REGALATI
Nei panni di mia moglie
di A. Saviano
Nei panni di mia moglie - Andrea Saviano
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ISBN 88-7568-298-4
EDITRICE NUOVI AUTORI
via G. Ferrari, 14
20123 Milano (MI)

Guepiere

di Andrea Saviano
SOMMARIO
00 - Scenda il silenzio, si alzi il sipario! Breve, si fa per dire, preambolo [G]
01 - Abbia quindi inizio la commedia [G]
02 - Poche idee, peraltro confuse [G]
03 - Margherita non è una pizza [M]
04 - Una tipica prima colazione italiana [G]
05 - Il gusto un po' dolce e un po' amaro della realtà [G]
06 - Margherita ieri, oggi e domani [M]
07 - Le mie mille e una notte [J]
08 - Sperduto, nell'Impero dei sensi [G]
09 - And now, on the road again [G]
10 - Casa, dolce casa! [G]
11 - Un accadimento imprevisto[G]
12 - Il tocco della medusa [J]
13 - Home, sweet home! [G]
14 - Mi girerebbero, se solo le avessi [M]
15 - Ciack, si gira! [G]
16 - Un evento imprevisto [G]
17 - Credevo fosse solletico, invece eran solo carezze [G]
18 - Desperate housewives, the day after [M]
19 - Quando è il pedone vuole andare a regina [G]
20 - Quando è il re a dare scacco a se stesso [G]
21 - Il pezzo più importante a scacchi è la regina [J]
22 - Il prete bello [G]
23 - Jogging, that women love [M]
24 - Pentiti, figliuolo pentiti! [G]
25 - Sono fra’ Stornato [A]
26 - Ti ricordi di me? [M]
27 - Libera nos a malo [G]
28 - Sai tenere un segreto? [M]
29 - Versane ancora uno, Sam [G]
30 - Scusmi, bat ai dont spic inglish, ser [G]
31 - Un'opinione, non un consiglio: fa' la cosa giusta [G]
32 - Il ripiegare in ordine non è mai il segno di una ritirata [G]
33 - Una ritirata in disordine si chiama una disfatta [G]
34 - Col ferro e col fuoco! [M]
35 - Invito a cena con diletto [G]
36 - Cielo, mio marito! [G]
37 - Il patto scellerato [G]
38 - Con parole mie [G]
39 - Al club privè [G]
40 - Sesso, droga e lap-dance [G]
41 - Svengo subito [G]
42 - Più una questione di bendaggi che di bondage [G]
43 - Confessioni di una mente pericolosa [J]
44 - I love boxing, Margherita Vs Jasmine [M] 45 - Dire, fare, pregare [M]
46 - Viaggio in sidecar alla scoperta della felicità [G]
47 - Tutto è bene, quel che finisce bene [A]
copertina di Guepiere

