FAQ

(Astronomia e cosmologia)

 

    

 

   

 

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Intervista immaginaria a Stephen Hawking:
 

1. La terra è un disco piano che poggia su una tartaruga (che a sua volta poggia su un'altra tartaruga e così via...) oppure è una sfera?

Già nel 340 a.C. il filosofo greco Aristotele, notò che le eclissi di Luna sono causate dall'interposizione della Terra fra la Luna e il Sole. L'ombra della Terra proiettata sulla Luna era sempre rotonda, cosa possibile solo nel caso che la Terra fosse sferica. Se la Terra avesse avuto la forma di un disco, l'ombra sarebbe stata quasi sempre allungata ed ellittica, tranne nei casi in cui il centro del Sole, quello della Terra e quello della Luna fossero stati perfettamente allineati.

In secondo luogo, i greci sapevano dai loro viaggi che le stelle circumpolari apparivano tanto più basse in cielo quanto più a sud ci si spingeva, mentre nelle regioni più settentrionali si vedevano più in alto. (La stella polare, che si trova sul prolungamento dell'asse terrestre, è allo zenit per un osservatore che si trovi al Polo Nord, mentre chi la osservi dall'equatore la vede esattamente sull'orizzonte.) Dalla differenza nella posizione apparente di varie stelle in cielo (in Egitto e nella regione di Cipro si vedono stelle che non sono visibili nelle regioni settentrionali, e viceversa) si poteva desumere una conferma della sfericità della Terra. Aristotele citò addirittura una stima dei matematici secondo la quale la circonferenza terrestre misurava 400.000 stadi. Oggi non sappiamo esattamente quanto fosse lungo uno stadio, ma secondo un'ipotesi esso potrebbe essere stato di circa 183 km, che è una lunghezza quasi doppia rispetto al valore di 40.000 km attualmente accettato.

I Greci avevano addirittura un terzo argomento a sostegno della sfericità della Terra: se la Terra non fosse stata sferica, com'era possibile che di una nave apparissero al di sopra dell'orizzonte prima le vele e poi lo scafo?

 

 

 

 

2. La teoria generale della relatività di Einstein implicava che l'universo deve aver avuto un inizio e che dovrà forse avere una fine?

La vecchia idea di un universo essenzialmente immutabile che potrebbe esistere da sempre, e che potrebbe continuare a esistere per sempre, fu sostituita dalla nozione di un universo dinamico, che sembrava aver avuto inizio in un tempo finito in passato, e che potrebbe durare per un tempo finito in futuro.

Prima del 1915 si pensava allo spazio e al tempo come a una scena fissa in cui avevano luogo degli eventi, ma che non risentiva di ciò che accadeva su di essa. Ciò valeva persino per la teoria speciale della relatività. I corpi si muovevano, le forze attraevano e respingevano, ma il tempo e lo spazio continuavano semplicemente la loro esistenza, senza che nulla potesse influire su di essi. Era naturale pensare che spazio e tempo sarebbero durati per sempre.

La situazione è però del tutto diversa nella teoria generale della relatività. Qui spazio e tempo sono quantità dinamiche: quando si muove un corpo, o agisce una forza, essi incidono sulla curvatura dello spazio e del tempo: e a loro volta la struttura dello spazio-tempo influisce sul modo in cui i corpi si muovono e le forze agiscono. Spazio e tempo non solo influiscono su ciò che accade nell'universo, ma risentono a loro volta di tutto ciò che accade nell'universo. Come non si può parlare di eventi che accadono nell'universo senza far ricorso alle nozioni di spazio e di tempo, così nella relatività generale ha perso ogni significato parlare di spazio e tempo fuori dei limiti dell'universo.

 

 

 

 

