Gabriele D'Annunzio

Il D'Annunzio assimilò molte istanze del Decadentismo europeo quali l'estetismo, il sensualismo, il vitalismo, il panismo e l'ulissismo inteso come ricerca di esperienze sempre nuove ed eccezionali; condivise la sfiducia della ragione e nella scienza, avvertì la solitudine dell'uomo ma ebbe di tale solitudine una percezione orgogliosa derivante dalla convinzione dell'eccezionalità della propria persona. Scrisse moltissimo: novelle, romanzi, poesie e drammi; fu un apprezzato giornalista e si occupò anche di cinema scrivendo il soggetto e le didascalie del film Cabiria (1914). Nell'ambito della narrativa, sull'esempio dei romanzi ciclici dell'Ottocento (come la "Commedia umana" di Zola e "I Vinti" del Verga), il D'Annunzio si propose di scrivere tre trilogie ciascuna denominata dal nome di un fiore: la rosa, il giglio e il melograno per simboleggiare le tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse infatti tutti i protagonisti dei romanzi dannunziani sono una proiezione narrativa dell'autore.  I romanzi della rosa li scrisse tutti e sono: Il piacere, L'innocente e Il trionfo della morte. Della trilogia del giglio scrisse solo "Le vergini delle rocce" e della trilogia del melograno scisse solo "Il fuoco" in cui trasfigurò la propria relazione con l'attrice Eleonora Duse. Secondo D'Annunzio, il giglio è il fiore simbolo del superuomo e della passione che si purifica, esso cioè è simbolo dell'uomo che si serve delle passioni per realizzare un progetto ambizioso

Il D'Annunzio con la sua intensa attività letteraria e con le sue imprese di combattente rappresentò un mito per la classe media che vedeva realizzati in lui quasi tutti i propri sogni proibiti: la forza fisica e le capacità erotiche, il coraggio e l'eleganza raffinata, l'eloquenza e il lusso, l'esaltazione della patria e la difesa dell'ordine costituito, l'aspirazione alla potenza e alla gloria. Tra le sue azioni più famose ci sono il passaggio dall'estrema destra all'estrema sinistra (20/3/1900), il volo su Vienna e l'impresa fiumana, per cui alcuni critici hanno parlato di influenza del dannunzianesimo sul Fascismo. Secondo lo storico De Felice, il D'Annunzio non fu mai un vero politico e il suo movimento poté offrire solo schemi per le celebrazioni, gesti teatrali e motti (come il famoso memento audere semper = ricordati di osare sempre), e ciò si nota analizzando le imprese citate. Quando alla Camera dei deputati , nella seduta del 20-3-1900, il D'Annunzio compì il gesto clamoroso di passare dall'estrema destra per la quale era stato eletto all'estrema sinistra dicendo di voler andare < verso la vita > era in corso da oltre un anno l'ostruzionismo parlamentare al tentativo di Pelloux di far votare provvedimenti restrittivi della libertà e dei diritti delle minoranze e il presidente della Camera (Giuseppe Colombo) aveva tolto la parola ad un  deputato repubblicano ma non fu l'unico a protestare e che il suo passaggio non fu considerato valido, lo prova il fatto che sconfitta la maggioranza, alle elezioni (giugno 1900) il poeta non fu eletto nelle liste socialiste. Scoppiata la guerra il D'Annunzio assunse posizione di acceso interventismo, tornò in Italia (era in volontario esilio in Francia, ma in realtà era fuggito per sfuggire dai creditori) si arruolò come volontario, fu protagonista del volo su Vienna e in un incidente aviatorio perse un occhio (1916). La << vittoria mutilata >> (Istria e Dalmazia no) lo spinse ad impadronirsi di Fiume alla testa di volontari nazionalisti ma anche di anarchici, di giornalisti, di sindacalisti, di forze armate, di uomini di affari. L'impresa di Fiume dimostra però quanto sia stato lontano il Dannunzianesimo dal fascismo. La Costituzione fiumana, redatta in collaborazione con il sindacalista Alceste De Ambris stabiliva un metodo di democrazia diretta, un sistema completo di sicurezza sociale, di assicurazione sanitaria e di previdenza per la vecchiaia, la totale tolleranza di ogni confessione religiosa e dell'ateismo e la completa uguaglianza delle donne. Se somiglianza ci fu tra D'Annunzio e Mussolini fu nella capacità di pubblicizzare la propria immagine e di conquistarsi l'appoggio di esponenti di classi diverse convincendoli di salvaguardare i loro interessi. Piuttosto è vero che il regime si sforzò di inserire il poeta-soldato nel proprio Pantheon e in questa direzione vanno interpretate sia l'edizione di tutte le opere di D'Annunzio a spese dello Stato sia il finanziamento per le spese del < Vittoriale > dove il poeta morì nel 1938.Il D'Annunzio presenta una personalità in cui al letterato si affianca il superuomo politico, lo psicopedagogo delle masse con il ruolo di direttore delle coscienze e dei destini altrui. Le tessere che mettono in luce il suo particolare carattere di letterato politico sono le orazioni e gli infiammati discorsi interventisti. In particolare l'orazione da Quarto ottenne un grande effetto sull'interventismo e segnò un rialzo delle sue quotazioni politiche ma il "temerario comandante dell'impresa di Fiume"era prigioniero del suo mondo di parole incantate. Nelle successive arringhe al popolo di Roma egli riprese espressioni colorite come < col bastone e col ceffone, con le pedate e con il pugno si misurano i leccapiatti e i leccazampe >> oppure << i più maneschi di voi saranno della città e della salute pubblica benemeritissimi >>. La sua efficacia linguistica ebbe una forte ricaduta politica perché diede voce con immediatezza al sentimento confuso delle folle rumoreggianti e quasi inebriate da un'oscura volontà di eroismo o di annientamento.  

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