next essay Studi Storici 3, luglio-settembre 1995 anno 36


Franco De Felice, Antifascismi e resistenze

3. Sulla possibilità che l'antifascismo possa essere valutato come fenomeno specifico, con un valore autonomo idoneo a caratterizzare un'intera fase storica, si concentrano come è noto una serie di osservazioni critiche, che non nascono oggi, maturano nel periodo tra le due guerre e soprattutto nel corso della grande alleanza per essere riprese nel dopoguerra nel quadro della guerra fredda. La forma piú raffinata ed elaborata della dissoluzione di una autonomia concettuale dell'antifascismo è strettamente legata a quel filone storiografico che, a partire dalla sottolineature delle differenze storiche tra le diverse forme di fascismo, giunge a mettere in discussione la possibilità stessa di ricondurre ad un fenomeno comune, appunto il fascismo, la pluralità di esperienze storiche rilevabili9.

Piú determinate sono quelle osservazioni critiche che sottolineano la difficoltà di affrancare l'antifascismo dalle forme particolari che assume nelle diverse correnti culturali e politiche e dalla diversità delle forze sociali che nel rifiuto del fascismo si riconoscono: si privilegiano, cioè, le diversità sulle convergenze, che come tali non possono essere che transitorie e limitate. Tale obiezione complessiva si articola in una serie di argomentazioni piú specifiche che tendono ad impoverire il significato dell'antifascismo, privilegiandone il recupero di libertà e democrazia - certamente vero ma non esaustivo -; enfatizzandone l'ambiguità dovuta alla presenza di protagonisti molto diversi nello schieramento comune; riducendo nel tempo la possibilità e il significato del suo ruolo: incongruità di un antifascismo senza fascismo10; tale incongruità però contribuisce a garantire una legittimità democratica a forze, come quelle comuniste, che non l'hanno (tesi riproposta recentemente da Furet)11 e che, sul piano culturale, permette di ricondurre al fascismo ogni forza di destra conservatrice.

Tale obiezione complessiva solleva e tocca problemi reali, che sono parte del processo di definizione dell'antifascismo come riferimento politico e culturale comune. La critica doverosa di riduzioni semplificatrici, di disinvolte operazioni che anticipano nel tempo divisioni e incompatibilità che attengono a fasi successive, non può esaurire la risposta. Il recupero del significato specifico di un'esperienza, al di là delle forme e dei protagonisti che l'hanno caratterizzata, si può avere solo ritornando ai suoi dati costitutivi. La domanda: attualità od esaurimento dell'antifascismo? si deve risolvere nell'altra: rispetto a quale problema tende ad elaborare una risposta l'antifascismo?

Uno strumento analitico fecondo per mettere a fuoco subito la qualità del problema reso evidente ed esplicito dalla grande guerra, è la categoria di "guerra civile", che è stata proposta, come è noto, da Nolte12, ed utilizzata, in un'accezione ovviamente diversa, da Pavone come una delle tre Resistenze13, sollevando in entrambi i casi accese discussioni14.

La categoria che propongo è quella definita da Carl Schmitt nel suo saggio del 193215, non separabile dalla riflessione sulla crisi e trasformazione dello Stato nazionale europeo: il tendenziale esaurimento cioè dell'identificazione di "politico" con "statale", del ruolo crescente e determinante assunto da nuovi soggetti del "politico". "L'equivalenza "politico"= "politico-di partito" è possibile allorché l'idea di un'unità politica (lo "Stato") comprendente tutto e in grado di relativizzare tutti i partiti politici al suo interno e le loro conflittualità, perde la sua forza e di conseguenza le contrapposizioni interne allo stato acquistano intensità maggiore della comune contrapposizione di politica estera nei confronti di un altro Stato"16. Individuando nel rapporto amico-nemico lo specifico del "politico", che opera sollecitando e garantendo aggregazione ed appartenenza versus esclusione e contrapposizione, la divaricazione tra politico e statale pone un problema acuto di legittimità (fondamento su cui ricomporre o tentare di ricomporre politico e statale) e di identità e appartenenza (la pluralità di soggetti del politico produce aggregazioni ed esclusioni che, non solo si moltiplicano dentro uno stesso paese, ma lo attraversano e lo superano). La lotta tra questa pluralità di soggetti "politici" è devastante in quanto la "contrapposizione politica è la piú intensa ed estrema di tutte e ogni altra contrapposizione concreta è tanto piú politica quanto piú si avvicina al punto estremo, quello del raggruppamento in base ai concetti di amico-nemico"17.

