• Tempo, memoria e impulso antinarrativo in Yama no oto di Kawabata Yasunari

Capitolo 3 (seconda parte)

Il viaggio della memoria e la sua reazione

3.5. I Sogni

Affiancato all’impellente desiderio di invertire il corso del tempo, vi è per Shingo quello di recuperare la propria forza erotica ristabilendo la sua virilità. I sogni rappresentano questo duplice aspetto del valore della memoria per il protagonista: assieme al recupero del proprio “tempo perduto” Shingo riconquisterà la sua capacità di essere uomo a tutti gli effetti.

Tutte le reminiscenze dei sogni sono attivate da particolari meccanismi evocatori. I primi due sogni, infatti, che vengono vissuti nell’arco di una stessa notte, sono ricordati da Shingo dopo che assiste ad uno spettacolo della natura in giardino. Il volo di tre farfalle ageha (??) [125] gli fa ricordare del primo sogno e successivamente del secondo. Nel primo Shingo vede una persona morta: si tratta di Tatsumiya, un falegname fidato al quale Shingo aveva commissionato numerosi lavori: egli è morto tre o quattro anni prima. Nel sogno offre a Shingo un piatto di soba [126], e Shingo non si ricorda se lo mangia o meno, ma si ricorda in modo ben definito il particolare del piatto, laccato di nero da una parte e rosso dall’altra.

[125] Genere di farfalle molto diffuse, della specie Papilionidae. Hanno la coda a forchetta.
[126]
蕎麦, spaghetti di grano saraceno.

E’ significativo che Shingo ricordi questo particolare e non il viso della ragazza che sogna di toccare subito dopo, forse una delle sei figlie di Tatsumiya. Ciò che colpisce Shingo è che nel sogno Tatsumiya è vivo. Si crea quindi una discrepanza tra la realtà quotidiana, dove il falegname è morto, e l’immagine del sogno, evocata grazie alla capacità creativa della mente di Shingo, la quale inverte il corso naturale del tempo e riporta in vita Tatsumiya.

All’interno dello stesso sogno, Shingo sogna di toccare il corpo di una ragazza. Per quanto in apparenza possa sembrare un sogno erotico, Shingo non ha avuto questa impressione. Se, quindi, l’inversione temporale ha qui luogo, il processo di rigenerazione della virilità è solo al primo stadio.

Subito dopo il primo sogno, Shingo ne fa un secondo e sogna nuovamente una persona morta. Si tratta di Aida, un dirigente della sua ditta morto l’anno precedente. Nel sogno Aida entra in casa con un bicchierino di sake e, dal rossore della sua faccia, Shingo evince che è ubriaco. La cosa strana è che Aida non beveva alcolici, al massimo portava con se qualche bottiglia di sciroppo, essendo malato di asma. E’ infatti morto soffocato dal catarro dopo un’emorragia cerebrale.

I due sogni sembrano non essere accomunati da nessun elemento, se non uno. In entrambi, le persone morte erano vive secondo per secondo nel sogno di Shingo: “All’interno del sogno la figura di Aida, che gli veniva incontro camminando vistosamente come un forte bevitore, fluttuò vividamente nella mente di Shingo” [127].

[127] KYZ, vol. 12, p. 273. Cfr. SEID p. 33, SUGA p. 34 e SUGA 2 p. 468. Nello Shintoismo, gli spiriti degli antenati sono in vita e visitano i vivi, oltre che nei templi, anche nei sogni. Si veda Bettina L. KNAPP, Life/Death: A Journey (Yasunari Kawabata), in Porter LAUREL - Laurence M. LAUREL (edited by), Aging in Literature, Troy (MI), International Book Publishers, 1984, p. 127.

Il terzo sogno è introdotto da un pensiero molto significativo per Shingo:

«Sono un uomo vecchio che non ha ancora scalato il monte Fuji», Shingo mormorò tra sé in ufficio.
Erano parole che erano fluite improvvise, ma poiché aveva pensato che fossero piene di significato, continuò a ripeterle tra sé.
La notte precedente aveva sognato le isole Matsushima, forse era per quello che quelle parole
gli erano passate in testa.
Shingo pensò che era strano aver sognato le isole Matsushima quella mattina, dal momento
che non c’era mai stato.
Si rese conto, allora, che alla sua età non aveva visto ancora due dei tre “Tesori del Giappone”
[128],
ovvero Matsushima e la laguna di Ama no hashidate.
Gli era capitato soltanto di vedere il tempio di Miyajima, durante una sosta del treno,
al ritorno di un viaggio d’affari per la ditta a Kyushu, alla fine dell’inverno.
Allorché si era fatta mattina, del sogno si ricordava solo dei frammenti: si distinguevano
chiaramente il colore del mare e dei pini sulle isole.
Si trattava chiaramente delle isole Matsushima.
[129]

Shingo non ha ancora fatto un’esperienza significativa, nella sua vita: scalare il Monte Fuji (富士山) [130]. Si tratta di un avvenimento particolare nell’esistenza di un uomo, ancora di più di un giapponese: scalare il Fuji vuole dire entrare in contatto con la montagna divina, quindi anche con la propria spiritualità. Per lo Shintoismo [131] le montagne rappresentano un luogo sacro: non solo esse sono più vicine al cielo di qualunque altra cosa, ma sono il luogo dove risiedono i kami (), le divinità naturali. In cima alle montagne vengono di solito costruiti i monasteri, dove la gente si reca in pellegrinaggio. Salire il Fuji, quindi, significa entrare in contatto con la propria spiritualità, con il “gigantesco risveglio cosmico di cui egli è parte” [132].