3. L'universo è in espansione?

La scoperta che l'universo è in espansione fu una delle grandi rivoluzioni intellettuali del XX secolo. Newton e altri avrebbero dovuto rendersi conto che un universo statico avrebbe cominciato a contrarsi immediatamente sotto l'influenza della gravità. Supponiamo invece che l'universo sia in espansione: se l'espansione fosse abbastanza lenta, la forza di gravità la farebbe rallentare sempre più fino a causarne a un certo punto l'arresto, dando poi l'avvio ad una fase successiva di contrazione. Se invece la velocità di espansione dell'universo fosse superiore a una certa velocità critica, la gravità non sarebbe mai abbastanza forte da metter fine all'espansione e l'universo continuerebbe ad espandersi per sempre. La situazione è simile a quella di un razzo lanciato verso l'alto dalla superficie della Terra. Se esso ha una velocità inferiore a una certa velocità critica (la cosiddetta "velocità di fuga", di circa 11,2 m/sec), la gravità finirà col mettere fine al movimento ascensionale del razzo, che ricadrà al suolo. Se esso avrà invece una velocità superiore a tale valore critico, la gravità non sarà sufficiente a farlo tornare indietro, cosicchè esso continuerà ad allontanarsi per sempre dalla Terra. Questo carattere dinamico dell'universo avrebbe potuto essere predetto, sulla base della teoria della gravità di Newton, in un qualsiasi periodo dell'Ottocento, nel Settecento o persino alla fine del Seicento. Eppure la fede in un universo statico era così forte da persistere addirittura sino al Novecento inoltrato. Persino Einstein, quando formulò la teoria generale della relatività nel 1915, era così sicuro che l'universo fosse stazionario, da modificare la sua teoria per adeguarla a questa situazione, introducendo nelle sue equazioni la cosiddetta costante cosmologica. Con questa costante Einstein introdusse una nuova forza "antigravitazionale", la quale, a differenza di altre forze, non proveniva da alcuna particolare sorgente, ma era incorporata nel tessuto stesso dello spazio-tempo. Einstein sostenne che lo spazio-tempo aveva una tendenza intrinseca a espandersi, e che questa tendenza poteva essere tale da controbilanciare esattamente l'attrazione di tutta la materia dell'universo, in modo da ottenere un universo statico. Soltanto il fisico e matematico russo Aleksandr Aleksandrovic Fridman fu disposto a considerare la relatività generale nel suo valore nominale e, nel 1922, Fridman predisse esattamente ciò che sarebbe stato trovato, qualche anno più tardi, dall'astronomo americano Edwin Hubble! Fridman fece due assunti molto semplici sull'universo: che esso appaia uguale in qualsiasi direzione lo si osservi, e che ciò varrebbe anche se noi lo osservassimo da qualsiasi altra posizione. Sulla base di questa due sole idee, mostrò che non dovremmo attenderci che l'universo sia statico.

La nostra immagine moderna dell'universo risale solo al 1924, quando Hubble dimostrò che la nostra galassia non era l'unica, ma che in realtà ne esistono molte altre, separate da estensioni immense di spazio vuoto. Negli anni successivi alla sua dimostrazione dell'esistenza di altre galassie, Hubble spese il suo tempo nel catalogare le loro distanze e nell'osservare i loro spettri. A quel tempo la maggior parte delle persone si attendeva che le galassie si muovessero in modo casuali, cosicchè ci si aspettava di osservare un ugual numero di spostamenti verso il rosso e verso il blu. Fu perciò una sorpresa trovare che la luce della maggior parte delle galassie appariva spostata verso il rosso: quasi tutte stavano allontanandosi da noi! Ancora più sorprendente fu la scoperta che Hubble pubblicò nel 1929: l'entità dello spostamento verso il rosso della luce di una galassia non era casuale, bensì era direttamente proporzionale alla distanza della galassia da noi. O, in altri termini, quanto più una galassia è lontana da noi, tanto più grande è la sua velocità di recessione! Ciò significa che l'universo non poteva essere statico, come si era sempre creduto in precedenza, ma che in realtà si sta espandendo: la distanza fra le diverse galassie sta crescendo di continuo.

 

 

 

 

4. L'universo smetterà di espandersi?

Per rispondere a questa domanda abbiamo bisogno di conoscere l'attuale velocità di espansione dell'universo e la sua attuale densità media. Se la densità è inferiore a un certo valore critico, che è determinato dalla velocità di espansione, l'attrazione gravitazionale sarà troppo debole per arrestare l'espansione. Se la densità è superiore al valore critico, verrà un momento in futuro in cui la gravità arresterà l'espansione e causerà il successivo collasso dell'universo nella sua condizione di concentrazione iniziale.