PREFAZIONE

La storia inizia con un corto preambolo, quasi una presentazione di una commedia del teatro shakespeariano, nel quale Giammarco Bondi, introduce la vicenda e si presenta al pubblico. Altrettanto faranno Margherita Delprato e Jasmine Perhãria-Svolatzho, le altre due protagoniste della vicenda.
Giammarco è un marito modello, ma si lascia persuadere dall'idea di realizzare una liaison-dangereuse a tre (lui, lei e l'altra) per aggiungere alla vita un qualcosa di particolari che renda il semplice termine tradire qualcosa di più forte dal punto emotivo come: tra-sgre-dire.
Un incidente d'auto e la conseguente botta alla testa porterà il protagonista a vivere in uno stato di continua allucinazione, con tanto di visioni oniriche, che renderanno il confine tra realtà e fantasia del tutto inconsistente.
Compaiono così altri stravaganti personaggi che il lettore ha difficoltà a capire se sono effettivamente reali o creazione della percezione alterata della realtà del protagonista.
In particolare spicca la figura di un amico del periodo dell'adolescenza Adone Kastïg che è diventato uno strano santone: Fra' Stornato. Un frate che letteralmente perseguiterà il protagonista, fungendo da coscienza o, meglio, da “grillo parlante” di questo moderno Pinocchio.
I continui colpi di scena caratterizzano la narrazione, sempre mantenuta scorrevole e interattiva dagli improvvisi dialoghi tra Giammarco e il lettore, perché (come asserisce il protagonista nella premessa) lui si propone come il trovatore che racconta delle scene dipinte su una lunga staccionata.
Il lettore così ha appena il tempo di divertirsi ed illudersi, per rimanere deluso dagli eventi che volgono in modo completamente diverso dalle attese ed essere sorpreso del colpo di scena che riporta, per così dire in carreggiata, le altalenanti vicende.
Quando il racconto sembra volgere alla fine (la differenza tra ciò che sembra e ciò che è, risulta essere la caratteristica dominante in questa storia), una nuova virata realizza il vero gran finale, che tuttavia, come una terza di copertina che si sollevi rivelando altre pagine nascoste, lascia il sospetto che il libro continui dietro quella piega, lascia al lettore una serie di dubbi su come in realtà si sia svolta la vicenda.
La tecnica di scrittura è quella che rende lo stile dell'autore quasi unico, con un uso delle note a piè di pagina per interagire con il lettore.