[132] Matsushima, Amanohashidate e Miyajima sono detti “i tre paesaggi del Giappone” [日本三景] perché ritenute le tre località con la più bella veduta paesaggistica: Matsushima [松島] è un gruppo di isolette al largo della baia omonima, dal lato del Pacifico; Miyajima [宮島] è un’isola di fronte a Hiroshima e sede di un santuario famoso mentre Amanohashidate [天橋立] è una lingua di spiaggia sabbiosa con pinete a Wakasa, a nord-ovest di Kyōto.
[132] KYZ, vol. 12, pp. 324-325. Cfr. SEID p. 79, SUGA p. 81 e SUGA 2 pp. 512-513.
[132] La montagna più alta di tutto il Giappone (mt. 3776) è anche, simbolicamente, il punto più vicino al cielo in Giappone.
[132]
神道 Shintō è la “Via degli dei” (significato letterale). Shin è la lettura sino-giapponese dell’ideogramma che si legge kami in giapponese. Essi sono divinità autoctone (quindi preesistenti al buddismo, introdotto nel VI sec. d.C.). Lo Shintō è un sistema di credenze e di riti, una religione naturalistica che si basa sul culto delle forze e delle realtà della natura e sulla venerazione degli antenati. (Dal glossario a cura di Adriana BOSCARO in KATŌ Shūichi, Storia della Letteratura Giapponese, Vol. 1, Venezia, Marsilio, 1987, p. 342).
[132] KNAPP, cit., p. 124.

La mancata esperienza di Shingo non si ferma qui: egli non ha visitato i tre paesaggi tradizionali del Giappone, e, come tale, non solo non è realizzato come persona ma soprattutto come uomo giapponese. In questo senso il suo personaggio supera simbolicamente la sua collocazione geografica, e ciò dà un duplice effetto: da un lato ne è trascesa anche la dimensione temporale, dall’altro è la stessa opera ad assumere un significato di respiro universale. Ecco il sogno di Shingo:

Shingo abbracciava una donna all’ombra dei pini sul tappeto erboso. Era impaurito e si nascondeva. Sembrava si fossero separati dalla compagnia per restare soli. La donna era estremamente giovane, una ragazza. Non capiva quanti anni avesse lui. Pensò che dal modo in cui correva tra i pini con la ragazza, doveva essere anche lui giovane. Allorché abbracciò la ragazza, non aveva avuto la sensazione che ci fosse una differenza d’età. Si comportava come se fosse stato giovane. Però, non pensava di essere tornato giovane o che si trattasse di un evento lontano.
Era come se fosse stato nella condizione di un ventenne pur avendo tutti i suoi sessantadue anni.
Qui risiedeva la stranezza del sogno.
Il motoscafo dei compagni si allontanava nel mare. In quella barca, c’era una donna in piedi che agitava incessantemente un fazzoletto. Dopo essersi svegliato, si ricordava distintamente del bianco del colore del fazzoletto sullo sfondo del colore del mare. Shingo era rimasto solo con la donna su quell’isoletta,
ma sentiva di non avere la benché minima ansia. Egli pensava soltanto che poteva vedere la barca sul mare, ma dalla barca non potevano scoprire il loro luogo nascosto.
Si era svegliato quando stava guardando il fazzoletto bianco.
Dopo che si era alzato la mattina, non capiva più chi fosse la donna. Non aveva né un volto né figura intera. Neppure la sensazione del tatto. Erano chiari soltanto i colori del paesaggio. Però non sapeva perché poteva dire che si trattasse proprio di Matsushima né perché avesse sognato Matsushima.
Non gli era mai capitato di visitare Matsushima, né di fare una traversata in barca verso un’isola deserta.
Shingo pensò di chiedere a qualcuno in famiglia se non fosse per caso segno di esaurimento nervoso fare i sogni a colori, ma finì per perdere l’opportunità. Il fatto di aver sognato di abbracciare una donna gli lasciò una sensazione spiacevole. Eppure, era una condizione ragionevole l’essere giovane pur mantenendo la sua persona di adesso. Lo confortava un po’ quel mistero del tempo nel sogno.
[133]

Shingo si meraviglia del fatto di aver sognato un luogo dove non ha mai messo piede: questo contribuisce a rendere ancora più “surreale” l’atmosfera del sogno. Puntualizza, anzi, che dei tre “tesori del Giappone”, ha visitato solo il tempio di Miyajima, durante una sosta del treno in un viaggio d’affari.

[133] KYZ, Vol. 12, pp. 325-326. Cfr. SEID pp. 80-81, SUGA pp. 81-82 e SUGA 2 pp. 513-514.

A proposito del numerale tre, qui ricompare associato con i luoghi sacri del Giappone. Shingo sogna di abbracciare una giovane donna: si sente tranquillo e non ricorda il volto della ragazza ma, cosa molto importante, ricorda che si trovava in un luogo nascosto, come un “rifugio” dalle insidie del tempo dove poter vivere liberamente l’amore con la giovane donna. Si sente, inoltre, di avere tutti i suoi anni, sessantadue, eppure dal modo di correre percepisce di sentirsi più giovane. Questo rappresenta, come dice Shingo alla fine del sogno, il “mistero del tempo” che lo conforta. Shingo, quindi, inverte in modo significativo, il passare del tempo attraverso varie modalità descritte nel sogno:

1) Sogna un paesaggio per lui irreale, perché non ha mai visitato seppure esistente.

2) Sogna di essere “ringiovanito”, pur mantenendo tutti i suoi anni.

3) Sogna di essere in un luogo “nascosto”, protetto dalle insidie dello scorrere inesorabile del tempo.

4) Irreale è anche l’esperienza vissuta da Shingo: non gli è mai capitato, infatti, di fare una gita in barca,     e per di più in un’isola deserta.

5) Seppure l’immagine del motoscafo e della ragazza che saluta sono descritti con pochi tratti, l’immagine     è vivida, presente ed irreale allo stesso tempo.

