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Corte d’Appello di Milano, sez. V penale, Presidente Riccardi, est. Franciosi, ord. 4.10.98, ricorrente Castelluccia A. + altri

 

IL PROVVEDIMENTO IN SINTESI

 

Il Tribunale di Como visti gli artt. 666 c.p.p., 1 e segg. L. 1423/56, 1 e segg. L. 575/65 e succ. mod., con decreto 24.10.96, applicava a Castelluccia Aldo la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. per anni quattro e disponeva, altresì, la confisca dei beni direttamente o indirettamente allo stesso riconducibili.

Contro tale decreto hanno avanzato ricorso il proposto e i soggetti intestatari dei beni a lui indirettamente riconducibili.

La Corte d'Appello di Milano in accoglimento dei ricorsi ha annullato il decreto del Tribunale di Como.

 

Motivi della decisione

 

Premessa

Nelle more del procedimento di prevenzione il Castelluccia è stato assolto da tutte le imputazioni che gli erano state contestate nei due procedimenti penali paralleli da cui traggono origine gli indizi posti a fondamento delle misure di prevenzione. In particolare, la Corte d'Assise di Varese, davanti alla quale il Castelluccia doveva rispondere del delitto ex art.416 bis c.p. (capo I), del delitto ex art. 75 L. 685/75 (capo 164) nonché di quello p.p. dagli artt. 110 c.p. - 71 e 74 L. 685/75 (capo 167), ha assolto il predetto dal reato di cui al capo I "per non aver commesso il fatto" e da quelli di cui ai capi 164 e 167 "perché il fatto non sussiste".

In più  il Tribunale ha assolto il Castelluccia dalla imputazione ascrittagli in quel procedimento (artt. 81 cpv. - 110 c.p. - 73 D.P.R. 309/90 capo 148) "perché il fatto non sussiste".

Già in precedenza, tuttavia, il proposto era stato prosciolto dal G.I.P. del Tribunale di Milano, "perché il fatto non sussiste", dal reato di cui agli artt. 81 cpv. c.p. - 79 D.P.R. 309/90.

Allo stato, nei confronti del proposto rimane un procedimento che lo vede imputato del reato di esercizio abusivo del credito.

La Corte si sofferma, preliminarmente, sul principio di autonomia del giudizio di prevenzione, la cui validità non è ridimensionata dal rapporto di connessione determinato dalla possibilità concessa al giudice di attingere dagli elementi indiziari del procedimento penale ordinario. In altre parole il giudice non è vincolato agli esiti del procedimento parallelo.

 

I)

A base del provvedimento impugnato sono posti, unicamente, quali elementi indiziari i risultati delle operazioni di polizia "I fiori di S. Vito" e "Isola Felice". In tali procedimenti, all'esito del dibattimento, il Castelluccia è stato assolto con formula piena: le dichiarazione del collaboratore, da cui provenivano le accuse sul Castelluccia, non hanno trovato riscontri; i rapporti tra il Castelluccia e i clan malavitosi ha trovato giustificazione nella circostanza che questi era stato vittima di quelle associazioni.

La Corte osserva che a questo punto non può trascurare tale esiti, pur nel rispetto del principio di autonomia di giudizio, essendone venuta ritualmente a conoscenza. Da essi non può prescindere in quanto non possiede ulteriori elementi di giudizio. Pur tuttavia, su di essa incombe l'obbligo di procedere ad una rivalutazione critica degli stessi.

 

II)

La Corte analizza le osservazioni fatte dalla difesa sul duplice significato di indizi e sulla sua importanza ai fini dell'applicazione delle misure di prevenzione: nella fase delle indagini preliminari gli elementi indiziari costituiscono la prova in nuce, in quanto idonea a divenire tale solo in dibattimento; nella fase dibattimentale o essi sfociano in prova, oppure, se non reggono al vaglio dibattimentale, perdono significato giuridico.

Nel caso in cui gli elementi indiziari non reggono il vaglio dibattimentale, ben può il giudice della prevenzione pervenire a soluzioni difformi, ma a determinate condizioni: l'assoluzione dell'indiziato in sede penale con formula dubitativa. Solo in questo caso, infatti, può residuare un margine di manipolazione del quadro indiziario ai fini del giudizio di prevenzione. Nell'ipotesi in cui, invece, si accerti che la prova non esiste, in quanto si accerta che il fatto non sussiste o che non lo ha commesso l'imputato, affinché il giudizio di prevenzione resti indenne agli esiti del procedimento parallelo è necessario che fondi il proprio convincimento di pericolosità sociale qualificata su indizi estranei alla vicenda processuale conclusasi con l'assoluzione con formula piena dell'imputato.

