Storia

 

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Il nome di Terralba , dal latino Terra-alba, ha il chiaro significato di località caratterizzata dalla presenza di argille chiare,posto cioè in un’area di terre biancheggianti. La tradizione popolare racconta che vicino a Marceddì sorgeva il villaggio di Osca,detto anche Orri,fondata da Ercole Libico 364 anni prima di Roma.In seguito alle incursioni dei Saraceni i suoi abitanti si trasferirono a Neapolis,città fra le più popolate della Sardegna e sede vescovile.Ma anche questa località fu conquistata dai Barbari e gli abitanti superstiti fondarono Terralba,probabilmente nel 1017.Questi fatti non sono stati confermati da fonti ufficiali anche se trovano molto credito fra gli studiosi poiché,a causa delle incursioni degli stranieri sulle coste,la posizione interna di Terralba avrebbe favorito una maggiore sicurezza agli abitanti e per di più sarebbe stata una zona più propizia per l’agricoltura e l'allevamento.Dell’epoca feudale restano tre torri litoranee:Flumentorgiu,Torre Nuova e Marceddì,concepite per la difesa della costa dai pirati saraceni che,molto spesso,sbarcavano per saccheggiare i paesi.Nella sua storia Terralba non ha avuto tanta benevolenza dalla sorte che,a più riprese,non gli ha risparmiato le afflizioni ed i guai.Oltre alle incursioni saracene la cittadina fu afflitta dalla malaria,che in queste parti non era precisamente una malattia,ma un’ordinaria condizione di vita che accomunava quasi tutti e infine vi era il Rio Mogoro che con le sue piene aveva effetti rovinosi sui lavori agricoli.Neppure la bonifica di Arborea,agli inizi del secolo scorso fu interamente propizia a Terralba,perché se da un lato diede lavoro a tanti operai e braccianti per lungo tempo,dall’altro ridusse il territorio in misura angusta.Con i neapolitani si trasferì a Terralba anche il vescovo Mariano l0che portò nella nuova diocesi la statua di S.Pietro(Patrono di Neapolis),il crocifisso ligneo ed il pulpito. In quel tempo a Terralba vi era soltanto la Chiesetta di Santa Maria,la scelta di Terralba come sede vescovile fu un fatto di grande importanza storica e sociale e,mentre prima la cittadina viveva all’ombra di Neapolis,in seguito divenne capoluogo della zona, in un centro particolarmente florido,tanto che ebbe la forza economica di innalzare un tempio elegante e maestoso.Per eseguire l’opera fu chiamato dal continente gente esperta e qualificata e i lavori furono iniziati nel 1144.La diocesi fu soppressa nel 1503 dal Papa Giulio Il della Rovere e la sede vescovile fu trasferita ad Ales,anche se conservò la denominazione AlesTerralba-Usellus.Nel l527,Terralba,insieme a San Nicolò d’Arcidano,subì l’assalto e la razzia dei Corsari nordafricani e gran parte della popolazione doverono fuggire in campagna per non cadere nelle mani dei feroci predoni.Così l’abitato rimase deserto per oltre un secolo,fino al 1640,allorché il barone di Uras provvide a farlo ripopolare per Sebbene i tanti guai e le tante anguste,Terralba è cresciuta a prosperare.Alla fine del seicento aveva 899 abitanti,ne11761 furono 1385,oggi ne conta 10.800 e dopo il capoluogo,è il centro più popoloso della provincia di Oristano.E’ una cittadina fiorente per le attività commerciali,per un’ agricoltura sviluppata sulla produzione orto frutticola, sulla viticoltura d’avanguardia,per la produzione ittica di Marceddì.Lo stemma che identifica Terralba è il veliero e la torre che indica sicurezza per chi vi approda e per chi vi dimora vicino.Il veliero si riferisce al commercio passato e all’avvenire dinamico dei terralbesi.

Il periodo giudicale

Purtroppo si hanno pochissime notizie sulla vita di Terralba intorno all’anno mille, sappiamo solo che mentre i contadini europei credevano che il mondo finisse di lì a poco, la Sardegna era nel periodo giudicale. Ovviamente Terralba era nel giudicato di Arborea che era diviso in ben tredici curatorìe: Guilber, Barbagia di Ollolai, Campidano di Milis, Parte Barrigadu, Campidano Maggiore, Mandrolisai, campidano di Simaxis, Barbagia di Belvì, Parte Valeza, Parte di Usellus, Marmilla, Parte Montis, Bonorzoli. Terralba appartiene proprio a questa ultima curatoria.. La prima notizia certa di una cittadina chiamata Terralba è del 1048, grazie ad un documento in cui viene nominato Francesco I come vescovo di Terralba.Si pensa che già prima del 1048 Terralba fosse sede vescovile, infatti lo storico Lorenzo Manconi afferma che nel periodo bizantino il vescovo della chiesa Tharrense aveva come suffraganei i vescovi di Othoca, Terralba e Usellus.Questa notizia è confermata da Giorgio Alleo che nel 1684 scrisse dell’esistenza di una primitiva cattedrale eretta dal Vescovo Mariano.E’ certo che la Sardegna era divisa in diciotto sedi vescovili: quattro nel Giudicato di Cagliari, quattro nel Giudicato d’Arborea, otto nel Giudicato di Torres e due nel Giudicato della Gallura.

