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PSICOLOGIA DELL'INVECCHIAMENTO

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"La società cresce troppo in fretta e per questa ragione, forse, non ha tempo di di riconoscere nulla: ancor meno il valore di coloro di cui in fretta intende sbarazzarsi"

(V. Chesi)

 

 

L’invecchiamento è un fenomeno non soltanto biologico bensì anche psicologico. Quando una persona comincia a guardare indietro al proprio passato con nostalgia sempre più forte e al futuro con ansia e insicurezza, quando il passato appare globalmente sotto una luce positiva mentre il presente e ancor più il futuro si prospettano carichi di ombre inquietanti, allora si può dire che si è entrati nell’ultima parte della vita, nella senescenza.

 

Volendo fare una descrizione dell’invecchiamento psicologico "tipico", potremmo dire che l’anziano si muove e pensa lentamente, non pensa più in modo creativo perché è ancorato a se stesso e al proprio passato; apprende male e lentamente, anzi a volte non desidera affatto imparare cose nuove e ha in antipatia le innovazioni perché è legato alle proprie convinzioni personali e quindi vive senza aspirazioni, abbandonandosi ai ricordi. Oltre a non avanzare, l’anziano spesso regredisce, entra in una specie di seconda infanzia, diventando sempre più egocentrico, disposto a ricevere più di quanto dà, irritabile, litigioso, capriccioso come i bambini (la parola rimbambito significa proprio "ridiventato bambino").

 

Tutto ciò accade perché la persona anziana ha ormai perso irrimediabilmente amici, marito o moglie, lavoro, status sociale, potere, reddito e credibilità; quasi sempre ha "perso" anche i figli, nel senso che questi si sono sposati e hanno lasciato la casa dei genitori per costruirsi una propria famiglia; spesso è anche presa da malattie che riducono ulteriormente le possibilità di muoversi o di apprezzare le piccole gioie della tavola e gli altri piccoli piaceri della vita.

 

Per l’uomo i primi veri segni di invecchiamento psicologico cominciano con il pensionamento. In una società come la nostra l’uomo viene identificato come soggetto produttivo e quindi il pensionamento, cioè la cessazione dell’attività lavorativa e produttiva, viene a togliere all’uomo il suo ruolo, il suo elemento valorizzante, relegandolo così in una posizione marginale della società. Tale emarginazione non è quasi mai ben accetta e comporta così l’inizio di disturbi psicologici di vario tipo.

 

Per quanto riguarda la donna, già con l’arrivo della menopausa si cominciano a vedere netti segni di invecchiamento psicologico, pur potendoci essere differenze anche grandi a seconda della personalità del soggetto. 

Come la pubertà rappresenta per la donna l’inizio della vita sessuale con tutte le implicazioni psicologiche relative, così la menopausa costituisce per la sua immaginazione la fine della vita sessuale intesa come fertilità e a sua volta associata con il rapporto con l’uomo. La donna, cioè, quando arriva la fine delle mestruazioni, non essendo più fertile, più o meno inconsciamente avverte di aver esaurito un proprio ruolo fondamentale e comincia a sentirsi inutile sia come essere umano sia soprattutto come moglie. 

Spesso ne consegue una diminuzione, e a volte la totale scomparsa, del desiderio sessuale e quindi una diminuzione dei rapporti sessuali e anche dei rapporti affettivi. In questo modo si può manifestare una conflittualità sino a quel momento latente, anche perché il marito (di solito ancora in buono stato fisico) vorrebbe invece continuare a vivere come prima il suo momento sessuale con la moglie. 

Se a questo aggiungiamo un ambiente familiare noioso, l’avvicinarsi del pensionamento e il fatto che i figli ormai grandi se ne sono andati e non costituiscono più un legame, allora possiamo capire perché non raramente i matrimoni falliscono e ci sono molte separazioni proprio poco tempo dopo l’arrivo della menopausa, dopo decenni di vita in comune trascorsi apparentemente senza grosse crisi.

Comunque, al di là dei possibili divorzi, la donna che non ha un lavoro proprio, che non ha un’autonomia economica e sociale, che non ha particolari gratificazioni al di fuori dell’ambiente casalingo, più facilmente soffre (e invecchia) dal punto di vista psicologico dopo l’arrivo della menopausa. 