Il “dispositivo” evocatore del quarto sogno è stavolta più palese. La notte prima Shingo legge un articolo di giornale, nel quale si parla della inquietante percentuale di gravidanze indesiderate nelle ragazze minorenni. Talvolta le madri morivano a causa di aborti illegali per nascondere la loro gravidanza. Shingo, tuttavia, era stato colpito da un caso nel quale una ragazza, diciassettenne, era stata costretta ad abortire dai genitori perché volevano continuasse a studiare. Il ragazzo di lei diceva che la gravidanza non era stato un evento irresponsabile e che si sarebbero sposati al più presto. Shingo sogna questa storia d’amore tra i due, che poi termina con la separazione. La ragazza ha un aborto, ma Shingo ne salva l’immagine così resa “impura”, rendendola “…per l’eternità una santa vergine[134].

Il sogno ha per Shingo l’aspetto di un racconto: egli assiste alla storia d’amore tra i due e la ragazza probabilmente continuerà ad amare il giovane dal quale è stata costretta a separarsi. Eppure, a Shingo, era rimasta la sensazione “di poco naturale, di impuro” [135]. Non ricorda il volto della fanciulla né il nome, e non gli pare, comunque, che la bella fanciulla fosse la trasposizione della sorella di Yasuko. Stavolta, però, Shingo ricorda che d’aspetto fisico era minuta e che portava un kimono. Nel sogno, Shingo ripercorre la storia dei due ma più dal punto di vista sentimentale che condannandoli. Egli si domanda se non indulgesse “nuovamente nel sentimentalismo: erano i ricordi della giovinezza che anche in tarda età scintillavano ad avergli fatto sognare l’amore puro dei due ragazzi?” [136]

Ancora una volta, Shingo riesce a riportarsi, seppure in modo più indiretto, alla sua gioventù. Shingo nel sogno si immagina di perdonare la ragazza e quindi sé stesso. Il sogno è collocato all’interno di un momento delicato nella trama del romanzo: la notte precedente Kikuko accoglie a casa Shūichi ubriaco e, in fondo, lo perdona. Shingo, inoltre, si domanda se il suo matrimonio con Yasuko non sia fatto anch’esso di colpe, di peccati che venivano sopportati da entrambi, sprofondando sempre di più in “una palude” [137]. Ecco perché si sente di perdonare non solo sé stesso, ma anche le colpe del figlio che ha messo al mondo, grazie alla giovane del sogno. Con lo stesso sentimento, infatti, Shingo interpreta il gemito di dolore e sofferenza che Shuichi, dopo essere rientrato a casa ubriaco, emette per chiedere soccorso a Kikuko. Il ciclo del tempo in questo sogno, quindi, non solo viene invertito
ma anche purificato [138].

[134] Ibid., p. 382. Cfr. SEID p. 130, SUGA p. 135 e SUGA 2 p. 566.
[135] Idem.
[136] KYZ, vol. 12, pp. 383-384. Cfr. SEID p. 132, SUGA p. 137 e SUGA 2 p. 568.
[137] Ibid., p. 381. Cfr. SEID p. 129, SUGA p. 134 e SUGA 2 p. 565.
[138] Sull’aspetto purificatorio della scrittura sarebbe interessante fare un parallelo (con le dovute differenze) con Svevo il quale, non a caso, è stato spesso accostato a Proust. Per approfondimenti, si veda Eduardo SACCONE, Commento a « Zeno », Bologna, Il Mulino, 1973, pp. 17-41.

Il quinto sogno è indotto dagli eventi accaduti in seguito al ritorno di Kikuko dopo l’aborto. La ragazza passa qualche giorno a casa dei suoi, poi decide di rientrare e di portare dei regali per tutta la famiglia. A Shingo va il regalo migliore: un rasoio elettrico. Si tratta, per l’epoca, di una grande innovazione tecnologica. Shingo decide di ricambiare il regalo portando a Kikuko un aspirapolvere. La mattina dopo i suoni dell’aspirapolvere di Kikuko e del rasoio elettrico di Shingo si mescolano tra di loro. In questo sogno Shingo si sente spettatore, anche se stavolta, come succede spesso nei sogni, i ruoli di spettatore e di protagonista si confondono tra loro. Esso è ambientato in America, forse, pensa Shingo, perché il pettine che Kikuko regala a Fusako era americano. Gli stati Americani sono occupati alcuni da inglesi altri da spagnoli. Gli abitanti hanno delle caratteristiche ben diverse tra loro, tra le quali il modo di portare la barba. Shingo non si ricorda se questa differenza risiedesse nel colore o nella forma, tuttavia riusciva a distinguere le dissomiglianze tra le varie razze tramite la barba. In un solo stato viveva un uomo che portava una barba che radunava tutte le caratteristiche delle barbe di tutti gli stati: la barba multicolore di quest’uomo era considerata monumento nazionale e il portatore non poteva né tagliarsela né ordinarsela come credeva. Shingo si sentiva accomunato, nel sogno, alla costernazione ed all’orgoglio di quest’uomo. Egli si immagina di aver fatto questo sogno per il desiderio di avere una barba lunga ed incolta, ora che si rasava tutti i giorni grazie al rasoio elettrico di Kikuko.

La valenza simbolica di questo sogno è legata al doppio uso del rasoio elettrico: se da un lato esso serve per radere la barba, può anche essere utile, se opportunamente regolato, per rasare i peli sul collo delle donne. Shingo legge ad alta voce le istruzioni del rasoio: “C’è scritto «Si può radere facilmente anche la peluria alla base del collo delle signore», disse Shingo e poi guardò il viso di Kikuko” [139]. Il riferimento, qui implicito, è all’erotismo sprigionato dal collo femminile ed alla valenza che ad esso viene attribuita in Giappone [140].