Una tradizione tramandata oralmente dagli anziani, narra la leggenda dei Santi Pietro e Paolo che vennero in Sardegna a predicare la parola di Dio fermandosi ad Osea(una città probabilmente mai esistita).Per rendersi visibili alla folla i Santi salirono su una pietra, che venne poi presa dal Vescovo che la conservò prima a Neapolis e poi a Terralba.Il Vescovo Mariano durante la costruzione della cattedrale fecce costruire anche un sotterraneo per custodire la sacra pietra e la statua di San Gregorio, che tradizionalmente è stato il primo patrono di Terralba.

In questo periodo probabilmente il paese era diviso in due nuclei abitativi vicini: il primo intorno alla chiesa di San Pietro detto anticamente Caminu Casteddu, il secondo nucleo era insediato intorno all’antica chiesa di Santa Maria (che ora non esiste più ), e per questo anticamente la zona veniva chiamata Santa Maria.Quando gli abitanti di Neapolis scapparono dalla loro città, assaltata varie volte dai Saraceni, e si rifugiarono a Terralba, occuparono le periferie di questi due nuclei.Queste due popolazioni giunsero ad un lento avvicinamento culminato con la costruzione di una chiesa a metà strada.

....AI GIORNI NOSTRI

L’inizio del XX secolo Fu atteso da tutto il mondo con trepidazione: come sempre, quando si passa da un secolo ad un altro, si spera che il mondo sia migliore: a Terralba (e forse non solo) le speranze erano tante ma le occasioni concrete di miglioramento ben poche in una cittadina che nel 1901 aveva 3.839 abitanti.Dopo qualche anno, però, furono attuate opere dirette a limitare danni per le piogge abbondanti, strade che portavano in campagna,molti canali e l’acquedotto per non comprare più l’acqua dai venditori.Molti terralbesi parteciparono alla Grande Guerra molti dei quali morirono. Dalla prima guerra mondiale a Terralba molti cambiamenti accaddero, come la cattedrale, la costruzione della casa del fascio e del Palazzo Municipale.Durante la seconda guerra mondiale Terralba partecipa nuovamente al conflitto e accoglie anche generosamente i cagliaritani, vittime del bombardamento degli inglesi. Terralba durante il periodo fascista era governata da un podestà ma dopo la caduta del regime vengono nominati sindaco e assessori secondo l’amministrazione comunale vigente anche in alti luoghi dal 1949.Nel 1945 il comune di Terralba conta 7.313 abitanti.Quella parte della gran pianura sarda del Campidano compresa tra i massicci dell’Arcuentu, del Monte Arci e del Monte Ferru, che si affacciava sul golfo di Oristano con una costa bassa, piatta quasi interamente occupata dalle regioni della Sardegna su cui i problemi generati dal dissesto idrogeologico franavano in forma più pesante.Terralba contava, nel 1918, 13.479 ettari ma la maggior parte dl patrimonio fondiario era composto di terreni aperti, incolti e paludosi. Terralba era invasa d’inverno dalle piene periodiche del Rio Mogoro e dei torrenti provenienti dal monte Arci, che precipitavano a valle con ritmo devastatore: dominate dalle acque stagnanti e dalla macchia acquitrinosa che alimentavano l’habitat della malaria la zona era costellata da decine di stagni, alcuni di quali molto estesi, come il Sassu, S’Ena Arrubia, che collegava il Sassu al mare, a ancora Pauli, Luri ecc.Particolarmente sfavorevoli erano le condizioni climatiche della fascia sabbiosa che si affacciava sul golfo di Oristano, a ridosso del Sassu, delimitata a nord dallo stagno di S’Ena Arrubia e a sud dall’insenatura di Marceddì e di San Giovanni: un territorio malarico di circa 6000 ettari, quasi completamente coperto di cespugli di erbe palustri, in sostanza deserto. La carta d’Italia dell’Ing, edita nel 1909, riporta per quest’area soltanto due case, una ad ovest ed una a nord dello stagno di Sassu. C’era spazio soltanto per una pastorizia primitiva, capace di sopravvivere sui magri pascoli delle marine. I seminativi e le colture legnose specializzate (vigneti, oliveti, frutteti, agrumeti) occupavano soltanto il 15% della superficie agraria, gli stagni e le paludi ricoprivano quasi tutto il territorio, e in particolare i terreni migliori, quelli limosi argillosi sabbiosi calcari alluvionali, che sarebbero stati suscettibili di un intenso sviluppo agricolo, ma che a quel tempo erano assolutamente inagibili. Per questi motivi il Consiglio Comunale si riunì l’undici novembre 1918, allo scopo di deliberare sulla possibilità di bonificare tutto il terreno terralbese. La proposta venne approvata all’unanimità e il progetto da stipularsi venne affidato alla giunta che, deliberò di accogliere favorevolmente la domanda secondo gli schemi stabiliti e per una durata di tre anni.Si dava inizio, nel 1922, alla bonifica del territorio terralbese. Il lavoro era molto faticoso ma ben retribuito: tutto il paese ebbe un relativo miglioramento economico. Sino al 1928 erano stati spesi per la bonifica 40 milioni di lire (una cifra astronomica per allora): dieci in mutuo dallo Stato, i restanti 30 formati da capitale giunto dal continente.Si operava su 18000 ettari di cui 9000 di proprietà della SBS (Società Bonifiche Sarde), il resto dei privati.

