commenti ad alcuni film

"Mai perdere la strada che porta a tua madre"
dice Jessica Lange
in "Non bussare alla mia porta"di Wim Wenders

”Sono accadute cose tremende ma a volte arriva la più grande felicità nei momenti peggiori” dice Edith Mbtjana (Jeanne Moreau). Questo film è una moderna odissea che traghetta direttamente nel secolo attuale; la scena che ho citato è situata in Australia e pensare alle “Vie dei Canti” è inevitabile.
Un viaggio nello spazio (Lisbona, Tokio, Australia, Berlino...) ma anche nel tempo (le tre parti in cui è suddiviso il film fanno pensare infatti al passato, presente e futuro) e anche a un movimento interiore, la ricerca dell'altro e delle relazioni (l'amore cieco e appassionato tra i due protagonisti, l'enigmatico Sam Farber alias Trevor McPhee e l'affascinante Claire) e la profonda immersione in sè stessi (rispecchiato dallo studio dei sogni nel laboratorio del dottor Farber, padre di Sam).
Suonando il pianoforte, Sam Neill scopre, quasi alla fine del film, lo scopo del suo/loro viaggio: “far sbocciare questa musica, sull'orlo della fine del mondo. [...] Sentii che la musica era preghiera, per il pianeta Terra ferito”.


"La vita non è giusta nè sbagliata nè bella nè brutta"
"Non desiderare la donna d'altri" di Suzanne Bier (2004)

"Uomini e dei erano vicini"
"Sono diventato tuo amico per amore del mondo"
"Mahabharata" di Peter Brook

"La demoiselle d'honneur" di Claude Chabrol (2004)

La ragazza del titolo si fa chiamare Senta ma in realtà ha un altro nome e già questo ci introduce nel suo mondo; lei è affascinante e il giovanotto protagonista ovviamente è sensibile al suo fascino. Lei sembra soltanto stravagante perché inventa storie di vario tipo ma la realtà è che rasenta la pazzia, fino a indurre il ragazzo a commettere cose poco edificanti. Ma lui, pur nel vortice della insensatezza di lei, mantiene la ragione, in un crescendo di delirio e incredibili rivelazioni.
Un dolore giovanile si è fermato nel cuore di lei e le fa perdere il contatto con la realtà, creando illusioni e miti personali. Una vendetta inutile, sottile, il cui esito non potrà non esplodere nel finale del film.
Una pellicola creata con maestria, piena di immagini pulite ed eleganti, con attori comunicativi e ben equilibrati in ruoli non facilissimi.




"La finestra di fronte" di Ferzan Ozpetek



Questo film è un atto di amore verso Roma e i tormenti subiti durante la guerra. Storie parallele, impossibili, anche a distanza di anni. Le difficoltà rimangono. “Non si accontenti di sopravvivere” è il grido di Massimo Girotti che stimolerà la creatività di Giovanna e la spingerà verso la ricerca di qualcosa che la soddisfi. Lei così ricorderà un amore appena sfiorato e la lezione del vecchio pasticcere ebreo: "Ho paura di avere già cominciato a dimenticare il suo volto, a non ricordare più la sua voce […] ma poi all’improvviso sento i tuoi gesti nei miei, ti riconosco nelle mie parole. Tutti quelli che se ne vanno ti lasciano sempre addosso un po' di sé. È questo il segreto della memoria? Se è così, allora mi sento più sicura perchè so che non sarò mai sola." Vite amalgamate. Lasciti emotivi.







commenti ad alcuni film

“Le piogge di Ranchipur” (1955) di Jean Negulesco
Tutto ruota intorno a una donna definita “egoista”, “a cuore zero” come sostiene il marito, e più oltre “avida, dura e prepotente”, forse non a torto.
Tra reputazioni traballanti e pettegolezzi orientali, una caccia alla tigre per occidentali annoiati e citazioni di Dante e Shakespeare, sboccia un amore improbabile tra la ricca bionda e un (ex)intoccabile Rama Safti, un Richard Burton con e senza turbante. Nessuno pare ricordare che le caste non si dimenticano, soprattutto decenni fa.
Fortuna che la maharani, la poco credibile attrice russa Eugenie Leontovich, ci omaggia della sua saggezza con un perentorio “Io so cos’è l’amore”, ma le sue parole non hanno alcuna presa sulla spregiudicata Lady Edwina Esketh-Lana Turner.
Ma il film è ricco di ben altri dialoghi imperituri:
“Ti amo. Mi ami?” chiede Burton. Dopo un’esitazione ben calibrata, Turner risponde, gettandosi tra le braccia di lui: “Infinitamente!”. Al che l’indiano non può che constatare il baratro che si spalanca loro dinnanzi: “Allora non posso fare nulla”. Bollywood era – stranamente - ancora lontana.
Poco dopo, fragile preda di un disastro monsonico, Edwina si dibatte, urlando in piena fase isterica: “Io ho sempre avuto più soldi di tutti!”. Al che la natura non può che prodursi in una furia catastrofica, scatenando un implacabile terremoto con l’immediato crollo della diga e la minaccia di una peste imminente, come se l’universo tutto si ribellasse alle idiozie romantiche dei borghesi colonizzatori.
Subito dopo un intervallo eccessivo di macerie e fuggifuggi generale, riprendono i dialoghi indimenticabili:
“Sto per morire”, sostiene Edwina, “Mia cara, non faccia così. Ho fatto tutto quello che potevo. […] Ora le porto le aspirine.” È il sostegno della sua salvatrice.
Quando tutto sembra perduto, la nostra eroina ritroverà l’odiato marito e il sacrificio dei sentimenti marcherà il finale.