Noi possiamo determinare la presente rapidità di espansione misurando, per mezzo dell'effetto Doppler, le velocità con cui le altre galassie stanno allontanandosi da noi. Questa misurazione può essere eseguita in modo molto accurato. Le distanze delle galassie non sono però molto ben note, giacchè noi possiamo misurarle solo indirettamente. Così tutto ciò che sappiamo è che l'universo sta espandendosi di una quantità compresa fra il 5 e il 10 per cento ogni miliardo di anni. La nostra incertezza circa la presente densità media dell'universo è ancora maggiore. Se sommiamo la massa di tutte le stelle che possiamo vedere nella nostra Galassia e in altre galassie, il totale che otteniamo è di meno di un centesimo della quantità che si richiede per arrestare l'espansione dell'universo, persino adottando la stima più bassa della rapidità dell'espansione. La nostra galassia e le altre galassia, però, devono contenere una grande quantità di "materia oscura" che noi non riusciamo a vedere direttamente, come dimostrano le influenze gravitazionali osservate della materia oscura sulle orbite di stelle e gas nelle galassie. Inoltre la maggior parte delle galassie fanno parte di ammassi, e noi possiamo similmente inferire la presenza di altra materia oscura negli spazi intergalattici all'interno di tali ammassi dall'effetto che essa esercita sul moto delle galassie. Anche una volta sommata tutta questa materia oscura, però, otteniamo solo un decimo circa della quantità di materia che si richiederebbe per arrestare l'espansione. Non possiamo però escludere la possibilità che possa esserci una qualche altra forma di materia, distribuita in modo quasi uniforme in tutto l'universo, che noi non abbiamo ancora scoperto e che potrebbe far salire la densità media dell'universo sino al valore critico che si richiede per arrestare l'espansione. I dati attualmente disponibili suggeriscono che probabilmente l'universo si espanderà per sempre, ma tutto ciò di cui possiamo essere veramente sicuri è che, quand'anche dovesse tornare a contrarsi, non lo farà per almeno altri dieci miliardi di anni, dal momento che l'espansione dell'universo è già durata almeno per altrettanto tempo. Questa prospettiva non dovrebbe preoccuparci eccessivamente: a quel tempo, se la nostra civiltà non sarà già andata a colonizzare regioni esterne al sistema solare, l'umanità sarà già scomparsa da molto tempo, estinta assieme al nostro Sole!

 

 

 

 

5. Come nasce una stella?

Una stella si forma quando una grande quantità di gas ( per lo più idrogeno) comincia a contrarsi in conseguenza della sua attrazione gravitazionale. Nel corso del collasso gli atomi di gas entrano in collisione fra loro sempre più frequentemente e a velocità sempre maggiori: il gas si riscalda. Infine, la temperatura sarà così elevata che quando gli atomi di idrogeno si urtano non rimbalzano più ma si fondono assieme a formare elio. Al calore liberato in questa reazione, che è simile a un'esplosione di una bomba a idrogeno controllata, si deve lo splendore della stella. Anche questo calore aggiuntivo aumenta la pressione del gas finchè questa è sufficiente a controbilanciare l'attrazione gravitazionale, e il gas smette di contrarsi. E' un po' come nel caso di un palloncino: c'è un equilibrio tra la pressione dell'aria al suo interno, la quale cerca di farlo espandere, e la tensione nella gomma, la quale cerca di rimpicciolirlo. Grazie a un meccanismo simile a questo, le stelle rimangono stabili per molto tempo, ossia fino a quando il calore generato dalle reazioni nucleari al loro interno controbilanciano l'attrazione gravitazionale. Infine, però, la stella esaurirà la sua riserva di idrogeno e di altri combustibili nucleari. Paradossalmente, quanto maggiore è la scorta di combustibile con cui una stella comincia la sua evoluzione, tanto prima lo esaurirà. Questo perchè quanto maggiore è la massa di una stella tanto più elevata deve essere la sua temperatura per controbilanciare la sua attrazione gravitazionale. E quanto più calda è una stella tanto più rapidamente consumerà il suo combustibile. Il Sole ha probabilmente abbastanza combustibile per alimentare le sue reazioni nucleari per altri cinque miliardi di anni circa, ma stelle di massa maggiore possono dar fondo a tutto il loro combustibile in soli cento milioni di anni, un periodo molto minore dell'età attuale dell'universo. Quando una stella esaurisce il suo combustibile, comincia a raffredarsi e a contrarsi.

 

 

 

 

6. Da dove traggono origine le nane bianche e le stelle di neutroni?

Quando la stella si contrae, le particelle di materia vengono a trovarsi molto vicine l'una all'altra; perciò, secondo il principio di esclusione di Pauli, devono avere velocità diverse. In conseguenza di questo fatto esse si allontanano l'una dall'altra; cosicchè la stella tende ad espandersi. Una stella può perciò mantenersi a un raggio costante in virtù di un equilibrio fra l'attrazione gravitazionale e la repulsione derivante dal principio di esclusione, esattamente come, nella prima parte della sua vita, la gravità era controbilanciata dal calore.