Nel caso di specie, essendo stato il proposto assolto con formula piena in entrambi i procedimenti paralleli, la possibilità di applicare la misura ablatoria è esclusa dalla mancanza di indizi gravi di appartenenza ad un sodalizio qualificato e della probabilità che i beni siano il profitto o il reimpiego di illeciti guadagni. Per quanto concerne la misura di prevenzione personale, è vero che essa può essere applicata sulla base di meri sospetti, ma è altrettanto vero che i sospetti che residuano dopo il ribaltamento delle tesi accusatorie sono in astratto ragionevoli ma in concreto contraddetti da numerose testimonianze e dati di fatto.

 

1) Analisi degli indizi che hanno indotto il Tribunale di Como ad applicare le misure di prevenzione

 

Il Tribunale di Como fonda la propria tesi quasi esclusivamente sulle dichiarazioni del Collaboratore Zagari Antonio sui traffici di droga gestiti da Castelluccia Aldo in complicità con altri, utilizzando come supporto logistico anche i propri locali notturni. Zagari Conferma l'appartenenza del proposto al clan capeggiato dal di lui padre. Secondo il collaboratore al Castellucia venivano affidati i proventi delle attività criminose affinché li riciclasse nel Casinò di Campione d'Italia.

Il Tribunale pone a conferma di tale impostazione le dichiarazioni di altri collaboratori che riferiscono della protezione dei locali di Castelluccia accordata da associazioni criminali, tra le quali quella degli Zagari. Riscontri ulteriori si traggono, a parere del Tribunale di Como, dalle dichiarazioni testimoniali del Comandante del Nucleo Operativo Colella il quale ha riferito delle frequentazioni del proposto con pericolosi pregiudicati. Infine, altri dichiaranti affermano che i locali di Castelluccia fungevano da punto di ritrovo e riunione tra delinquenti.

Tali circostanze sono desunte dalla produzione documentale fatta dal P.M:, relativa a dichiarazioni rese nel corso dei procedimenti pendenti a carico del proposto e di altri.

 

2) Analisi delle risultanze del procedimento principale - la sentenza della Corte d'Assise di Varese.

 

Il collaboratore Zagari non è in grado di confermare se il Castelluccia è stato vittima di estorsioni ad opera del gruppo Zagari. Egli non conosce l'epoca né le modalità di svolgimento dell'affiliazione di Castelluccia. Il collaborante riferisce di aver dedotto che il Castelluccia pagava il pizzo a tale Gligora. Ed ancora che nel momento in cui è stato costituito il locale di Varese vi è stato una riunione in uno dei locali del Castelluccia al fine di offrirgli  protezione.

Sull'altro versante vi sono le dichiarazioni di Castelluccia il quale afferma di essere stato, più volte oggetto di atti e telefonate intimidatorie. Di aver chiesto aiuto a Gligora il quale aveva organizzato una riunione alla quale prese parte, anche, Zagari Giacomo, padre del collaborante,. quest'ultimo aveva escluso che l'artefice di tali atti fosse stato il figlio Antonio.

Ancora, altro pentito, Gammuto, conferma gli atti intimidatori nei confronti del Castelluccia, la riunione per risolvere il problema. Questi riferisce, inoltre, che l'incontro conseguì il risultato di far cessare, per circa un anno, tali gli atti intimidatori, attribuiti a Zagari Antonio. Il Gammuto, infine, ricorda che Castelluccia gli aveva confidato di voler cessare la propria attività e di voler vendere i locali, in quanto aveva paura di Marcenò Calogero e di altri siciliani.

Anche, MaimoneSalvatore riferisce che il proposto è stato sottoposto a taglieggiamenti.

Di analogo contenuto sono le dichiarazioni di Calogero e Giuseppe Marcenò.

 

La Corte d'Assise rileva che nessuna indicazione in ordine all'appartenenza dell'imputato al sodalizio ascrittogli ed agli eventuali rapporti con esso intercorsi può trovare riscontro nelle dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia esaminati (Quaranta Domenico, Tibaldi Franco, Sciacca Savino ed altri sentiti nel corso del dibattimento). Tale circostanza, secondo i giudici di Varese, denota la mancanza di riscontri alle narrazioni dello Zagari. Le concordanti dichiarazioni di alcuni dei collaboratori testé citati dimostrano, al contrario, che il Castelluccia non è stato partecipe ma vittima di sodalizi di stampo mafioso. Inoltre non è stato acquisito nessun elemento atto a dimostrare che il Castelluccia abbia intrattenuto rapporti con i propri estorsori tali da renderlo colluso con l'associazione e, partecipe, quindi, del reato associativo, "per effetto del contributo arrecato alla esistenza della societas sceleris quale controprestazione della benevolenza o della protezione attiva ricevuta dal clan".

