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Le peculiarità di questi bacini, tra le quali la natura delle argille, le caratteristiche tecnico-decorative e morfologiche, non lasciano dubbi sul fatto che si tratti di manufatti tunisini, opera di botteghe operanti nella zona di Tunisi.
L'impiego in architettura di questi bacini si ricollega con l'ampiezza dei rapporti Pisa-Islam (specialmente con i paesi occidentali) e soprattutto con l'ampia disponibilità di questi manufatti "esotici". Il loro costo, sicuramente contenuto, e la facilità con cui era possibile inserirli nelle opere in muratura, costituirono senza dubbio due delle ragioni che portarono gli architetti pisani a preferirli, in molti casi, a mosaici e tarsie.
Questi bacini sono ricoperti su ambedue le superfici da un rivestimento vetroso opaco (smalto stannifero) di colore verde o verde-bluastro. Disegni, tracciati in bruno, ornano soltanto le superfici interne. In uno dei bacini provenienti da S. Michele degli Scalzi (il n.256 sul catalogo B.T.) si trova un pavone stilizzato.
La maggior parte dei pezzi presenta tuttavia composizioni a carattere geometrico con, a volte, elementi a treccia o ispirati al mondo vegetale.
I nn.256, 258, 280 hanno la caratteristica (molto diffusa) di avere un motto epigrafico ripetuto (scritto con caratteri cufici corsivi) in cui G. Vassallo Ventrone legge al-yumn, cioè "la felicità". Questo è, specialmente nei pezzi più recenti, molto semplificato e contratto, impiegato in serie continue, con intento puramente decorativo.
Il diametro varia da cm.17,5 a cm.46; l'altezza da cm. 5,1 a cm. 13.
Ecco qui sotto la collocazione originaria dei bacini ceramici di cui abbiamo parlato:
Parete posteriore del cleristorio | Lato ovest del campanile |
Lato est del campanile | Lato nord del campanile |
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