MARCEDDI

Il borgo di Marceddì ha una storia antichissima che risale addirittura al VI millennio a.c., epoca in cui si può riscontrare il primo popolamento della Sardegna.I popoli neolitici, che sbarcavano probabilmente dal Nord- Africa o dall’Iberia o, secondo gli altri studiosi, dall’Asia Minore, erano attratti soprattutto dall’ossidiana (pietra che si trovava in abbondanza sul Monte Arci e con la quale si potevano fabbricare numerosi arnesi) e dalle fertilissime terre della pianura di Terralba.Questi uomini sbarcarono proprio nel golfo di Oristano e presumibilmente nell’insenatura di Marceddì e di li si spostarono e popolarono altre zone della Sardegna.Narra la leggenda- e le leggende, si sa, hanno sempre un fondo di verità- che nel 478 d.C. (cioè nel periodo bizantino e in piena guerra tra Vandali e Romani) sbarcò nell’insenatura meridionale del Golfo di Oristano una grandiosa flotta al comando di un generale, tal Marcellino (o Marcelliano), che si sarebbe poi stanziato definitivamente nella costa e, a fusione avvenuta con gli indigeni, questi ultimi gli avrebberodedicato il porto, lo stagno e, più tardi, il borgo. Anche l’Angius pensa che il nome di Marceddì possa essere avvicinato a quello di Marcellino.E’ noto però che il generale Marcellino (o Marcelliano che dir si voglia), liberò si, la Sardegna dalla dominazione vandalica, ma mori poco dopo e l’isola fu nuovamente sottomessa dai Vandali.E’ da notare, anche se probabilmente campata in aria, la versione dello Spano.Nelle cronache antiche trovasi Marcellina Neapolis da un tal Marcellus che forse l’avrà riedificata.Più probabile dalla radice Mara (come Mara Arbarei) =fenicio Hamara: sito fangoso, acqua salsa, fango.Sbarcavano e frequentavano la laguna di Marceddì anche i Fenici e i Punici a partire circa dall’anno 1000 a.c. .Marceddì, infatti, possedeva stagni pescosissimi (attualmente le valli di Marceddì hanno un’estensione di 800 ettari, ma allora dovevano essere molti di più), che non mancarono di attirare l’attenzione delle antiche popolazioni marinare del Mediterraneo.Per buona parte del nostro millennio Marceddì fu frequentato sicuramente anche da navi italiche e iberiche.Si ha notizia di uno sbarco di Francesi nel porto di Marceddì nel 1522: pare che una grossa squadra di galee avesse riparato nella costa per il cattivo tempo e fosse pronta a scendere e depredarne gli abitanti. Ma i consoli di Oristano, prevedendo ciò condussero, capitanati da un certo Pontis, molti drappelli di Campidanesi a Terralba e dopo una feroce battaglia, nella quale rimasero uccisi numerosi Francesi, i Sardi ebbero il meglio, e i nemici dovettero tornare frettolosamente alle loro imbarcazioni.Nel 1527 ci fu un altro attacco- del quale abbiamo già parlato- alle spiagge terralbesi, questa volta per opera dei barbareschi capitanatida un certo Scacciadiavolo, ma questo sbarco fu fatale agli abitanti vicini: Terralba, Uras, Bonorcili e Arcidano furono completamente distrutti.C’è da credere che dopo questa furibonda battaglia Drugutte e i suoi siano andati a Terralba e abbiano predato quel poco che ancora poteva esserci, tanto che Fara una ventina d’anni dopo la trova “rasa al suolo”.Marceddì era difeso dalla Torre Vecchia che ancora si può ammirare assieme a quelle di Flumentorgiu (più conosciuta come Torre dei Corsari) e Torre Nuova (a Capo Frasca) costruite nel 1500, appunto per difendere quei posti e per avvisare i vicini villaggi dell’arrivo di battelli nemici.Probabilmente un piccolo villaggio nella spiaggia di Marceddì esisteva già nel 1700, visto che Marceddì era chiamato anche “Corru