Il desiderio di non radersi a lungo, quindi, nasconde in sé la necessità di ricuperare la propria virilità. Nel caso di Shingo, questo si lega al desiderio erotico di scorgere il collo nudo di Kikuko. Appena si risveglia, Shingo pensa di avere avuto un sogno innocente e di raccontarlo ai famigliari ma, in connessione con il sogno successivo, fatto immediatamente dopo, Shingo capisce che non è così. Esso è infatti di gran lunga più morboso. Shingo sogna di tastare i seni spioventi di una donna. I seni non corrispondono ad un corpo, non viene associato loro un viso od una persona. Egli collega la figura alla sorella minore di un amico di Shūichi, ma è un’associazione piuttosto incerta. Sembrano essere i seni di una donna che non ha mai avuto bambini: Shingo ebbe con il dito il segno della sua verginità. Ad un certo punto egli le mormora: “Il fatto è che sei un’atleta” [141].

Appena svegliatosi, a Shingo vengono in mente le ultime parole di Mori Ōgai prima di morire “Ah, che stupido” [142]. Shingo non si sentiva eccitato o emozionato dopo il sogno, aveva semplicemente un grande senso di desolazione.

[139] KYZ, vol. 12, p. 464. Cfr. SEID p. 203, SUGA p. 211 e SUGA 2 pp. 641-642.
[140] Si legga la nota 28 in PETERSEN, cit, p. 171.
[141] KYZ, vol. 12, p. 468. Cfr. SEID p. 206, SUGA p. 215 e SUGA 2 p. 645.
[142] Ibid., p. 468. Cfr. SEID p. 206, SUGA p. 215 e SUGA 2 p. 645.

L’elemento importante del sogno, tuttavia, è l’associazione della donna il cui seno ha tastato: Shingo pensa di aver sognato proprio Kikuko. Colpito come da una folgorazione, Shingo capisce che la sorella dell’amico di Shūichi è solo una trasposizione, per evitare i sensi di colpa di sognare direttamente Kikuko. Subito dopo Shingo riflette sul fatto che, se avesse potuto rifarsi una vita, avrebbe voluto poter tornare indietro ed amare Kikuko vergine, prima del matrimonio con Shūichi.
Ancora una volta, il desiderio di Shingo è quello di poter invertire il corso del tempo, stavolta realizzando il suo desiderio più grande, cioè poter tornare giovane ed amare Kikuko nella sua purezza, cioè nella sua piena illibatezza. Per ottenere ciò, però, Shingo deve poter ricuperare la sua virilità, ormai in piena decadenza. Nel settimo e penultimo sogno, infatti, egli sogna di essere un giovane ufficiale dell’esercito e di avere la spada tramandata dagli antenati della sua casata nonché ben tre pistole. La sua giovinezza e il fatto di essere un soldato, rimarcato anche dalla presenza massiccia delle armi, restituiscono la piena virilità a Shingo, che si appresta, da uomo nel pieno delle sue forze, a tornare nel mondo dei sogni stavolta con la sua amata:

Mentre ascoltava il respiro di Yasuko, Shingo non riusciva a dormire bene, subito fece un sogno.
Era diventato un giovane ufficiale dell’esercito, portava l’uniforme ed ai fianchi aveva una spada giapponese e tre pistole.
La spada sembrava quella che era stata data a Shūichi quando era partito per il fronte,
era la spada tramandata dagli antenati.
Shingo camminava attraverso un sentiero di montagna. Lo accompagnava un tagliaboschi.
«Poiché di notte la strada è pericolosa, non cammino mai alla cieca.
E’ più sicuro procedere sul lato destro», disse il taglialegna.
Shingo si tenne sul lato destro ma, poiché non si sentiva sicuro, accese una lampada tascabile.
Quella lampada era piena di diamanti intorno al vetro e faceva una luce più del normale, sfavillando. Mano a mano che si faceva più chiaro, si scorgeva una forma nera davanti agli occhi che ostruiva la strada. Sembravano due o tre tronchi di grossi alberi uno sopra l’altro. Ma guardando meglio,
si vide che era uno stormo di zanzare. Si ammassavano prendendo la forma di un grosso albero.
Shingo pensò a cosa dovesse fare. Doveva farsi strada.
Shingo brandì la spada e tagliò ripetutamente l’ammasso di zanzare.
Quando si voltò d’un tratto, vide il taglialegna che correva a rotta di collo. Delle fiamme uscirono da vari punti dell’uniforme di Shingo. Il fatto curioso era che c’erano due Shingo, uno fissava quel Shingo al quale uscivano le fiamme dall’uniforme. Le fiamme uscivano lungo i risvolti delle maniche, dalle cuciture sulle spalle e dalle estremità e poi si spegnevano. Non bruciavano, ma avevano l’aspetto delle sottili fiamme del carbone acceso e crepitavano.
Shingo in un qualche modo era giunto a casa sua. Sembrava la casa del suo paese natio a Shinshū, quando era bambino. C’era pure la bella sorella di Yasuko. Si sentiva stanco, ma non aveva per niente prurito dalle punture delle zanzare. Dopo poco arrivò finalmente a casa di Shingo anche il taglialegna che era scappato via. Appena arrivato, perse i sensi e cadde.
Dal corpo del taglialegna fu tolto un grosso secchio pieno di zanzare.
Shingo non capiva come avessero fatto a toglierle, ma vide chiaramente le zanzare
ammucchiate nel secchio, poi si svegliò.
«Sono forse entrate delle zanzare dalla zanzariera?», fece per tendere l’orecchio,
ma la testa era pesante e intorpidita.
Stava piovendo.
[143]

E’ significativo che Shingo, dopo aver sconfitto lo stormo di zanzare, ritorni alla sua casa natia nello Shinshū. Ad aspettarlo non c’è Kikuko, ma la sorella di Yasuko, la sua antica amata.