Scenda il silenzio, si alzi il sipario! Breve, si fa per dire, preambolo

Non rammento l'istante preciso in cui la cosa ebbe inizio, so solo che ormai da parecchi giorni mi ritrovavo a sostare per ore e ore davanti a, per voi, un negozio e, per me, il negozio. Quel negozio era ed è il “The thousand nights and a night”.
Ormai da parecchi giorni per chiunque transitasse da quelle parti era consueto assistere alla seguente penosa scena: io con il naso appiccicato alla vetrina di quel negozio, lo sguardo smarrito in un punto imprecisato dell'interno e la mente persa altrove.
Il fatto che mi trattenessi in quel modo dinnanzi ad un negozio chiuso che presentava un'esposizione di manichini femminili con “addosso” dell'intimo per così dire “provocante”, non deponeva certo a mio favore.
Cos'altro potevo essere agli occhi di un ignaro passante se non uno dei tanti tipici esempi di depravazione dovuta a questi “tempi moderni”.
Le madri vedendomi tiravano a sé le figlie. Le signore di una certa età giudicavano la cosa ai loro mariti semplicemente con un insulto diretto alla mia persona. I mariti assentivano, tuttavia se li rincontravo da soli mi dimostravano solidarietà e commiserazione. Il loro non era un sentimento di pietà, piuttosto credo che li angosciasse il quesito di come un uomo piacente e ancora nel fiore dell'età potesse ridursi in quello stato.
Già, visto da fuori sembravo questo: un caso umano pietoso, ma le vicende che vi andrò a raccontare spiegheranno meglio la cosa.
In quella fase del giorno in cui si è già consumato un modesto pranzo, ma è troppo presto per riprendere il lavoro cosa può fare un uomo insano di mente se non recarsi davanti a quella bottega e posare inizialmente gli occhi sui più seducenti tra i manichini, dissimulando un ambiguo interesse per la merce esposta in vetrina. Devo confessare che il mio sguardo proseguiva in realtà oltre, volando ben più in là degli scaffali. Le mie curiose pupille dribblavano i reggiseno e superavano brillantemente anche i più disinibiti perizoma, perché la mia meta era più in là.
Come un Annibale davanti alle Alpi sogna Roma in fiamme, così il mio sguardo valicava il virtuale confine tra sogno e realtà, quando arrivava al bancone.
Certo Annibale voleva appiccare fuoco a Roma, mentre io a quella vista avvampavo.
Siccome so già che sarete sconvolti dal fatto che avvampassi alla vista di un bancone e non della biancheria intima femminile, vi spiego meglio come stavano e stanno le cose.
Dietro quel bancone, nel normale orario di lavoro, spesso c'era e c'è una commessa, una donna con la D maiuscola che per me era ed è ben più di una scommessa.
Questa ridicola e un po' patetica “messa in scena” che allestivo in repliche sempre uguali tutti i santi giorni, s'era ormai trasformata in un vero e proprio rito quotidiano. La pantomima procedeva lungo questo semplice canovaccio: subito dopo il panino c'era questo pellegrinaggio di fronte a quella rivendita di abbigliamento intimo.
Tutto ciò al solo scopo di adorare la dea che alimentava la mia fantasia con una sottile aura di perversione trasgressiva. Non pensiate che tradire e trasgredire siano due termini che si possano fondere in un solo nome e cognome: il mio. Io sono il tipico padre di famiglia, tutto casa e lavoro e, a pasqua e natale, persino chiesa.
Le mie fantasie, come tante vestali, alimentavano il sacro fuoco che albergava nel tempio di quella dea.
Simile a una piccola ameba, una strana idea s'era inoculata nel mio cervello qualche mese addietro e ora divorava le mie meningi neurone dopo neurone, in una sorta di “malattia”.
Il motivo apparente, quello che probabilmente vi ha indotto allo scandalo, è probabilmente insito nel fatto che quel luogo trasudava sensualità femminile o, in alternativa, maschile, tuttavia l'osservatore ben pensante sarebbe forviato da queste considerazioni, è dunque mio compito riportarvi sulla retta via, perché gli avvenimenti non stanno affatto così. Da bravo cronista della vecchia scuola faccio il punto.
Conosciuto il dove e il quando, sarete di sicuro incuriositi dal perché o dal come ma, forse e sopratutto, state letteralmente andando fuori di testa per conoscere il chi di tutta questa “losca” faccenda. Affrontiamo queste questioni una alla volta.
In quanto al perché io effettuassi questo mio ormai abituale “pellegrinaggio”, che scandiva come un tic o un tac (questo a vostra discrezione) le fasi della mia giornata di lavoro, mi spiace deludervi, esso non accadeva per una vera e propria perversione (quale può essere il feticismo, ad esempio), ma per qualcosa di più turpe e, al tempo stesso, banale: l'idea del... tra(sgre)dire.
Insomma, io posavo il mio grosso, grasso naso su quella vetrina al solo scopo di permettere alla mia vista di posarsi poco oltre quell'inconsistente muro di vetro e poter immaginare qualcosa di fittizio e al tempo stesso perverso.
Restavo immobile ad osservare qualcosa, anzi qualcuno, che pur non essendoci, rappresentava il mio personale demone della perdizione.
Muovendo un passo alla volta, il mio sguardo dribblava i manichini, oltrepassava i manifesti riproducenti giovani e avvenenti ragazze dallo sguardo languido e in “abbigliamento” lascivo, quindi proseguiva (a volte sicuro a volte incerto) fino a quella che io solevo definire la linea dell'orizzonte che custodisce ormai il mio incerto avvenire.
Un bancone, direste voi. Un altare, direi io. Un'ara pagana che in quei giorni era in grado di disegnare di volta in volta nuove curve spazio-temporali per descrivere miriadi di virtuali e differenti possibili avvenimenti futuri.
Concedendomi una licenza poetica: un “colle” che tanta parte del mio sguardo escludeva dalla realtà e al di là del quale m'era dolce naufragare tra un'infinità di miei differenti e possibili domani che vi si potevano celare.
Orbene, dietro quella invisibile piega del destino, la mia fantasia era affrancata dalla morale e libera di spiccare il suo lascivo volo. Quindi, direi che anche il come è stato chiarito, resta piuttosto confuso il perché e di certo non s'intravede ancora il chi di tutto questo ambaradan.
Senza che la fervida fantasia di qualche lettore corra oltre il dovuto, devo subito porre i primi paletti della lunga palizzata sulla quale vedrò:

Cantami o diva, recita un antico poema e così io, quasi fossi un trovatore dei tempi passati, farò con voi.
La storia in sé sarebbe talmente semplice che basterebbe la geometria a descriverla: un triangolo.
Lui (che sarei io), lei (la mia consorte) e l'altra (pronome per ora indefinito, il cui numero è indubbiamente singolare e il cui genere è innegabilmente femminile).
Così, seppure in parte, anche il chi è stato svelato.
A questo punto avverto i genitori più premurosi, quelli che tengono i propri figlioli nella bambagia per sottrarli alla vita, quasi che la vita poi non possa raggiungere i loro delicati figlioli, che non si preoccupino, che in realtà non si tratta di un racconto osceno, né di qualcosa d'eccessivamente perverso.
Semmai un termine esiste per definire queste vicende quello è: una storia un po' “pruriginosa”.
Insomma cosa volete possa mai fare un'innocua punturina di zanzara.
Un qualcosa a cui si può porre facilmente rimedio dandosi una “grattatina”, se si è nelle condizioni di tradire, o con un lenitivo, se si preferisce invece la fedeltà a tutti i costi.
Vista la mia “malattia” mentale, preciso l'aggettivo “innocua”.
Pur essendo io un illetterato, ho appurato che esso è un composto di un prefisso, che sta davanti, e di un aggettivo, che a questo punto sta ovviamente dietro.
Il prefisso in- è una negazione, mentre l'aggettivo nocuus che significa nocivo. Quindi è innocuo qualcosa che non nuoce.
Qualcosa di simile per molti versi a innocente, esente da colpe.
Ora chi immagina solamente un tradimento non solo compie qualcosa d'innocuo, ma è anche innocente!
Restiamo nella semantica. Immaginare vuol dire concepire con la mente, ora se pensare non è reato, meditare a lungo qualcosa prima di metterla in atto non solo lo è, ma ne costituisce un aggravante.
È qui che io m'arrovello, perché il temine colposo, che deriva chiaramente da colpa, indica qualcosa di meno grave, perché si tratta di qualcosa che avviene per imprudenza o per negligenza, ma senza volontà di nuocere.

* * *

« Signor giudice, signori della corte. Mai e poi mai avrei potuto immaginare che quando ho estratto il mio “gioiello” questa signora, che io affermo di non conoscere, sarebbe potuta scivolarci maldestramente sopra. In quanto al fatto che mi trovassi nel letto della signora in questione, c'è una spiegazione che voi tutti troverete logica. Può mai un uomo colto da improvvisa stanchezza rendersi conto d'aver sbagliato casa, stanza e letto? La mia risposta è sì! »

* * *

È quindi chiaro che le mie fantasie non sono e non erano legate ai capi esposti, ma a colei che tali capi espone e vende.
In sostanza, non erano solo gli indumenti a stimolare pensieri “peccaminosi” nel mio “virtuoso” animo di “buon padre di famiglia”. C'era molto di più.
La causa scatenante della mia eccitazione (insomma l'agente patogeno) non risiedeva né nel tipo di negozio, né nella merce esposta, ma molto più semplicemente e trivialmente nella proprietaria.
Il nome?
Jasmine!
Bel nome vero?
Ovviamente una donna, femmina fino al midollo aggiungerei, di poco meno di trent'anni.
Verosimilmente ventisei, sparando una cifra a caso.
Una donna senza alcuna prerogativa particolare eccezion fatta per essere, a mio modesto avviso, “carnale” in un modo inverosimile e, per quel che riguarda le mie vicende, addirittura devastante.
Mi sembra di percepire una lieve perplessità...
Forse, è meglio se spiego, senza ricorrere alla semantica, il senso dell'aggettivo carnale che ho utilizzato per descrivere la signora in questione.
Ora, nel mio personale vocabolario al termine carnale si può leggere come: generosa nelle “giuste” forme da essere più callipigia che giunonica.
Per chi non conoscesse il significato del termine callipigia (lo era Venere per intenderci) la locuzione “curve ottime ed abbondati” sarà forse di più facile comprensione. Tuttavia, se il lettore avesse l'accortezza di ricorrere a un buon dizionario, permetterebbe al proprio intelletto di progredire ben oltre alla consueta mediocrità.
A dirla tutta, Jasmine non era solo questo.
Circondata com'era da tutto quell'intimo femminile di varie fogge e di differenti tessuti, lei rappresentava per me l'idea stessa del... lo so, adesso scandalizzerò i più bigotti tra i lettori: sesso.
Riallacciandomi al trovatore di cui sopra: ella era il tormento e l'estasi che deliziavano le mie quotidiane fantasie e contraddistinguevano ogni mio immorale sogno ad occhi aperti.
I sintomi della malattia c'erano tutti:

Siccome intravedo i primi sbadigli, è meglio tornare all'oggetto, anzi al soggetto, di tutto questo lungo e tedioso preambolo.
Perché quella Femmina tra le femmine risvegliasse in tal modo i miei più virili istinti era semplice, perfino scontato: mia moglie.
Come sempre accade nella vita, la mia lei era l'esatto contrario di Jasmine.
Non che il mio fosse un matrimonio infelice, tutt'altro!
Dal giorno in cui Margherita, il nome della mia dolce consorte, e Giammarco avevano annunciato ad amici e parenti la data del loro matrimonio, non credo che nessuno dei due si fosse mai pentito di quel “folle” gesto. Sia sentimentalmente che sessualmente tra lei e me c'era una notevole intesa. Allarghiamoci! Persino della sana complicità.
Ciò nonostante Margherita era il nome di un delicato fiorellino e Jasmine – anche se, a onor del vero, vuol dire gelsomino – in me evocava situazioni esotiche da mille e una notte.
In poche parole, quella donna era il mio sogno proibito. Una specie di tarlo che giorno dopo giorno erodeva la fedeltà del mio amore coniugale e indeboliva la mia struttura psichica.
Quasi il mio attaccamento a Margherita fosse stato un'antica cattedrale sorretta da contrafforti in pietra e possenti architravi di legno, il cui legname però fosse ridotto ormai a un colabrodo di fori e segatura.
In questo modo il mio stato di prostrazione mentale era facilmente descrivibile: una cattedrale dal pavimento seppellito da montagne di polvere di polvere di legno.
Se v'incuriosisce conoscere perché un probo marito, un riverito padre di famiglia coltiva l'idea di mancare alla promessa, data il giorno del matrimonio, di fedeltà monogamica; la risposta breve no la so, la risposta lunga è proposta di seguito ed è la mia storia.