Lo studioso indiano, Chandrasekhar, si rese conto però che c'è un limite alla repulsione prevista dal principio di esclusione e calcolò quale massa avrebbe dovuto avere una stella per poter resistere al collasso gravitazionale dopo aver consumato tutto il suo combustibile. 

La teoria della relatività limita la differenza massima nelle velocità delle particelle materiali nella stella alla velocità della luce. Ciò significa che, quando la stella diventa abbastanza densa, la repulsione causata dal principio di esclusione sarebbe meno intensa dell'attrazione gravitazionale. Una stella fredda di massa superiore a circa una volta e mezza la massa del Sole non sarebbe in grado di sostenersi contro la propria gravità (questa massa è nota oggi come il limite di Chandrasekhar). Questo fatto aveva gravi implicazioni per la sorte ultima di stelle di grande massa. Se la massa di una stella è inferiore al limite di Chandrasekhar, la stella può infine cessare di contrarsi e stabilizzarsi in un possibile stato finale sotto forma di una nana bianca con un raggio di alcune migliaia di chilometri e una densità di una centinaia di tonnellate per centimetro cubico. Una nana bianca è sostenuta contro il collasso gravitazionale dalla repulsione prevista dal principio di esclusione fra gli elettroni nella sua materia. Una delle prime ad essere scoperta fu una nana bianca che orbita attorno a Sirio, la stella più luminosa nel cielo notturno.

Landau sottolineò che c'era un altro stato finale possibile per una stella con una massa limite di circa una o due masse solari, contratta però sino a dimensioni molto più piccole di quelle di una nana bianca. Anche queste stelle sarebbero state sostenute dalla repulsione prevista dal principio di esclusione di Pauli, in questo caso operante però fra neutroni e protoni anzichè fra elettroni. Queste stelle furono chiamate perciò stelle di neutroni. Esse dovevano avere un raggio di soli quindici chilometri circa e una densità di centinaia di milioni di tonnellate per centimetro cubico. 

 

 

 

 

 

7. Qual è l'evoluzione di una stella di massa molto elevata?

Il problema di capire cosa sarebbe successo ad una stella di massa superiore al limite di Chandrasekhar, il cui collasso gravitazionale non può essere arrestato dal principio di esclusione di Pauli, fu risolto per la prima volta da Oppenheimer, nel 1939, rifacendosi alla teoria della relatività generale.

Il campo gravitazionale della stella modifica la traiettoria dei raggi di luce nello spazio-tempo rispetto a quella che sarebbe stata in assenza della stella. I coni di luce, che indicano le traiettorie seguite nello spazio e nel tempo dai lampi di luce emessi dal loro vertice, passando in prossimità della superficie della stella vengono deflessi leggermente verso l'interno. Questo fenomeno della deflessione della luce proveniente da stelle lontane può essere osservato durante le eclissi di Sole. Man mano che la stella si contrae, il campo gravitazionale alla sua superficie diventa più intenso e i coni di luce si incurvano sempre più verso l'interno. Ciò rende più difficile alla luce della stella di allontanarsene, e la sua radiazione appare quindi sempre più debole e rossa a un osservatore lontano. Infine,quando la stella si è contratta sino a un certo raggio critico, il campo gravitazionale alla sua superficie diventa così intenso che i coni di luce vengono piegati verso l'interno a tal punto che la luce non può più evadere nello spazio. Secondo la teoria della relatività, nulla può viaggiare a una velocità superiore a quella della luce. Se quindi la luce non può sottrarsi a un buco nero, non ci riuscirà alcun'altra cosa; tutto viene trascinato all'indietro dal possente campo gravitazionale. Si ha dunque un insieme di eventi, una regione dello spazio-tempo, da cui non è possibile sfuggire per raggiungere un osservatore lontano. Questa regione è ciò che noi oggi chiamiamo un buco nero. Il suo confine è noto come l'orizzonte degli eventi e coincide con le traiettorie di raggi di luce che sono quasi sul punto di riuscire a fuggire dal buco nero.

