Country:
Italy
Language:
Italian
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1.
Premessa
La parola conflitto nella nostra cultura
evoca immagini sgradevoli: fa pensare allo scontro, ad una contesa, ad
un disagio. Si tratta di visioni che in passato hanno teso a considerare
il conflitto come manifestazione di disfunzioni all'interno di una struttura,
come evento da reprimere o da prevenire. Il conflitto di per sé
non è né un bene né un male. Si tratta di un fenomeno
normale: può essere negativo o inefficace il modo adottato per
risolverlo. Tra le modalità di gestione di un conflitto sociale
è possibile utilizzare le tecniche della mediazione sociale. Infatti
ormai da diversi anni consolidate esperienze internazionali hanno messo
in evidenza come questa specifica modalità di interevento psicosociale
può contribuire ad una migliore, efficace e soddisfacente gestione
di una situazione conflittuale (AA. VV., 1995; Arielli, Scotto, 1998;
Castelli, 1996; Pisapia, Antonucci, 1997; Umbreit, 1995).
I programmi di mediazione, in generale, hanno lo scopo di aiutare le singole
persone o i gruppi in conflitto tra loro a confrontarsi sulla natura,
sui motivi e sugli effetti collegati alle tensioni sociali dal punto di
vista delle diverse parti coinvolte per trovare, ove possibile, una soluzione
che renda soddisfatti tutti gli attori partecipanti. L'obiettivo è
quello di restituire responsabilità sia a chi si è reso
promotore del conflitto, sia chi lo ha subito. In altri termini, per mediazione
di intende un processo mirato a far evolvere dinamicamente una situazione
di conflitto, aprendo canali di comunicazione che si erano bloccati (AA.
VV., 1995; Arielli, Scotto, 1998; Castelli, 1996; Pisapia, Antonucci,
1997; Umbreit, 1995).
Gli intereventi di mediazione sociale hanno lo scopo specifico di risolvere
i conflitti e le dispute interpersonali tra vicini o residenti in una
stessa comunità locale. La peculiarità di questo intervento
è che i mediatori possono essere i cittadini stessi, benché
specificamente formati, che, appartenendo al tessuto sociale, favoriscono,
quindi, un attivo protagonismo nelle persone finalizzato alla gestione
della conflittualità sociale. Si producono, in questo modo effetti
legati alla responsabilizzazione del territorio facilitando anche un maggior
senso civico in merito al vissuto di sicurezza/insicurezza sociale (AA.
VV., 1995; Arielli, Scotto, 1998; Castelli, 1996; Pisapia, Antonucci,
1997; Umbreit, 1995).
L'intervento di mediazione sociale favorisce un community empowerment,
ossia un potenziamento delle risorse del territorio per la gestione del
conflitto che non sia delegato alle agenzie di controllo formale ma piuttosto
ad un processo che "dal basso" favorisca un'assunzione di responsabilità
individuale e collettiva. Ciò costruisce competenze sociali, sentimenti
di compitezza individuali e fornisce una opportunità alle persone
per lavorare insieme su problemi concreti: le lamentele, i disagi individuali
possono essere trasformati in problemi collettivi.
Il processo di mediazione sociale fornisce un contesto garantito, in cui
il conflitto può essere compreso e a cui può essere data
risposta nel modo più soddisfacente possibile per entrambe le parti.
I mediatori sociali non risolvono il problema "dall'alto", ma
piuttosto favoriscono, facilitano, sollecitano un processo che permetta
ai disputanti stessi di essere pienamente e attivamente autorizzati ad
affrontare il conflitto con l'altro in modo costruttivo (AA. VV., 1995;
Arielli, Scotto, 1998; Castelli, 1996; Pisapia, Antonucci, 1997; Umbreit,
1995).
2.
Gli obiettivi del progetto
Alla luce delle questioni teoriche accennate in merito alla mediazione
sociale, obiettivo di questo contributo è quello di delineare gli
aspetti peculiare di un progetto sperimentale di mediazione sociale promosso
dall'Ufficio Roma Sicura del Comune in alcuni territori cittadini e gestito
da tre cooperative sociali.
Scopo principale del progetto è stato quello di realizzare un intervento
psicosociale per analizzare e gestire i conflitti sociali nei territori
interessati mentre gli obiettivi operativi del progetto, in questa sua
prima fase di attuazione, sono stati quelli di promuovere una diffusione
della cultura della mediazione sociale tra i cittadini e di individuare
possibili mediatori territoriali.
3.
Le fasi del progetto
Il progetto nel suo primo anno di attuazione si è articolato
nelle seguenti fasi:
A. analisi sistematica delle fonti ufficiali (sociologiche e statistiche)
relative alle tre zone, della durata di circa un mese. Questo lavoro iniziale
ha consentito di conoscere gli aspetti storici, culturali, urbanistici
dei quartieri; dati rilevanti, per esempio, sono state le informazioni
circa la storia della qualità degli insediamenti sia nei suoi aspetti
sociologici che strutturali. Per esempio, è sempre utile quando
si lavora in termini di mediazione sociale conoscere la composizione sociale,
culturale ed economica degli abitanti del quartiere, la loro eventuale
provenienza geografica, le ragioni dell'insediamenti nel quartiere, la
eventuale "ripartizione" ubicativi nel quartiere a seconda dei
diversi gruppi, ecc. Spesso, infatti, le ragioni di un conflitto sociale
appaino più comprensibile se le lenti dell' osservazione non sono
solo rivolte al "qui ed ora" del problema ma anche alle sue
motivazioni storico-culturali, economiche e sociologiche.
