Di dietro biancheggiava, mosse
Vittoria,
una vedovella, intorno a lui calcato
e pieno
Pareva dir “Come s’ affretta colui!”
Eran contenti, quel che vian sotto si
picchia.
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PUTTA SIETE?
Padre tu hai laudato vapore
Dà… s’ affanna e come merto
Pondo a tondo la caligine
Se radice? Deh, lievi!
Da qual mano più corto
Che men erto cala per la riva
Cervice superba, io fui vosco!
Gran tosco
Agobbio
pennelleggiava cortese
Com grossi e forse nido.
Pappo dindi colui pispiglia
Ond’era putta
Putta
La vostra acerba color d’ erba
M’ incora quei confini.
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La putta sembra che sia stanca, ma continua
a saltare, e questo fa capire come la stanchezza non centra nulla col
climax che si intraprende succesivamente. Sappilo.
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SUL CAMMIN DEL
CORO
Cerchia e apre soverchia
Ragionavan a man dritta
Che tu grazia per mezza sazia
Si sdebitò l’ alpestro Peloro
Ella ne disnoda altri
Disnoda tuo nepote, si rinselva
Mi deduca, Guido del Duca!
Pon’
il core dentro a questo termini
Mal fa che s’ impiglia stretta
Scoscende Aglauro dentro sua meta.
Prendete l’esca!
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Guido non sopporta di essere cornuto, e per
questo diventa dentista per cercare di dimenticare l’esca amata. Qua non
si capisce bene chi è lui, e chi lei, ma di certo tu non sei come me, sei
più coglione!!!
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GODURIA DI
VITTORIA
Quando mezzanotte era la spera
scherza
Dinanzi a me mi vaglia
Messo tosto, quanto ti dispose
«Entrate eretto»
ad uno di Linci
«Godi tu che vinci!»
Prode, dirizzami la spera suprema!
Una donna accese in foco d’ ira un
giovinetto,
gridando martira, pur chinarsi.
Chi guarda giace per darti forza al
piede.
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Il poema finisce con il trionfo della
vittoria, che in questo caso viene sconfitta pur essendosi arresa
all’evidenza che la conduce lontano da questa selva di grovigli che
persuaderebbero chiunque ne faccia a meno. L’ultimo verso può fare anche
a meno di tutto.
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