Introduzione

3 WMF ITALIA 2000

Il disagio dei minori accolti in comunità educative: la mediazione come sostegno alla famiglia e agli operatori.

DANIELA ZUDDAS


ABSTRACT

Home
Papers
   

Country:
Italy

Language:
Italian

L'esperienza quotidiana in un contesto educativo di comunità per minori evidenzia come il disagio giovanile spesso provenga da una conflittualità familiare, in cui il disagio, non necessariamente deriva da una situazione di divorzio dei genitori del minore. Si tratta per lo più di famiglie il cui nucleo è apparentemente "sano", ma nelle quali, in realtà, i componenti la famiglia vivono una situazione statica, di non crescita. Il conflitto, tra il minore e la sua famiglia, ostacola spesso l'intervento educativo degli operatori poiché rallenta nel ragazzo il processo di crescita e il superamento del disagio. Inoltre, anche gli operatori che ruotano attorno al minore vengono coinvolti dal conflitto che viene accentuato soprattutto dalla paura che la famiglia ha di perdere il proprio ruolo genitoriale. Paura, per altro legittima, alla quale non viene data la possibilità di essere espressa, ma che è addirittura celata dal conflitto. La Mediazione in tale contesto favorisce la condivisione del bene del minore da parte della famiglia e da parte degli operatori che si trovano a cooperare favorendo il processo di crescita, il superamento del disagio e il lenimento della sofferenza.

Dottore in filosofia, educatrice per minori, mediatrice, formatrice di mediatori, responsabile del "Servizio di Mediazione" (Cagliari)

 

"Il disagio dei minori accolti in comunità educative: la mediazione come sostegno alla famiglia e agli operatori."

 
 


Nella vita di ciascuno esiste un processo che è definito di socializzazione che svolge la funzione di determinare la compatibilità tra le varianti personali e il sistema di regole e di ruoli stabiliti socialmente. Tale processo consente ai giovani di raggiungere lo stato di adulto all'interno di un insieme condiviso di valori, di norme e di comportamenti. Il processo di socializzazione porta al consolidamento della personalità, attraverso il quale l'individuo acquisisce la propria identità cioè la sua capacità di differenziarsi dagli altri, definendosi come unità organica e stabile.
Parlare di formazione di identità, significa affrontare un discorso che riguarda tutti i periodi della nostra vita. Nello sforzo del passaggio dall'infanzia alla vita adulta un individuo costruisce la propria identità, ma è importante sottolineare che uno dei periodi della vita che corrispondono a questo passaggio, l'adolescenza, riveste un'importanza fondamentale di questo processo.

La costruzione della propria identità è legata certamente alla storia personale di ogni individuo: attraverso lo sviluppo e l'acquisizione di capacità, competenze fisiche e sessuali, attitudini intellettuali, affettive, culturali e relazionali. Ma affinché lo sviluppo dell'identità si realizzi è necessario adattarsi alle regole esterne, identificarsi o opporsi a persone o gruppi, interiorizzare stili di vita, norme e valori, e ancora inserirsi in una rete di rapporti. Attraverso tali processi ciascuno costruisce la propria identità e la definizione dell'immagine che avrà di sé stesso.
Sono molti gli studi che confermano che per l'adolescente è indispensabile avere un'immagine positiva di sé, ovvero acquisire la consapevolezza di essere apprezzato, amato, di possedere certe qualità. Perché questo possa realizzarsi dipende dalle esperienze che ciascun ragazzo farà, dalle relazioni che instaurerà con gli altri, ma soprattutto dall'appartenere a gruppi e ambiti sociali, il contesto, che possano offrirgli delle relazioni positive. L'identità negativa, al contrario, ovvero la percezione di non essere ben voluto e di essere mal considerato dagli altri, genera nel ragazzo un sentimento di malessere e di impotenza, il quale provocherà in lui sofferenza e disagio, che nella gran parte dei casi potrebbero condurlo a manifestare comportamenti oppositivi ed ostili.
L'adolescenza, in quanto processo di crescita, comporta anche un disagio fisiologico in cui il disorientamento, l'incertezza, le situazioni di ansia, la mancanza di valori, l'ambivalenza tra il bisogno di differenziarsi e distanziarsi dall'adulto e la necessità di poter contare su di una solidità affettiva, creano nel ragazzo un senso di profonda sofferenza. Tale sofferenza rischia di condurlo ad un comportamento deviante, soprattutto se proprio in questa fase viene meno la presenza degli adulti, che siano capaci di aiutarlo e sostenerlo nel complicato percorso dalla condizione infantile a quella adulta.