B. Osservazione partecipante dei territori da parte degli operatori del
progetto, i quali hanno effettuato una prima mappatura attiva dei quartieri
interessati, della durata di circa tre mesi. Questa fase si è proposta
lo scopo di rilevare direttamente le informazioni già raccolte
ma "teoricamente" nella fase precedente. Inoltre ciò
ha consentito un primo ingresso degli operatori nei tre territori in modo
poco intrusivo ma iniziando a farsi nei quartieri.
C. Realizzazione di interviste semistrutturate a testimoni privilegiati
(abitanti del quartiere, referenti del mondo dell'associazionismo, dell'impegno
civile, culturale, ecc.) sulla base di una griglia di lettura suddivisa
in quattro sezioni principali (caratteristiche socio-demografiche e urbanistiche,
la qualità della vita di quartiere, problematiche sulla sicurezza
urbana la mediazione sociale). Tale fase ha visto impegnati gli operatori
del progetto per circa tre mesi. Questa fase di lavoro ha permesso di
fare un'analisi dei bisogni dei cittadini ma anche di iniziare a presentare
gli scopi del progetto e quindi di iniziare ad allacciare relazioni sociali
che hanno successivamente consentito di attivare un processo di accreditamento
del progetto presso gli abitanti dei quartieri.
D. Alla luce delle informazioni raccolte nelle fasi precedenti, è
stato progettato un percorso formativo, protrattosi per circa due mesi,
che si è articolato in sei incontri (per un totale di 24 ore, per
territorio) veri e propri di formazione e un incontro per territorio di
presentazione dell'iniziativa. Questi percorsi formativi vanno considerati
come l'anello concettuale ed operativo di congiunzione tra l'ipotesi progettuale
e l'implementazione dell'intervento e hanno avuto l'obiettivo principale
di questi corsi formativi è stato quello di favorire il diffondersi
di una cultura della mediazione.
Il percorso formativo è stato rivolto ai cittadini dei quartieri
che sono stati invitati attraverso modalità sia formali che informali:
formali in quanto è stata data notizia del corso attraverso depliantes
e locandine; informali, nel senso che, attraverso i rapporti costruiti
nei mesi precedenti sui territori dagli operatori del progetto, si è
costruita la motivazione alla partecipazione del percorso formativo.
La composizione del gruppo dei partecipanti è stata pertanto eterogenea,
ciò ha rappresentato una grossa risorsa in quanto si è avuta
la possibilità di costruire un gruppo che fosse espressione sufficientemente
rappresentativa del territorio. Inoltre, in questo modo, si è potuto
osservare le diverse realtà locali da vicino nelle loro interazioni,
modalità comunicative e relazionali potendo, quindi, iniziare a
costruire delle ipotesi più concrete sia sulle arre di risorsa
dei territori sia su quelle problematiche e potenzialmente o già
attive in senso conflittuale.
La metodologia usata, di tipo attivo (simulate, discussione di gruppo
e in sottogruppo, ecc.), e la dimensione gruppale sperimentata ha consentito
di coinvolgere i cittadini in modo diretto, personale, non "vaso
da colmare" ma protagonisti del percorso formativo che riconquistano
le loro, già presenti, capacità elaborative e riflessive.
Il formatore ha assunto in questo senso una funzione di "facilitatore"
del processo formativo. Il gruppo si è quindi caratterizzato quindi
come spazio di lavoro per far emergere potenzialità, risorse, occasioni
di pensiero.
In linea generale, si può affermare che il corso di formazione
ha rappresentato non solo la possibilità per i responsabili del
progetto di raggiungere l'obiettivo di divulgare una cultura della mediazione
tra i cittadini, che partendo dal basso, che li renda veramente protagonisti
dei loro percorsi di responsabilizzazione comunitari e di iniziare ad
individuare possibili mediatori territoriali.
E. L'ultima fase del progetto è stata caratterizzata dall' apertura
di sportelli di mediazione, uno per ogni territorio al fine di sperimentare
effettive azioni di mediazione sociale, per circa tre mesi.
Attualmente gli operatori si trovano impegnati nella valutazione dell'intervento
al fine di verificare le scelte teorico-metodologiche effettuate e i processi
di mediazione sociale attivati. Tale valutazione tra l'altro servirà
anche al fine di riprogettare le nuove fasi dell'intervento.
Bibliografia
AA.VV. (1995), Dare un posto al disordine, Gruppo Abele,
Torino.
Arielli E., Scotto G. (1998), I conflitti, Bruno Mondatori, Milano.
Castelli S. (1996), La mediazione, Raffaello Cortina, Milano.
Pisapia G., Antonucci D. (1997) (a cura di), La sfida della mediazione,
Cedam, Padova.
Umbreit M. (1995), Mediating interpersonal conflicts: a pathway to peace,
CPI Publishir.
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