La divaricazione tra politico e statale individua e registra l'esaurimento dello Stato nazione come canale di identificazione ed appartenenza comune: "La possibilità reale della lotta che dev'essere sempre presente affinché si possa parlare di politica, si riferisce allora conseguentemente [...], non piú alla guerra tra unità nazionali organizzate (Stati, o Imperi), bensí alla guerra civile"18. Nell'impianto schmittiano la categoria di "guerra civile" identifica una situazione (esaurimento di un'intera fase storica e conseguente obsolescenza del patrimonio complesso e ricco che attorno alla identificazione di politico e statale si era costruito: il contributo europeo alla civiltà) e le modalità attraverso cui procede l'esercizio e l'affermarsi del "politico". La categoria schmittiana non si identifica cioè con un contenuto particolare: la radicalità non è nella diversa qualificazione del "politico" che tende a diventare "statale", o che comunque se ne differenzia, quanto nella situazione che la produce. Nell'analisi di Schmitt la divaricazione ha radici lontane, legate alla trasformazione industriale delle società europee, come ribadirà nella introduzione all'edizione italiana19, ma il testo del 1932 ha come suo referente storico la registrazione del ruolo dirompente della grande guerra, che evidenzia e potenzia l'insieme di fenomeni che tende a comprendere e sistemare categorialmente: esperienza collettiva transnazionale; altissimo livello di socializzazione e mobilitazione con forti connotazioni ideologiche; accelerazione del processo di organizzazione societaria e problema della formazione della decisione politica; fine del ruolo centrale dell'Europa su di uno scenario che si amplia spazialmente e si popola di protagonisti inediti; divaricazione tra la qualità sempre piú internazionale e transnazionale dei problemi che si pongono e limitazione statalnazionale degli strumenti esistenti. Cosí, in un saggio famoso, Hintze leggeva i processi avviati nel primo dopoguerra20.


Franco De Felice, Antifascismi e resistenze


 

9 Cfr. i termini della discussione in J. Stuart Woolf, a cura di, Il fascismo in Europa, Bari, Laterza, 1968; R. De Felice, Interpretazioni del fascismo, Bari, Laterza, 1969; Id., Intervista sul fascismo, a cura di M.A. Ledeen, Roma-Bari, Laterza, 1975; G. Allerdyce, What Fascism is Not: Thougths on the Deflation of a Concept, in "American Historical Review", 1979; E. Collotti, Fascismo, fascismi, Firenze, Sansoni, 1989.

10 A. Del Noce, Totalitarismo e filosofia della storia, in "Il Mulino", 1957, n. 64; De Felice, interviste al "Corriere della sera", 1987, 1988, cit.

11 F. Furet, Il passato di un'illusione, Milano, Mondadori, 1995.

12 E. Nolte, Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945, Firenze, Sansoni, 1988.

13 Pavone, Una guerra civile, cit.

14 Sulla proposta di Pavone cfr. Passato e presente della Resistenza, cit., passim.

15 C. Schmitt, Le categorie del "politico", a cura di G. Miglio e P. Schiera, Bologna, Il Mulino, 1972.

16 Ivi, p. 115.

17 Ivi, p. 112. Cfr. le osservazioni di Schmitt sul percorso che deve seguire un movimento pacifista che voglia porsi ed agire realmente come forza politica, pp. 119-120.

18 Ivi, p. 115.

19 Ivi, pp. 23-24.

20 O. Hintze, Stato e società, Bologna, Zanichelli, 1980, pp. 202 sgg.