 

 

 

 

 

8. Come possiamo sperare di scoprire un buco nero se questi oggetti, per definizione, non emettono luce?

Nel 1783 John Michell predisse che un buco nero esercita ancora una forza gravitazionale sugli oggetti vicini. Gli astronomi hanno osservato molti sistemi in cui due stelle orbitano attorno ad un baricentro comune, attratte l'una dalla forza di gravità dell'altra. Ci sono anche sistemi in cui c'è una sola stella visibile che orbita attorno a una compagna invisibile. Non si può saltare subito alla conclusione che la compagna è un buco nero; potrebbe essere infatti una stella troppo debole per risultare visibile. Alcuni di questi sistemi come Cygnus X-1, sono però anche intense sorgenti di raggi X.

La spiegazione migliore di questo fenomeno è che dalla superficie della stella visibile sia stata soffiata via dalla materia. Cadendo verso la compagna invisibile, questa materia sviluppa un movimento a spirale e diventa molto calda, emettendo raggi X. Perchè questo meccanismo funzioni, L'oggetto invisibile deve essere molto piccolo, come una nana bianca, una stella di neutroni o un buco nero. Sulla base dell'orbita osservata della stella visibile si può determinare la massa minima possibile dell'oggetto che si sottrae all'osservazione. Nel caso di Cygnus X-1 questa massa è circa sei volte maggiore della massa del Sole; si tratta dunque di una massa troppo grande, secondo i valori fissati da Chandrasekhar, perchè l'oggetto invisibile possa essere una nana bianca. Essa è troppo grande anche perchè possa trattarsi di una stella di neutroni. Pare, perciò, che ci troviamo veramente in presenza di un buco nero.

 

 

 

 

 

9. Come si può definire un buco nero?

La definizione oggi generalmente accettata è che un buco nero sia l'insieme di eventi da cui non è possibile sfuggire sino a una grande distanza, perciò il confine del buco nero (l'orizzonte degli eventi) è formato dalle traiettorie nello spazio-tempo di raggi di luce che non riescono per un non-nulla a evadere dal buco nero, rimanendo per sempre sospesi esattamente al suo margine. Se questi raggi di luce venissero inghiottiti dal buco nero, non potrebbero essere stati sul confine del buco nero. Detto ciò, i raggi di luce nell'orizzonte degli eventi dovrebbero sempre muoversi paralleli fra loro, oppure dovrebbero allontanarsi fra loro. 

Un altro modo di considerare questa situazione consiste nel vedere l'orizzonte degli eventi - il confine del buco nero - come il margine di un'ombra, il margine del destino incombente. Se si guarda l'ombra proiettata da una sorgente lontana, come per esempio in Sole, si vedrà che i raggi al bordo non si avvicinano l'uno all'altro.

Se i raggi di luce che formano l'orizzonte degli eventi non possono mai avvicinarsi l'uno all'altro, l'area dell'orizzonte degli eventi può rimanere la stessa o aumentare col tempo, ma mai diminuire, poichè ciò significherebbe che almeno una parte dei raggi di luce nel confine dovrebbero avvicinarsi l'uno all'altro. In effetti, tale area dovrebbe aumentare ogni volta che cadessero nel buco nero materia o energia. Inoltre, se due buchi neri entrassero in collisione e si fondessero a formare un singolo buco nero, l'area dell'orizzonte degli eventi del buco nero finale sarebbe maggiore o uguale alla somma delle aree degli orizzonti degli eventi dei buchi neri originari. Siccome l'area dell'orizzonte degli eventi aumenterebbe ogni volta che della materia cadesse in un buco nero, Bekestein suggerì che l'area dell'orizzonte degli eventi fosse una misura dell'entropia del buco nero. Ogni volta che materia portatrice di entropia fosse caduta nel buco nero, l'area dell'orizzonte degli eventi sarebbe aumentata, cosicchè la somma dell'entropia della materia fuori dei buchi neri e l'area degli orizzonti degli eventi non sarebbe mai diminuita. Questo suggerimento sembrava impedire che, nella maggior parte delle situazioni, venisse violata la seconda legge della termodinamica. C'era però in esso una pecca fatale. Se un buco nero ha un'entropia, dovrebbe avere anche una temperatura. Ma un corpo con una particolare temperatura deve emettere radiazioni ad un certo ritmo.

 

 

 

 

 

10. I buchi neri emettono radiazioni e/o particelle?

La risposta, ci dice la teoria quantistica, è che le particelle non provengono dall'interno del buco nero, bensì dallo spazio "vuoto" che si trova subito fuori dell'orizzonte degli eventi del buco nero!