 

Sul punto, la Corte d'Appello osserva che in dibattimento si è dissolto il quadro indiziario sul quale si fondavano le accuse di partecipazione ad associazione di stampo mafioso o ad altro sodalizio finalizzato al traffico di stupefacenti, sollevate a carico del proposto: quando si è costretti a sottostare a protezione pagando, si è vittima e non partecipe dell'associazione che tra le finalità che si prefigura ha "l'imposizione della suddetta protezione e quindi il pagamento del pizzo ad opera dei protetti".

 

In ordine al delitto di spaccio di stupefacenti le osservazioni sono identiche: la chiamata in correità di Zagari nei confronti di Castelluccia e di Grigora manca di attendibilità soggettiva ed oggettiva. Le dichiarazioni sono generiche e contraddittorie. Zagari riferisce che le riunioni relative al narcotraffico si svolgevano nel night "Borsalino" gestito dal Castelluccia, in un angolo appartato o in un ufficio posto sul retro del night. Il collaborante afferma, inoltre, che il proposto ha fornito droga al gruppo Zagari. Egli, tuttavia, non ricorda episodi precisi, ammette di non aver ricevuto  direttamente sostanze stupefacenti dal Gligora, non ricorda i quantitativi concordati con  il Castelluccia. Inoltre, riferisce di aver notato Gligora Domenico presso il "Borsalino" in periodi in cui lo stesso era detenuto (1981) oppure gestiva l'altro locale del Castelluccia, il "Patrizia" (tra l'82 e l'83). Anche Maimone Salvatore e Quaranta Domenico riferiscono di episodi che vedono Castelluccia coinvolto in traffici di stupefacenti: le dichiarazioni di Maimone sono in parte estremamente generiche, per il resto riguardano fatti estranei ai capi d'imputazione (offerta di cocaina). Quaranta riferisce di fatti che attengono, temporalmente, ad un periodo successivo  a quello per cui è processo (1990), tali fatti potranno essere, eventualmente, oggetto di altro procedimento penale.

In ogni caso, le affermazioni di Zagari sono disintegrate dalle deposizioni dei testi Bizzarri, Vasik e Palaia, i quali hanno lavorato presso il locale di Castelluccia :il proposto frequentava raramente il "Borsalino"; non hanno notato mai riunioni; all'interno del night non c'erano sale riservate o uffici.

Infine, il Brig. La Terza, esaminato ex art. 507 c.p.p., ha riferito di aver effettuato, nel periodo agosto 1982/ marzo 1983, dei controlli nel night "Patrizia", gestito da Gligora. Egli ha partecipato, inoltre, all'arresto di Gligora eseguito all'interno del "Borsalino", che era gestito dal Castelluccia, il quale in quel frangente si trovava all'interno del locale.

 

3) Conclusioni

Venuti meno gli elementi indiziari di traffico continuato di stupefacenti, restano a carico del proposto le circostanze per le quali la Corte d'Assise ha ritenuto la possibilità per il P.M. di intraprendere azione penale. Tali elementi, tuttavia, non sono presi in considerazione del Tribunale di Como ai fini dell'applicazione delle misure oggetto d'impugnazione. In ogni caso, si tratta di episodi  risalenti a 18 - 20 fa. Per tale motivo non possono assurgere al rango di indizi, ma sono catalogabili come meri sospetti inidonei, però, a legittimare l'applicazione di una misura di prevenzione, in quanto la pericolosità non rivestirebbe il carattere dell'attualità che è presupposto ineludibile ai fini dell'applicazione di una misura di prevenzione e, a maggior ragione, di una definitiva misura ablatoria di natura patrimoniale.

La Corte d'Appello ritiene, comunque, che l'insieme degli elementi indiziari posti a fondamento delle misure oggetto di gravame altro non è che il frutto di un complesso di sospetti frutto delle dichiarazioni de collaboratore di giustizia Zagari Antonio e degli accenni di qualche altro collaborante. Tali elementi, mancando di qualsivoglia coerenza intrinseca, non sono idonei a legittimare la confisca di beni direttamente o indirettamente riconducibili al proposto; neppure possono essere posti a fondamento di un giudizio di pericolosità sociale nei confronti di Castelluccia Aldo, ai fini dell'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s..

In conclusione, poggiando il presente giudizio di prevenzione, unicamente, sugli indizi attinti dal procedimento parallelo nel quale, all'esito del dibattimento, il quadro indiziario su cui poggiavano le accuse nei confronti del Castelluccia di partecipazione ad un sodalizio qualificato si è disintegrato, pur nel rispetto del principio di autonomia del giudizio di prevenzione, il giudice non può ignorare gli esiti di tale procedimento con la conseguenza dell'illegittimità delle misure applicate dal Tribunale di Como, nei confronti di Castelluccia Aldo e degli altri appellanti, terzi interessati. Il giudice dell'impugnazione "ritiene conforme a giustizia revocare in toto l'impugnato decreto.... del tribunale di Como”.

 

Sunto a cura della Dott. Carmela Sergi

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data ultima modifica 19/07/00