I - Abbia quindi inizio la commedia

Il tempo di parcheggiare l'auto e dirigermi verso il cantiere quando eccomi davanti alla vetrina maledetta e, oltre il vetro, oltre i manichini, oltre il bancone: lei!
« Gianmarco, non ti fermare. Tira dritto! » fu l'imperativo categorico che mi diedi.
Un attimo dopo, la stavo fissando tutto eccitato, conscio di quanto fossi ridicolo. Per quanto tentassi d'impormelo, ero incapace d'assumere un aspetto più dignitoso di quello di un cane affamato e scodinzolante di fronte ad un grosso e polposo osso.
Lei era al bancone, sorridente come sempre.
Nonostante la cosa andasse avanti da giorni, non credo che lei avesse mai preso atto di quel mio “bizzarro” comportamento. L'avevo notata il giorno stesso in cui avevamo iniziato quel lavoro di ristrutturazione all'edificio che ospitava, tra le altre, anche la sua attività commerciale: un piccolo negozietto su due piani di biancheria maschile e di lingerie femminile. Dapprima l'avevo adocchiata, poi attentamente osservata ed infine radiografata.
Ne conoscevo alla perfezione i gesti e le espressioni del volto.
Ripensandoci, non riuscivo a ricordare un solo giorno – fosse stato anche di nebbia o pioggia – in cui lei avesse una faccia triste o anche solamente velata di malinconia. Non era una questione della piega della bocca, perché persino gli occhi di quella donna sorridevano!
A dire il vero all'anulare della sua mano sinistra risaltava il bagliore (un po' opaco però) di una fede nuziale, ma io non ero mai riuscito né a vedere né tanto meno a intravedere questo fantomatico marito.
Tornando ai fatti, la quotidianità dei nostri incontri ci aveva condotto, giorno dopo giorno, dai freddi e asettici “buongiorno”, ai meno formali “salve”, sino alla consuetudine insita in un “ciao”. Un ciao che ultimamente aveva aperto la via a qualche informale “tutto bene?”.
La vera svolta era avvenuta solo un paio di settimane fa, quando il peccato era andato a trovare l'eremita dando il via ad una vera e propria tradizione.
Alle ore 10:00, lei aveva preso la pessima – per me – abitudine di fermarsi sotto l'impalcatura, picchiettare sui tubi innocenti per richiamare la mia attenzione e attendere il mio trafelato arrivo per scambiare quattro chiacchiere prima di andare al bar a prendersi un caffè.
Chissà perché, ma le donne amano particolarmente la compagnia degli adulatori.
A onor del vero, la settimana scorsa è capitato l'irreparabile. No, non ho avuto il coraggio di fare io delle avance, c'è che lei m'ha invitato ad andare insieme a prendere un caffè.
Ora, la tazza con il caffè al suo interno è chiaramente un simbolo sessuale femminile. Fatta eccezione per le zitelle e le racchie, che acide come sono lo bevono amaro, le donne vere bevono il caffè mettendoci qualcosa dentro... per poi mescolare il tutto con il cucchiaino che è chiaramente un simbolo fallico!
Insomma, se una donna vi invita a prendere un caffè e siete un uomo, in realtà vi ha proposto ben altro.
Pertanto, a raccontarla proprio tutta, da qualche giorno, anche quando lei decideva di concedersi una semplice pausa, picchiettava sull'impalcatura. Quello in codice era il messaggio che lei desiderava avere un po' di compagnia al bar, perché – come tutti sanno – il caffè deve essere bevuto: da sedente, bollente, per niente ma anche in buona compagnia. Solo che da qualche giorno lei preferiva ad una compagnia generica – chiunque – una compagnia specifica – qualcuno.
Insomma, nel giro di una settimana la mia giornata di lavoro s'era riempita di così tanti happy-hour che potevo tranquillamente parlare più sinteticamente di un happy-day.
Qualcuno dalla buona memoria a questo punto si starà ancora chiedendo cosa stessi facendo impalato davanti a quella vetrina, invece di essere al lavoro.
Ecco, ero prima salito e poi sceso dall'impalcatura per ispezionare lo stato d'avanzamento dei lavori.
Che cosa centra tutto questo con il soffermarsi a squadrare da capo ai piedi la negoziante?
Orbene, quello era il gesto con cui iniziavo e concludevo abitualmente ogni mia giornata di lavoro!
Fermarmi davanti a quella vetrina ad osservarla, era come timbrare il cartellino. Ecco perché questo era diventato il gesto con cui iniziavo e ultimavo ogni mia giornata di “lavoro”.
Lì la routine quotidiana si spegneva e s'accendeva un fantastico mondo fatto di sogno. Un universo parallelo in cui io, marito fedele, diventavo il più trasgressivo tra gli uomini.
Un peccatuccio veniale che consisteva nel nutrire la mia affamata fantasia. Prima lo spirito e solo dopo il corpo!
Lasciando da parte il passato e venendo al presente, stavo per tornare a casa. Impegni urgenti e improrogabili!
Fin qui nulla di diverso dal solito, cioè dal passato, sennonché quella sera, probabilmente, avrei messo in atto il mio folle progetto.
In un modo o nell'altro mi sarei dimostrato il più fedele tra i mariti, anche se mi sarei sentito definire da mia moglie in vari modi, da "allupato" a “zoticone” passando per tutto l'alfabeto.
Ebbe sì, era mia intenzione confidarle la “pazza idea” che lentamente era maturata dentro di me in tutti quei giorni. Rimasi lontano fino a sera da quel luogo di tentazione, preferendo una lunga passeggiata nel parco cittadino. Poi, ricolmo d'ansia, montai sul furgone.
S'accese con difficoltà, quasi mi suggerisse che per questa sera sarebbe stato meglio non rincasare o perlomeno soprasedere su certe strane idee, ma alla fine il motore s'avviò.
« Alea jacta est! » dissi a gran voce nell'abitacolo.
Lungo tutto il tragitto non feci altro che grattarmi la testa, quasi la previsione di cosa sarebbe accaduto una volta rivelate a mia moglie le mie intenzioni mi pizzicasse il cuoio capelluto peggio di mille pulci.
Provai a riflettere convincendomi dei due punti chiave della mia decisione:

Quindi passai all'argomento critico:

Mi feci coraggio pensando che, dopotutto, le avrei semplicemente presentato il mio bizzarro capriccio come una semplice fantasia.
No, avrei introdotto l'argomento in termini generici. magari verificando nel suo sguardo se ci fosse o meno uno spiraglio per poter trasformare quell'insano desiderio in un qualcosa di più concreto.
Alla fine, premeditando le cose, queste vengono meglio che improvvisandole!
Avrei voluto soffermarmi un po' di più su queste congetture, ma ero già smontato dalla macchia e, passo dopo passo, ero giunto davanti a casa mia. La mia mano aveva afferrato per abitudine le chiavi, ne aveva inserita una nella serratura e l'aveva fatta girare.
Sarebbe bastato restare immobili a riflettere un altro pochino, invece la porta ora se ne stava spalancata davanti a me e, oltre quella soglia, l'incognito.
Perché non ero stato razionale? Dov'ero in realtà? Poco importa che la mia mente fosse altrove, il mio corpo era là, quindi avanzai.
Entrai a casa e, posando il giubbotto all'attaccapanni, mi soffermai un attimo davanti allo specchio posto nell'ingresso, rimanendo a fissarmi perplesso.
« Ma che razza d'uomo sono!? » mi domandai, « accidenti, sembro uno dei miei figli! »
Avevo la stessa espressione che spesso ravvisavo in loro, quando avevano combinato (o stavano per combinare) una marachella. Soprattutto quando erano pienamente consapevoli delle conseguenze e della probabile, quanto logica, punizione.
Poi dicono mater semper certa est, pater numquam!
Tirai un lungo sospiro, facendomi coraggio, quindi proseguii la mia via-crucis verso la cucina, sperando inutilmente che il tragitto fosse lungo, anzi interminabile.
Non appena fui sulla soglia, mi ritrovai ad evitare d'incrociare lo sguardo di mia moglie.
Pur non avendolo colto, lo avvertii come insolitamente "severo" e indagatore.
Provai a verificare la cosa, ma non riuscii a sostenerlo nemmeno per un secondo. Abbassai i miei occhi prima in direzione del pavimento, alla ricerca di qualche briciola, ma non ve ne trovai. Poi li alzai verso un imprecisato luogo di quella stanza, dove potesse celarsi una ragnatela.
Insomma cercavo una doppia opportunità: non incrociare lo sguardo della mia legittima consorte e iniziare un discorso partendo da qualcosa di banale.
Poiché nemmeno di ragnatele c'era traccia , feci finta d'essere alla ricerca di qualcosa che plausibilmente potesse trovarsi in quella stanza.
« Gianmarco, si può sapere cos'hai? » mi sentii chiedere, « se ti serve qualcosa, basta chiedere? »
Santo cielo! O per Margherita ero un libro aperto o, molto più probabilmente, durante l'attraversamento del corridoio, non avevo lasciato attaccata allo specchio quell'espressione da “bimbo che ha rubato la marmellata”.
Dovevo inventarmi al più presto qualcosa del tipo: negare sempre, negare tutto.
Visto che davanti a me avevo Miss Marple, per crearmi l'alibi perfetto, tentai d'essere evasivo. « Oh, niente, Margherita, te ne parlo dopo. Adesso non credo sia il momento giusto. »
Lei mi fissò dolce, ma al tempo stesso perplessa, come qualcuno che ti vuole bene e si stia chiedendo: "santo cielo, in che casini si sarà mai messo?".
Probabilmente avevo scelto un tono un po' troppo serio e preoccupato per quel tipo di risposta, trasmettendo l'impressione – errata – che si trattasse di qualcosa di realmente importante, magari relativo al lavoro o, peggio, ai figli. Così tentai di rimediare al guaio fatto e dissi: « Dai, cara, non avere quell'espressione preoccupata. Non si tratta di nulla d'importante. Una cosa che m'era passata per la testa oggi, al lavoro, ma adesso mangiamo, non possiamo far tardare i bambini! »
Qual'è la madre che alla parola: figli, non mette tutto in secondo piano, anche il proprio marito?
Con quest'arrocco avevo, per il momento, evitato lo scacco matto.
La cena fu consumata fin troppo in fretta per quelli che erano i miei desideri di dilatare il tempo.
Nessuna preoccupazione, avevo degli altri assi nelle mie maniche.
Di solito preparavo io il più piccolo per la notte e ci impiegai più del previsto, il che si rivelò un punto a mio favore, perché ebbi tutto il tempo per riflettere sulla reale consistenza delle mie intenzioni.
« Adesso, che cosa mai vorresti fare? » mi domandai mantenendo un tono di voce sommesso per non svegliare mio figlio che finalmente s'era addormentato.
Per l'appunto, quali erano le mie reali intenzioni?
Perché io parlo, discuto e m'infervoro, ma solo adesso m'accorgo che ho dato troppe cose per scontate.
Tutto annunciato e pianificato, come se si trattasse di uno di quei romanzi beceri dalla trama prevedibile?
Quelli che sembrano l'ennesima copia di un racconto già letto, quasi l'autore non avesse fatto altro che utilizzare un ciclostile per scriverlo?
Credo sia meglio per tutti se riprendo il bandolo della matassa dal suo inizio, quindi mettetevi comodi.