Di solito questa donna comincia a dedicarsi con più cura ai figli per imporsi come madre ma soprattutto come femmina; però è proprio a quest’età che i figli sono più grandi, diventano indipendenti e lasciano la casa e quindi lei si sente sola, si sente tradita, si sente abbandonata. Per vivere ancora l’importanza del proprio ruolo può essere indotta a voler ugualmente influire sulla vita dei figli anche se questi si sono sposati, ma con certe premesse i risultati sono spesso negativi. 

Questo atteggiamento psicologico può aggiungersi e quindi può aumentare i possibili disturbi fisici e soprattutto i disturbi neuro-psichici (depressione, ansia, angoscia) conseguenti alla modificazione ormonale tipica dell’età della menopausa.

 

In conclusione, secondo il pensiero comune l’anziano "tipico" è visto come una persona debole e priva di interessi, che occupa una posizione sociale emarginata, che ha perso qualsiasi ruolo importante, che attende la morte tra mille ricordi e mille paure, sentendosi un peso per la società, per la famiglia e per se stesso.

 

Si potrebbero inoltre tracciare alcuni particolari profili classici dell’invecchiamento psicologico:

  1. Costruttività: un uomo dotato di senso dell’umorismo, tollerante, consapevole di se stesso e con una infanzia felice, di solito accetta relativamente bene l’invecchiamento, il pensionamento e la morte, non ha eccessivi rimpianti e soprattutto riesce a guardare al futuro e a conservare la capacità di trovare piacere (nel cibo, nel lavoro, nel bere, nel sesso ecc.).

  2. Dipendenza: una persona ambiziosa, socialmente passiva, con buona capacità di osservazione, molto ottimista ma non pratica, tendente ad essere dominata dal partner, di solito è contenta di andare in pensione, adora le vacanze ed abbonda in cibo e bere, ma alla fine non è affatto soddisfatta di questo tipo di vita.

  3. Difesa: una persona con una vita professionale stabile, ben adattata, socialmente attiva, che ha sempre rifiutato aiuti, emotivamente molto controllata, abitudinaria, che agisce solo quando vi è costretta, di solito è molto spaventata dalla vecchiaia e quindi cerca di rimandare il più possibile il pensionamento non vedendone i vantaggi né gli svantaggi.

  4. Ostilità: una persona lamentosa, sospettosa, aggressiva, spesso con vita professionale instabile, vede solo svantaggi nella vecchiaia, invidia molto i giovani e ha il terrore della morte.

  5. Rifiuto di se stesso: una persona sprezzante di se stessa, molto critica, con poche ambizioni, socialmente ed economicamente in progressivo declino, con matrimonio spesso infelice e pochi hobbies, che si sente vittima delle circostanze, accetta di buon grado il fatto di invecchiare e non invidia i giovani, anzi spesso è stanco della vita e considera la morte come un sospirato sollievo.

 

Tutte queste descrizioni sono in realtà soltanto miti, stereotipi, cioè modelli convenzionali che si basano su opinioni precostituite, generalizzate e troppo semplicistiche.

In particolare è da considerarsi troppo semplicistica la visione dell’anziano come persona debole, mentalmente lenta e priva di interessi: infatti la maggior parte delle persone di età avanzata (circa il 70-75%) è intellettualmente e socialmente abile, mentalmente vivace, interessata all’ambiente che la circonda (e sarebbe anche produttiva se le si desse l’opportunità di fare qualche lavoro).

 

Bisogna inoltre sapere e tenere sempre presente questo fatto: negli anziani che presentano declini intellettuali spesso la causa non è necessariamente l’inevitabile processo biologico dell’invecchiamento bensì tutta una serie di stress psico-emotivi (problemi psicologici legati alla salute fisica, impedimenti nello svolgimento delle normali attività quotidiane, mancanza di partecipazione ad attività gratificanti, scarsa quantità o qualità dei contatti sociali, luogo di residenza inadeguato, problemi economici ecc.) legati all’avanzare dell’età, stress che almeno in buona parte potrebbero essere prevenuti o trattati.