Alla base del disagio adolescenziale si ritrovano importanti fattori di rischio, quali il sistema dei valori, la debolezza della formazione psicologica, la debolezza dei sistemi relazionali significativi. In quest'ultima, rientra la famiglia d'origine dell'adolescente con le proprie fragilità educative, la difficoltà della comunicazione, dell'ascolto e della comprensione che spesso si aggiungono a situazioni sociali, economiche, culturali in cui è probabile che sussistano disoccupazione, povertà, basso livello di istruzione dei genitori, separazioni, conflitti familiari.
Quando il disagio del ragazzo risulta determinato da situazioni di trascuratezza da parte della famiglia, in cui i genitori risultano avere una personalità fragile o immatura, poco capaci di programmare l'educazione dei figli, e dove il ragazzo stesso fatica nel trovare risposte valide e ferme che lo aiutino ad attraversare la critica fase adolescenziale, può risultare particolarmente significativo per lui l'affidamento temporaneo a delle comunità di tipo familiare. Il ragazzo in esse avrà la possibilità di confrontarsi con valide figure adulte in grado di dargli i giusti strumenti e gli stimoli adeguati per affrontare al meglio il difficile percorso della sua crescita.

I modelli di intervento attuati in genere dalle comunità di tipo familiare tendono alla realizzazione di iniziative, capaci di individuare, stimolare e valorizzare le potenzialità del ragazzo, tali da offrirgli un "codice di comportamento" volto al suo reinserimento sociale e familiare.
Risulta così indispensabile per il ragazzo stesso il raggiungimento di quegli obiettivi legati alle sue esigenze personali: obiettivi sia all'interno delle comunità, come il seguire uno stile di vita corretto ed equilibrato, che all'esterno delle stesse, come scuola, corsi professionali, attività lavorative, attività sportive. Tali obiettivi hanno come scopo quello di rafforzare le motivazioni del ragazzo all'impegno, aiutandolo ad acquisire una maggiore sicurezza e padronanza di sé, soprattutto in quegli ambienti dove è possibile che abbia spesso sperimentato frustrazione ed emarginazione.

In questo delicato e faticoso percorso di maturazione è di fondamentale importanza per il ragazzo ospite delle comunità, la totale collaborazione da parte di coloro che sono coinvolti nel suo processo di crescita, in particolare modo con la sua famiglia di origine anche perché, nella maggior parte dei casi, a conclusione dell'intervento educativo il ragazzo farà rientro nell'originario nucleo familiare.
L'allontanamento dal proprio nucleo familiare è comunque un atto che genera, sia per il ragazzo che per i propri genitori, senso di perdita, di fallimento e svalutazione, oltre che la difficoltà di adattamento da parte di entrambi ad una situazione certamente diversa da quella precedente: il ragazzo si confronterà con un nuovo ambiente il cui lo "stile di vita" sarà differente da quello praticato finora, mentre i genitori si dovranno adeguare ad un nuovo modo di gestire la propria genitorialità.