Possiamo comprendere questa nozione nel modo seguente: quello che noi concepiamo come uno spazio "vuoto" non può essere completamente vuoto perchè ciò significherebbe che tutti i campi, compresi il campo gravitazionale e quello elettromagnetico, dovrebbero essere esattamente zero. Il valore di un campo e la sua rapidità di variazione col tempo sono però come la posizione e la velocità di una particella: il principio di indeterminazione implica che, quanto maggiore è la precisione con cui si conosce una di queste due quantità, tanto meno esattamente si può conoscere l'altra. Così nello spazio vuoto il campo non può essere fissato esattamente a zero, giacchè in questo caso esso avrebbe sia un valore preciso (zero) sia una precisa rapidità di movimento (zero anche in questo caso). Nel valore del campo dev'esserci una certa quantità minima di incertezza (indeterminazione), o di fluttuazioni quantiche. Possiamo concepire queste fluttuazioni come coppie di particelle di luce o di gravità che appaiono assieme in un qualche tempo, si separano e poi tornano a congiungersi e si annichilano reciprocamente. Queste particelle sono particelle virtuali come quelle che trasportano la forza gravitazionale del Sole: a differenza delle particelle reali, non possono essere osservate direttamente per mezzo di un rivelatore di particelle. E' però possibile misurare i loro effetti indiretti, come piccoli mutamenti nell'energia delle orbite degli elettroni negli atomi, e tali effetti sono in accordo, con un grado di precisione considerevole, con le predizioni teoriche.

Il principio di indeterminazione predice anche che ci saranno coppie virtuali simili di particelle di materia, come elettroni o quark. In questo caso, però, un membro della coppia sarà una particella e l'altro un'antiparticella (le antiparticelle della luce e della gravità sono identiche alle particelle). Poichè non si può creare energia dal nulla, uno dei membri della coppia particela-antiparticella avrà energia positiva e l'altro energia negativa. Quello con energia negativa è condannato a essere una particella virtuale di breve vita perchè in situazioni normali le particelle reali hanno sempre energia positiva. Esso dovrà quindi cercare il suo partner e annichilarsi con esso. Una particella reale in prossimità di un corpo di grande massa ha però meno energia che se si trovasse a grande distanza, in quanto per innalzarsi a una grande distanza contro l'attrazione gravitazionale del corpo dovrebbe consumare energia. Normalmente l'energia della particella è ancora positiva, ma il campo gravitazionale all'interno di un buco nero è così intenso che persino una particella reale può avervi energia negativa. E' perciò possibile, in presenza di un buco nero, che la particella virtuale con energia negativa cada nel buco nero e diventi una particella o antiparticella reale. In questo caso essa non deve più annichilarsi col proprio partner. Anche il membro abbandonato potrebbe cadere nel buco nero. Oppure, possedendo energia positiva, potrebbe fuggire dalla regione in prossimità del buco nero sotto forma di una particella o antiparticella reale. Un osservatore esterno lontano avrà l'impressione che essa sia stata emessa dal buco nero. Quanto più piccolo è il buco nero, tanto minore sarà la distanza che la particella con energia negativa dovrà percorrere prima di diventare una particella reale, e quindi tanto maggiori saranno la frequenza di emissione, e la temperatura apparente, del buco nero. L'energia positiva della radiazione in uscita sarebbe controbilanciata da un flusso di particelle di energia negativa che cadono nel buco nero. Per l'equazione di Einstein E=mc2 (dove E è l'energia, m la massa e c la velocità della luce), l'energia è proporzionale alla massa.

Man mano che il buco nero perde massa, l'area dell'orizzonte degli eventi si rimpicciolisce, ma questa diminuzione dell'entropia del buco nero è più che compensata dall'energia della radiazione emessa, così che la seconda legge non è mai violata.

Inoltre, quanto minore è la massa del buco nero, tanto più elevata è la sua temperatura. Così, man mano che il buco nero perde massa, la sua temperatura e il ritmo della sua emissione aumentano, con la conseguenza che esso perde massa ancora più rapidamente. Quel che accade quando la massa del buco nero diventa infine estremamente piccola non è del tutto chiaro, ma la congettura più ragionevole è che esso sia destinato a sparire completamente in un tremendo impulso di emissione finale, equivalente all'esplosione di milioni di bombe H.

 

 

 

 

 

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