 

Altro fatto importante da tenere presente è che la gamma delle espressioni della vecchiaia è molto estesa e varia a seconda delle caratteristiche socioculturali, professionali, geografiche ecc., per cui è assolutamente impossibile pensare che le persone anziane costituiscano un gruppo omogeneo dal punta di vista psicologico. In altri termini, bisogna considerare la vecchiaia soprattutto come un’esperienza del tutto personale, individualizzata che, pur essendo certamente il risultato di fenomeni di deterioramento biologico comuni alla media delle persone, è conseguenza dell’accumularsi di tutti quei particolari traumi fisici e psicologici che contrassegnano l’esistenza di ogni essere vivente in modo diverso dagli altri.

 

Forse però il vero problema non è tanto da ricercarsi nell’anziano quanto nell’ambiente che circonda l’anziano stesso. Per esempio, la scomparsa degli amici e dei famigliari impegna i vecchi nella ricerca di alternative in cui reinvestire le proprie potenzialità psico-emotive, ma purtroppo la sostituzione di amici e parenti è spesso impossibile perché l’ambiente erige una vera e propria barriera contro ogni tentativo di rinnovare legami vitali.

Quindi, le esigenze e le energie psicologiche insoddisfatte finiscono per essere rivolte verso l’interno e per innescare tutta una serie di sofferenze che ci fanno vedere l’anziano come egocentrico e troppo preoccupato di sé: tutto ciò non fa altro che spingere l’anziano verso un isolamento ancora maggiore e una solitudine ancora più profonda.

 

Considerando la nostra società italiana o comunque in generale le società industrializzate, non c’è dubbio che esistono persone anziane che non vengono emarginate (ad esempio quelle particolarmente creative oppure quelle ricche) e che conservano larghi spazi di partecipazione e talvolta addirittura di guida. Purtroppo, però, si tratta sempre di minoranze. L’atteggiamento sociale generale è infatti quello di emarginare, di ghettizzare tutti i soggetti non produttivi o considerati irrecuperabili. In questo tipo di società orientata verso valori di esasperata vitalità ed efficienza, posseduta dal senso del futuro, è evidente che non c’è posto per i vecchi, che chiaramente non hanno alcun futuro.

Quindi nell’anziano si genera un progressivo senso di insicurezza e di ansia perché si sente fisicamente inadeguato a far fronte alla domanda sociale di prestanza e produttività: è proprio per difendersi da questa ansia che l’anziano si irrigidisce sulle proprie convinzioni passate e diventa conservatore, ma ciò non fa altro che produrre ulteriore solitudine ed isolamento.

 

Nei casi estremi il vecchio si difende dal senso della propria impotenza accusando gli altri di ingannarlo, di derubarlo, di prenderlo in giro e questo lo fa soprattutto nei confronti delle persone che lo assistono perché inconsciamente le giudica colpevoli di sottrargli la padronanza di se stesso, confermando la perdita delle sue facoltà.

Un altro meccanismo di difesa messo in atto dalla maggior parte degli anziani è la perdita della memoria recente e l’esaltazione di quella passata. L’anziano dimentica facilmente i fatti recenti sia perché è sganciato dalla realtà attuale (e quindi dimentica cose che effettivamente non lo interessano), sia perché si difende dalla povertà del presente dimenticandolo a mano a mano che esso lambisce la sua esistenza. La memoria per i fatti lontani, invece, viene addirittura esaltata perché, ricordando i tempi in cui aveva prestanza fisica e ruolo sociale, l’anziano rinnova una valutazione ed una stima della propria persona che la condizione di vecchio sembra negargli.

 

Un capitolo a parte meriterebbe la questione dell’attività sessuale dell’anziano. Qui mi limiterò a ricordare che, in brutale violazione di profonde esigenze psicologiche e di naturali possibilità fisiologiche, la sessualità dell’anziano è considerata generalmente come di cattivo gusto, se non addirittura di oscenità.

Bisognerebbe invece prendere coscienza del fatto che il bisogno di intimità e di amore può essere avvertito in modo più critico che mai nell’età avanzata proprio per tutti i motivi che prima abbiamo detto e cioè per la perdita del coniuge, del lavoro, della famiglia, del prestigio ecc. In realtà noi sappiamo bene che gli ospedali e gli istituti per lungodegenza sono organizzati in modo da impedire qualsiasi attività sessuale dell’anziano, dimenticando che sarebbe di vitale importanza poter procurarsi quel tipo di sfogo e di soddisfazioni fisiche e psichiche che sono necessarie anche, e forse soprattutto, in età avanzata.

 

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