Il dispositivo evocatore del sogno è stavolta più complesso, ed è messo in moto da due elementi principali. In primo luogo Shingo torna a Kamakura dopo avere passato una serata con una prostituta. Lei si addormenta e Shingo la osserva dormire, con il suo viso appoggiato su di lui. In quel momento, Shingo pensa al fatto che la ragazza è persino più giovane di Kikuko. Il desiderio di Shingo, è quello di poter avere Kikuko tra le sue braccia. Lo si capisce perché, al ritorno a casa, evita accuratamente lo sguardo della nuora, quasi come se si sentisse colpevole di qualcosa. Shingo nota anche qualcosa di nuovo in Kikuko, si è tagliata i capelli corti e ha cambiato pettinatura. In secondo luogo, Shingo non riesce a prendere sonno perché sente il respiro forte di Yasuko. Questa doppia reazione, da un lato nei confronti della situazione con la prostituta, dall’altro per la vecchiaia della moglie, come era già accaduto nel primo capitolo, suscita nel vecchio l’esperienza particolare del sogno. Shingo non solo regredisce alla gioventù, per poter abbracciare/dormire con la prostituta/Kikuko ripristinando la sua virilità, ma anche per tornare a quell’età nel quale i corpi non sono ancora corrotti dalla vecchiaia.

[143] Ibid., pp. 499-500. Cfr. SEID pp. 237-238, SUGA pp. 247-249 e SUGA 2 pp. 677-678.

L’ottavo e ultimo sogno spinge ancora più in là le capacità rigenerative ed evocative della mente di Shingo. Yasuko e il marito stanno parlando del fatto che esiste la possibilità che Kikuko sia incinta di nuovo. I pensieri di Shingo cominciano a fervere: si immagina due nipoti, uno nato da Kikuko e l’altro, che non potrà mai conoscere, nato da Kinuko. Vorrebbe poter evitare, in un qualche modo, la nascita del figlio dell’amante di Shūichi. Questi pensieri, uniti all’incapacità di dormire dovuta al canto degli insetti, i quali evocano la sensazione di dormire dentro la “terra buia e umida” [144], portano Shingo a sognare nuovamente. Si trova in un deserto, circondato da sola sabbia. Davanti a sé solo due uova, una enorme di struzzo, l’altra piccolina di serpente. Quest’ultima ha il guscio appena screpolato ed una testa di serpente esce fuori agitandosi. Shingo avverte un profondo affetto per il piccolo. Il vecchio, pur realizzando che le due uova rappresentino Kikuko e Kinuko, non riesce ad attribuire un uovo all’una e uno all’altra. Da un’analisi attenta del testo, tuttavia, possiamo attribuire l’uovo grande a Kinuko. Quando Shingo la va ad incontrare a casa sua, infatti, Kinuko viene descritta come robusta e dalla voce roca. L’uovo piccolo è attribuito, invece, a Kikuko per due motivi. Il primo è il riferimento all’affetto con il quale Shingo accoglierebbe un bambino di Kikuko: “Se Kikuko mettesse al mondo un nipote, gli vorresti bene anche tu, vero?” [145], gli chiede Yasuko poco prima del sogno. Il secondo è il riferimento al “generale verde” [146], il serpente che vive sotto la camera della cameriera nella casa di Shingo.

[144] Ibid., p. 508. Cfr. SEID p. 247, SUGA p. 258 e SUGA 2 p. 686.
[145] Ibid., p. 508. Cfr. SEID p. 246, SUGA p. 258 e SUGA 2 p. 686.
[146] Ibid., p. 417. Cfr. SEID p. 163, SUGA p. 169 e SUGA 2 pp. 600. Esattamente aodaishō (
青大将, Elaphe climacophora), un serpente di colore verde-blu, di grande mole ma sostanzialmente innocuo. Vive in tutte le isole dell’arcipelago giapponese e si nutre di insetti e piccoli roditori.

Quell’animale viene ritenuto da Kikuko e da Shingo “Il padrone di casa” [147]. Kikuko, inoltre, resta spaventata la prima volta che vede il serpente strisciare. C’è un riferimento, poi, alle sue dimensioni: è lungo il doppio della lunghezza della porta di servizio, cioè circa due metri [148], e più grosso del polso di Kikuko [149]. Quel serpente starebbe a simbolizzare, secondo Tsuruta Kinya, il segreto desiderio di Shingo di avere un figlio con Kikuko [150].

L’ottavo sogno, quindi, chiude il cerchio dell’inversione temporale. Il protagonista non solo ricupera la propria virilità e con essa la sua giovinezza, ma si trova anche nel paese dei sogni ad amare Kikuko, la quale darà alla luce un suo figlio. Così Shingo, nelle sue fantasie, sconfiggerà anche la sua paura di restare senza una discendenza.

[147] KYZ, vol. 12, p. 417. Cfr. SEID p. 163, SUGA p. 169 e SUGA 2 p. 600.
[148] L’originale (p. 418, cfr. SEID p. 163, SUGA p. 169 e SUGA 2 p. 601) fa riferimento ad una lunghezza maggiore di 1 ken (
),
valente mt. 1, 8181.
[149] KYZ, vol. 12, p. 418. Cfr. SEID p. 164, SUGA p. 170 e SUGA 2 p. 600.
[150] TSURUTA Kinya, Two Journeys in “The Sound of the Mountain”, in TSURUTA Kinya – Thomas E. SWANN (a cura di), Approaches to the Modern Japanese Novel, cit., p. 98.

3.6. Il sonno secolare

I sogni rappresentano per Shingo un modo per affermare la propria virilità e la propria realizzazione personale, invertendo il corso del tempo. Essi, però, non costituiscono l’unico diversivo per poterlo fare, né il più potente. Vi sono, infatti, una serie di brani dove il protagonista sembra cercare volontariamente un sonno molto più lungo nella quantità e più significativo nella qualità. In quei passi traspare il suo desiderio di “congelare” la propria esistenza, in attesa che eventi risolutori lo “risveglino” in una situazione di benessere e di felicità, riportando tra l’altro la sua virilità agli splendori della giovinezza. Come per i sogni, questi episodi sono evocati da una serie di eventi che spesso hanno a che vedere con la figura di Kikuko o con i problemi personali del vecchio.