e Prama”, nome che gli rimase sino a metà del ‘900 e che indicava appunto il gruppo di case da Punta Caserma alla Torre.Oramai questo appellativo è caduto-in disuso. Nel 1800 erano di stanza a Marceddì alcuni soldati perché l’incubo delle incursioni dei pirati nordafricani non era ancora finito.Nel 1815 entrarono nella rada di Marceddì sette legni da guerra, capitanati da pirati tripolini, tunisini e algerini, ma probabilmente anche stavolta furono sbaragliati dai Terralbesi- che in quel periodo erano in quasi quattrocento a difendere le coste- e dagli altri abitanti accorsi in difesa. Una descrizione accurata di Marceddì e delle sue peschiere nella prima metà del secolo scorso ce la fa Vittorio Angius: in questo periodo la Peschiera di Marceddì, che come abbiamo visto, fu infeudata da Pietro Ripolì, Marchese di Neoneli, era appaltata per diecimila lire nuove l’anno. Ogni giorno si pescava ciascuno per conto proprio, ma una volta la settimana, quando venivano i compratori, si faceva la pesca grande, alla quale partecipavano tutti i pescatori.In ogni peschiera erano necessarie almeno cinque persone: il guardiano, il pesatore (pesargiu), due servi e un uomo a cavallo che portasse le cose necessarie al vitto e vendesse il pesce.Per calare una peschiera non occorrevano meno di cinquecento scudi tra puliturà dei canali, rifacimento delle palizzate con le canne e le reti nuove.A marzo e aprile si apriva la comunicazione con il mare, per far si che l’acqua dello stagno cambiasse e si riempisse di nuovo pesce.A Maggio e giugno si facevano le nuovecannicciate e si rinnovava tutto. La canna vecchia era venduta ai vignaioli, che la utilizzavano per sostenere i tralci.Le paghe erano le seguenti: ai servi 24 scudi all’anno, la manutenzione e qualche dono, al pesatore 40 scudi e al guardiano lo stipendio maggiore: 60 scudi.Nei giorni di magra e di digiuno ai lavoratori era dato il cosiddetto “pisci de partis”(pesce di spartizione).Questo era anche il periodo in cui Marceddì superò per giro di affari persino il porto di Oristano.Infatti, i commercianti del Campidano di Oristano preferivano scendere sino a Marceddì per imbarcare la propria mercanzia, piuttosto che andare ad Oristano e pagare un fortissimo pedaggio alla città per entrare a Torre Grande. Cosi i consiglieri comunali di Oristano chiesero al governo l’interdizione del Porto di Terralba, ma la domanda non ebbe esito positivo per gli Oristanesi.Bisogna tuttavia notare che fin dal 1830 èattestata, almeno in forma indiretta, la presenza della dogana a Marceddi: infatti, il 4 novembre di quell’anno morì il Preposto(cioè l’agente della Guardia di Finanza) Lorenzo Castagnerì di Torino, che prestava servizio a Marceddi. Egli parla anche dei tartufi che abbondavano nel territorio e che erano portati al mercato di Cagliari.Il porto era frequentato soprattutto dai mercanti genovesi che compravano enormi quantità di vino Terralbese, che era smerciato persino in Francia, dove era usato per tagliare e correggere i prelibati vini d’oltralpe.A partire almeno dagli anni ‘20 dell’Ottocento a Marceddì c’era il Capitano di Porto, che aveva il compito di controllare e registrare le merci in arrivo e in partenza.Questa carica fu per trent’anni di competenza del già nominato Notaio Michele Battista Pinna, che per il diligentissimo lavoro fu nominato Vice Console per la Spagna e per la Francia.Il re di Sardegna, con patente del gennaio 1835 aveva creato un’intera Deputazione Sanitaria allo scopo di favorire l’importazione e l’esportazione da Marceddì.

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