II Poche idee, peraltro confuse

Avete presente un'altalena? Che c'azzecca l'altalena? Mi si consenta di spiegarvelo. Innanzitutto Jasmine.

“Ritrovarsi e dirsi ciao” o un “venga a prendere il caffè... da noi” non avevano alcun legame con il fatto che lei fosse disponibile ad iniziare una relazione o ad avere una semplice avventura con me.

Poi c'era Margherita.

Proporle qualcosa così di botto, senza aver perlomeno sondato il terreno era un'idea a dir poco folle.

Quindi il fulcro della questione: Gianmarco, cioè io.

Già, come intendevo portare avanti la cosa?
Perbacco, vi sto confondendo le idee, me ne rendo conto perché mi sto mandando in confusione da solo Innanzitutto vi devo "spifferare" in cosa consisterebbe la mia "impudica fissazione".
Ecco, da parecchi giorni ormai, il mio chiodo fisso era un rapporto a tre. Di conseguenza, quello che dovevo riuscire a organizzare era una tresca che si basasse su un particolare senso di complicità tra Margherita e la sorgente stessa dell'idea insana: Jasmine.
Quella negoziante mi stimolava il folle proposito di sperimentare qualcosa di "nuovo": la lussuria più sfrenata. Nel mezzo del cammin di nostra vita, volevo inspiegabilmente provare il sesso inteso e vissuto come piacere assoluto a prescindere dal numero e dal genere dei partner – anche se quest'ultima ipotesi (il genere) era tutta da verificare.
Il mio cervello matematico elaborò d'istinto un paio d'equazioni:

(+)+=C

(+)+=D

CONTINUA

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