Non è raro che i genitori vivano l'allontanamento dei propri figli, anche quando sono consenzienti, come atto che genera in loro un senso di minaccia alla propria identità genitoriale, sentendosi ingiustamente espropriati del figlio ad opera di "altri genitori". È quindi comprensibile che la famiglia crei una sorta di rivalsa e competizione nei confronti degli operatori delle comunità, mettendo così a rischio il percorso comunitario del ragazzo. Questa competizione crea anche un conflitto tra il minore e la sua famiglia, poiché si trova combattuto tra il vincolo affettivo familiare e il contesto della comunità che gli offre una realtà diversa con la quale confrontarsi (stimoli culturali e sociali migliori, maggiore e più costante attenzione ai suoi bisogni).

Per evitare che venga innescato questo tipo di dinamica, è importante che si trovino ulteriori modalità per un giusto coinvolgimento dei genitori al processo di crescita del proprio figlio: fiducia, rispetto e chiarezza sono le componenti di una giusta collaborazione tra le comunità e la famiglia. Collaborazione che risulterà utile e a vantaggio del ragazzo che non dovrà né mettere in discussione i suoi legami affettivi, né scegliere tra essi e la sua nuova condizione.
La mediazione, in tale contesto, in quanto sostegno alla famiglia e agli operatori, favorisce la condivisione del bene del minore da parte di coloro che sono coinvolti nel processo di crescita del ragazzo.

L'intervento del terzo neutro permette di creare un clima sereno in cui emerge la paura che la famiglia ha di perdere il proprio ruolo genitoriale, paura legittima alla quale non viene data la possibilità di essere espressa perché celata dal conflitto. L'emergere della paura, della sofferenza e del sentimento di perdita consentono ai genitori di rivalutare il ruolo delle comunità non vedendole più su un piano antagonista nel processo educativo del proprio figlio. Contemporaneamente, emerge anche il ruolo effettivo degli educatori che non si pongono come sostituti dei genitori, anche se il loro ruolo li porta ad adempiere a funzioni genitoriali.

Nel caso specifico, il caso di mediazione socio-educativa tra famiglia ed operatore che viene proposto, è il risultato di una serie di incontri avvenuti presso il Servizio di Mediazione tra i mediatori, vari professionisti (psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, psico-oncologi, psicologi del lavoro, educatori, facilitatori di gruppo, insegnanti) e diverse associazioni, quali Alcolisti Anonimi e Al-anon.
L'obiettivo degli incontri, che si svolgono con frequenza più o meno mensile, è di diffondere la cultura della mediazione e non limitare la sua pratica alla mediazione familiare, ma ampliare il suo campo di azione. Tali incontri hanno portato ad una collaborazione con alcuni professionisti con i quali si sono potuti operare degli interventi in ambito sociale, socio-educativo, scolastico e comunitario.

La mediazione del caso proposto è avvenuta tra gli operatori di una comunità per minori e la famiglia di un minore ospite della comunità. Alla base del conflitto c'era la rabbia e il senso di tradimento da parte della famiglia per non essere stata né informata né coinvolta nella decisione, presa dal Servizio Sociale, di inserire il proprio figlio presso una comunità. La richiesta, fra l'altro, era stata fatta esplicitamente all'assistente sociale dallo stesso ragazzo (creandogli un profondo senso di disagio e sofferenza), il quale da tempo non riusciva più ad avere un rapporto positivo con i genitori.

L'intervento di mediazione ha consentito alla famiglia di: chiarire le motivazioni che hanno determinato la scelta del Servizio Sociale; recuperare la propria "posizione" di genitori; essere più disponibili a porre in discussione e modificare gli atteggiamenti verso il figlio. Agli operatori ha consentito di poter creare le basi per una collaborazione con la famiglia al processo educativo e comunitario nell'interesse del ragazzo. A seguito della mediazione, il ragazzo, pur non essendo stato coinvolto personalmente nel processo di mediazione, ha ottenuto comunque il vantaggio di superare il senso di tradimento che aveva nei confronti della famiglia, riallacciando i rapporti con essa.







 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Search Home Papers
Credits Sponsors Agenda
 
Elenco contributi Ricerca relazioni top page