Shingo, di ritorno dall’ufficio, passeggia osservando i girasoli delle case vicine alla sua. Incontra una bambina alla quale chiede per quanto tempo fiorisce il girasole. La bambina non sa rispondergli e, mentre osserva la testa del girasole, Shingo si sente chiamare da Kikuko. Le dice che il fiore più grande gli ricorda “la testa di un grande uomo” [151]. In effetti, Shingo resta impressionato dalla grandezza della corona. Il suo volume gli rammenta un cervello umano e percepisce una grande forza virile all’interno del disco. Il giallo dei petali che circondano il disco centrale, però, gli comunica un’aria femminile. Subito dopo Shingo esprime a Kikuko il suo profondo desiderio:

«Ho la testa molto svagata negli ultimi tempi e sembra che vedendo i girasoli mi venga da pensare alle teste. Vorrei che la mia testa diventasse pulita come quella di quei fiori. Tempo fa, mentre mi trovavo sul treno, pensavo se fosse solo possibile mandare la testa a lavare e riparare. Si taglia la testa dal collo, beh, sarebbe un po’ violento, diciamo soltanto staccarla dal tronco, la si lascia in deposito presso una clinica universitaria, , dicendo “Sì, vi chiedo questo” come se si trattasse di una lavanderia. Mentre lavano e riparano il cervello in clinica, il tronco dorme profondamente per tre giorni o anche una settimana. Non si agita nel sonno né fa sogni.» [152]

Il desiderio di Shingo è quello di poter fermare le proprie preoccupazioni, lavandole via, ma soprattutto dormendo di un sonno profondo e ristoratore, senza nessun tipo di sogno. E’ significativo che questo tipo di desiderio sia evocato da due elementi principali: la vista di Kikuko, che ha risvegliato in lui la virilità, proiettata qui sui girasoli. Si tratta, in toni molto delicati, dell’estrinsecazione del desiderio di Shingo nei suoi confronti.

[151] KYZ, vol. 12, p. 266. Cfr. SEID p. 26, SUGA p. 27 e SUGA 2 p. 461.
[152] Ibid., p. 267. Cfr. SEID p. 27, SUGA p. 28 e SUGA2 p. 462.

Egli si immagina, inoltre, di poter essere un grande uomo, ma lo è solo nella sua mente, un “eroe dilettante” [153], come lo definisce Lippitt. La virilità è qui legata al tempo in cui dura la fioritura del girasole: Shingo lo chiede alla bambina, la quale non fornisce alcuna risposta, ma si evince che non sarà un tempo duraturo [154]. Il secondo elemento nasce dal paragone della corona del girasole con il cervello, in definitiva il suo cervello, che viene lavato e purificato per tre giorni. Attraverso una fitta rete di allusioni e simboli, Kawabata accosta la natura all’uomo, e attraverso di essa, ci parla simbolicamente di quest’ultimo.

Nell’episodio successivo, è la stessa natura, stimolata dalla tecnologia, a produrre risultati strabilianti. Il meccanismo evocatore è qui duplice: Shingo ha appena consigliato a Kikuko di andare in camera da letto a riposarsi, dopo l’intervento per abortire. Tornato a casa, inoltre, il vecchio si scontra con l’altro problema famigliare: la figlia è uscita per spedire una lettera al marito. Qui il desiderio di poter fare qualcosa per Kikuko e per la figlia contrasta con la sua incapacità, come uomo e come padre, di risolvere la situazione. A ciò si unisce la delusione per l’erede perduto, quello stesso erede che sogna di poter mettere al mondo con la nuora. Il protagonista legge un articolo di giornale intitolato “il loto di duemila anni prima che fiorisce” [155]:

«La primavera dell’anno precedente, erano stati scoperti tre semi di loto dentro una piroga nelle rovine dell’antica epoca Yayoi a Kemigawa nella prefettura di Chiba.
Erano state giudicate vecchie di duemila anni. Nell’aprile di quell’anno, un certo “dottore del loto” era riuscito a farle germinare, piantandole in tre posti diversi: la stazione agricola sperimentale di Chiba, lo stagno del Parco di Chiba e la casa di un fabbricante di sake a Hatake-machi, sempre a Chiba. Sembra che questo fabbricante avesse collaborato agli scavi delle rovine. Lo piantò dentro un calderone con l’acqua, lasciandolo in giardino e il suo seme fu il primo a fiorire. Il Dottor loto alla notizia si precipitò e accarezzò il bel fiore esclamando «E’ fiorito! E’ fiorito!». Il fiore passò dalla “Forma di un vaso”, alla “Forma di una tazza da te”, poi alla “Forma di una scodella”, per finire per perdere i petali quando raggiunse la “Forma di un vassoio”», riportava il giornale.
C’era scritto anche il numero dei petali, ventiquattro.
Sotto all’articolo c’era anche una fotografia che ritraeva lo scienziato occhialuto, dai capelli per metà bianchi, che reggeva in mano lo stelo del loto fiorito. Rileggendo l’articolo, vide che lo scienziato aveva sessantanove anni. Dopo che ebbe fissato per un po’ la fotografia del fiore di loto, Shingo andò a portare il giornale in camera di Kikuko. [156]

[153] LIPPITT, Kawabata’s Dilettante Heroes, in Reality and Fiction in Modern Japanese Literature, cit., pp. 120-145.
[154] E’ evidente qui il parallelo tra il tempo della virilità di Shingo, ormai sfiorita, e il tempo della fioritura del girasole. Alla richiesta la bambina, infatti, non sa dare alcuna risposta.
[155] KYZ, vol. 12, p. 430. Cfr. SEID p. 174, SUGA p. 180 e SUGA 2 p. 612.
[156] Ibid., p. 430. Cfr. SEID pp. 174-175, SUGA pp. 180-181 e SUGA 2 p. 612.

Il brano è abbastanza chiaro e potrebbe parlare da solo. Sono in effetti due gli elementi significativi, secondo Tsuruta Kinya [157]. Innanzitutto l’aspetto del “Dottor loto”: ci viene detto che possiede sessantanove anni e che ha i capelli per metà bianchi. Shingo, quindi, si identifica con lo scienziato. Subito dopo aver letto l’articolo, inoltre, il protagonista porta il giornale in camera di Kikuko. Questo gesto starebbe a significare il recondito desiderio di Shingo di poter “fiorire” anch’egli, seppure sia praticamente impossibile. Risulta importante il fatto che Shingo voglia fiorire fisicamente con Kikuko, dopo che lei stessa ha visti tolti i “semi” da lei in seguito all’aborto.

Il desiderio del protagonista è intensificato quando Shingo, tempo dopo, legge altri due articoli relativi ai fiori di loto. Non si tratta di un caso se a porgergli i giornali è proprio Kikuko ed esattamente la mattina dopo il sogno delle due uova. Essi riportano due differenti esperimenti, condotti l’uno dallo stesso “Dottor loto” e l’altro negli Stati Uniti, nel Parco Nazionale di Washington. Nel primo articolo si parla nuovamente del “Dottor loto”, il quale piantò due semi, ottenuti dalla divisione di un rizoma, nello stagno di
Sanshirō [158], a Tōkyō. Nell’altro articolo si parla di alcuni semi, rinvenuti in uno strato di torba in Manciuria, che ripuliti e conservati sotto vetro, hanno dato vita a due splendidi boccioli rosa dopo essere stati trapiantati nel parco.

[157] TSURUTA Kinya, Two Journeys in “The Sound of the Mountain”, in TSURUTA Kinya – Thomas E. SWANN (a cura di), Approaches to the Modern Japanese Novel, cit., p. 96.
[158] E il celeberrimo stagno di Tōkyō che ha preso il nome dal protagonista dell’omonimo romanzo di Natsume Soseki (
夏目漱石 1867-1916).

La direzione del Parco dichiara ufficialmente che i semi risalgono da mille a cinquantamila anni prima. Shingo commenta così questa notizia:

«Avevo pensato così anche quando l’avevo letto in precedenza: se dice che i semi hanno davvero da mille anni a cinquantamila anni, si tratta davvero di un calcolo grossolano!»
Shingo proseguì la lettura ridendo. [159]

L’approssimazione, in effetti, è molto forte e sembra non convincere completamente Shingo circa l’accuratezza delle tecniche di datazione. Ciò che è interessante, tuttavia, è notare il suo dialogo con Kikuko, subito dopo che legge l’articolo:

«Fossero mille o cinquantamila anni, la vita dei semi di loto è lunga. Paragonata con la durata della vita di un uomo, i semi delle piante hanno una vita praticamente eterna»,
disse Shingo mentre guardava Kikuko.
«Potessimo anche noi, sepolti per mille o duemila anni, riposarci sottoterra senza morire!»
«Essere sepolti dentro la terra?! » Disse bisbigliando Kikuko.
«Non in una tomba e senza morire, solo riposare. Se fosse davvero possibile riposare sepolti sotto terra! Quando ci si risveglia sono passati cinquantamila anni e ci si ritrova con le proprie difficoltà e con i problemi sociali già completamente risolti, e il mondo è diventato probabilmente un paradiso».
[160]

Se prima il desiderio di Shingo era quello di poter dormire solo per qualche giorno in un sonno nel quale egli sembra più identificarsi con il suo tronco, privo di sogni e completamente staccato dalla testa, adesso è la sua intera persona ad essere coinvolta in un sonno secolare. Si tratta dello stesso sonno nel quale hanno dormito i germogli del fiore di loto prima di essere risvegliati dall’uomo, un torpore privo di sogni e soprattutto, vista la sua lunga durata, non solo ristoratore a livello fisico, ma persino risolutore.

[159] KYZ, vol. 12, pp. 509-510. Cfr. SEID p. 249, SUGA p. 260 e SUGA 2 p. 688.
[160] Ibid., pp. 510-511. Cfr. SEID p. 249, SUGA pp. 260-261 e SUGA 2 pp. 688-689.

Infatti Shingo troverebbe i suoi problemi personali e quelli sociali [161] completamente risolti. Qui il protagonista accenna alle sue questioni famigliari, in primo luogo con la figlia, in secondo luogo con il figlio, che tradisce la sua giovane moglie. Shingo si riferisce anche alle difficoltà dettategli dalla sua salute precaria, alle questioni con la moglie, alla sua memoria in continuo disfacimento. Il premio finale, dopo un così lungo dormire, è rappresentato dall’ingresso nel paradiso, il quale potrebbe essere rappresentato da una nuova e immaginaria vita accanto alla sorella di Yasuko perduta in gioventù. Potrebbe, tuttavia, essere anche una nuova vita con Kikuko che, riportata ad uno stato di totale verginità, potrebbe concepire un figlio con lui [162].

In ogni caso Shingo deve ancora attendere prima di poter entrare nel regno dei cieli. Il luogo della serenità è ancora lontano. Egli deve prima accettare il passare inesorabile del tempo, i propri errori nei confronti dei figli e delle loro famiglie nonché l’approssimarsi della morte. Il regno della pace, insomma, passa attraverso la risoluzione dei suoi problemi e la purificazione del suo stato. Bisogna leggere in questo senso il brano che segue, che rappresenta il desiderio di Shingo di invertire il flusso del tempo e compensare i propri rimorsi rimettendo a posto le cose. E’ ancora la figura di Kikuko a sovrapporsi al brano. Infatti, dopo averne ammirato le belle curve del collo e il suo profumo verginale, Shingo ascolta Yasuko che legge un altro articolo di giornale:

«Ancora uno soltanto…» Yasuko aveva chiamato Shingo.
«Qui c’è una notizia interessante!»
«Oh»
«Si parla degli Stati Uniti. Un posto chiamato Buffalo, nello stato di New York. Buffalo…. Un uomo a causa di un incidente stradale, ha perso l’orecchio sinistro e si reca da un medico. Il medico si precipita nel luogo dell’incidente, trova l’orecchio insanguinato, lo prende, ritorna alla clinica e lo riattacca alla ferita. E da quel momento tutto ha funzionato bene!»
«Si dice che perfino le dita si riattaccano bene se lo si fa subito appena perse.»
«Davvero?»
Yasuko per un po’ riprese a leggere gli altri articoli, poi riprese come se si ricordasse qualcosa:
«E’ così anche tra moglie e marito: se non è passato molto tempo dalla separazione, può ancora ristabilirsi l’armonia. Ma dopo la separazione, è passato troppo tempo!»
[163]

[161] Qui il riferimento potrebbe essere ai problemi del Giappone nel dopoguerra, quelli stessi ai quali le due lettere lasciate dal marito della coppia suicida sembrano alludere.
[162] Quello che, idealmente, Shingo ottiene con il percorso degli otto sogni nel romanzo. Si veda TSURUTA Kinya, Two Journeys in “The Sound of the Mountain”, in TSURUTA Kinya – Thomas E. SWANN (a cura di), Approaches to the Modern Japanese Novel, cit., pp. 89-103.
[163] KYZ, vol. 12, pp. 533-534. Cfr. SEID pp. 269-270, SUGA pp. 279-280 e SUGA 2 p. 708.

Come ben commentano le parole di Yasuko, stavolta il tempo passato è eccessivo ed è impossibile ristabilire il legame tra moglie e marito, ovvero tra Fusako ed Aihara. I rimorsi sembrano qui colpire più Yasuko che Shingo, la quale, nel caso Fusako non trovasse un nuovo marito a causa della sua bruttezza, dovrebbe vivere a casa dei suoi e la nonna sarebbe responsabile della crescita delle bambine. Ella si sente troppo vecchia per un compito del genere. Il commento di Shingo è significativo “Fare tutto ciò che è umanamente possibile, e lasciare il resto al cielo” [164]. Il vecchio finisce per dire alla moglie ciò che egli pensa valga per sé: il cielo pensa al resto, ma è implicito che bisogni prima fare tutto ciò che è possibile e Shingo non dà l’impressione di averlo ancora fatto.

[164] Ibid., p. 535. Cfr. SEID p. 271, SUGA p. 280 e SUGA 2 p. 709.

L’idea di lasciare tutto nelle mani del cielo è collegata al principio che è si è guadagnata una posizione solo se la si è raggiunta dopo sudori e fatiche. All’interno del romanzo, si parla in varie occasioni della conquista del paradiso. Se ne è accennato per la prima volta nell’episodio di Mizuta, l’amico di Shingo morto in “modo paradisiaco”. Shingo non pensa a quel modo per raggiungere il “suo” paradiso, ma a qualcosa assimilabile con la presenza della montagna. Infatti, è il monte Fuji la trasfigurazione del cielo. Spesso, Shingo parla del fatto che non ha mai scalato il monte sacro che è strettamente connesso con la montagnola dietro la casa di Shingo, dalla quale proviene il suono al principio del romanzo. Essa è simbolicamente legata non solo al richiamo della natura, ma anche a quello della sacralità. Shingo non è pronto per il paradiso anche perché non ha mai affrontato, aldilà della sua immaginazione, il cuore della sua esistenza, il problema dell’inesorabile passare del tempo e della sua decadenza fisica e mentale.

L’influenza Buddista su Kawabata è qui evidente: il primo passo dell’uomo è quello di riconoscere la verità della vita, cioè che essa è dolore, dovuto all’attaccamento alle passioni, ai ricordi, al nostro corpo. Shingo si attacca con forza a tutte e tre queste cose, specialmente ai ricordi, visto che il suo corpo e le sue passioni finiscono per essere ormai irrimediabilmente perdute.

La natura, dal suo canto, sembra indicare a Shingo qual è la strada da percorrere. Il suo linguaggio non è forse così chiaro come quello delle parole, ma è inequivocabile, un richiamo preciso al quale Shingo, alla fine del romanzo, sembrerà volersi affidare.

In realtà qui si valuta lo spessore tra i desideri di Shingo, vissuti ed elaborati in un’atmosfera da sogno, quindi appartenenti di fatto ad altro mondo, e la tangibile verità della vita. Ne è misura questo brano:

«Papà», chiamò stavolta Kikuko.
«Grazie alla storia dell’orecchio della mamma, mi è venuta in mente una cosa: papà, ti ricordi che una volta dicevi che avresti voluto staccare la testa dal corpo, lasciarla in ospedale in modo da farla lavare e riparare?»
«Sì, sì, era quando abbiamo visto il fiore di girasole dei vicini. Sembra una cosa sempre di più necessaria. Mi dimentico come si annoda la cravatta, tra poco leggerò il giornale capovolto, con noncuranza, senza rendermene conto.»
«Anch’io ci penso spesso, provo a pensare a come sarebbe lasciare la testa in ospedale.»
Shingo guardò Kikuko.
«Ecco, sarebbe come lasciare la testa nell’ospedale tutte le notti per una cura di sonno. Anche se, a causa della mia età, sogno spesso. Mi è capitato di leggere una poesia che diceva «Quando sono triste, faccio sogni che sono la continuazione della realtà». Ma i miei sogni non sono la continuazione della realtà».
[165]

Lo afferma lo stesso Shingo: i suoi sogni non sono la continuazione della realtà. Se il suo percorso evolutivo può essere suggerito dai ricordi e dai sogni, dagli eventi felici e nefasti che lo colpiscono, dalle sue fantasie, l’accesso al paradiso dovrà essere guadagnato percorrendo fisicamente la strada indicatagli dalla natura. E’ un percorso che Shingo non ha ancora intrapreso sul serio.

[165] KYZ, vol. 12, pp. 535-536. Cfr. SEID p. 271, SUGA p. 281 e SUGA 2 pp. 709-710. Il riferimento alla frase conclusiva tra virgolette è ad una poesia, ma Shingo non ne ricorda l’autore.

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