“I quattrocento colpi” (1959) di François Truffaut
Un delizioso Jean-Pierre Léaud, quindicenne, in un bianco e nero struggente, delinea una storia tenera, evidentemente pre-Telefono azzurro. È il primo capitolo della storia di Antoine Doinel, eroe di altre pellicole (“Baci rubati” - 1968, “L’amore a vent’anni” – 1962, “Non drammatizziamo... è solo questione di corna!” – 1970, “L’amore fugge” - 1978) di un già maturo Truffaut che nel 1959, anno di realizzazione del film, ha solo 27 anni. “Uno sguardo duro” disse il regista. Autobiografico.
“Il avait un isolement affectif” dice al riguardo l’amico Robert Lachenay.
E a proposito di Léaud: “un monello”, “una personalità che non si poteva fare a meno di notare”.

"Fino alla fine del mondo" (1991) di Wim Wenders (versione estesa)
"Sono accadute cose tremende ma a volte arriva la più grande felicità nei momenti peggiori" dice Edith Mbtjana (Jeanne Moreau). Questo film è una moderna odissea che traghetta direttamente nel secolo attuale; la scena che ho citato è situata in Australia e pensare alle "Vie dei Canti" è inevitabile. Un viaggio nello spazio (Lisbona, Tokio, Australia, Berlino...) ma anche nel tempo (le tre parti in cui è suddiviso il film fanno pensare infatti al passato, presente e futuro) e anche a un movimento interiore, la ricerca dell'altro e delle relazioni (l'amore cieco e appassionato tra i due protagonisti, l'enigmatico Sam Farber alias Trevor McPhee e l'affascinante Claire) e la profonda immersione in sè stessi (rispecchiato dallo studio dei sogni nel laboratorio del dottor Farber, padre di Sam). Suonando il pianoforte, Sam Neill scopre, quasi alla fine del film, lo scopo del suo/loro viaggio: "far sbocciare questa musica, sull'orlo della fine del mondo. [...] Sentii che la musica era preghiera, per il pianeta Terra ferito".

“Mezzanotte nel giardino del bene e del male” (1997) di Clint Eastwood
Elegante film senza pesanti insegnamenti.
“Le risposte non esistono”. A volte molta saggezza ci viene dalla visione dei film. Per questo restiamo incollati davanti allo svolgersi, lento o veloce, delle storie. Un delitto piccante in una provincia americana. Ogni cosa è portata a galla, ciò che nascondiamo con minore o maggiore abilità.
Azzeccato il personaggio (vero) di Lady Chablis (Benjamin Edward Knox, 1957), che testimoniando in tribunale esordisce: “Io fumo un po’ di erba. Che vuole? Sono una ragazza all’antica.”

"Festen" (1998) che mi era piaciuto appena uscito, e adesso, rivisto con occhi ovviamente diversi, mi è parso ugualemente significativo. Il Dogma mi convince abbastanza, anche se presenta alcuni aspetti rigorosi, e il tema affrontato nel film è interessante e doloroso, ma non scontato e fonte di riflessioni. Una festa grazie alla quale il passato emerge con tutta la sua crudezza e costringe, per mezzo della sincerità di Cristian, gli altri membri della famiglia a vedere infine le cose da decenni occultate con destrezza, e affrontare la verità. Da vedere, ancora.
La regia, da non dire perché si tratta di un Dogma, è di Thomas Vinterberg.

“Magnolia” (1999) di P.T.Anderson
C'è la consapevolezza che certi atti sono irreparabili, come le molestie di Jimmy e il furto di Donnie; mentre risentimenti e tanti dolori vengono a galla, la guarigione di alcuni (Linda e Frank) è possibile. Qualcuno dice: “Però a volte si può perdonare”. E scoprire così nuove verità.
La stravagante pioggia di rane, ormai simbolo del film, invita e obbliga a riflettere su ciò che stiamo facendo.
“but it did happen” si legge in un momento del film, e altrove lo stesso Donnie afferma “Ho amore da offrire” come un lamento disperato. “You can save me” canta Aimée Mann, nella meraviglia di tutta la colonna sonora.
Il sorriso finale sul volto di Claudia ci aiuta a sperare con dolcezza. Può accadere.

“Grazie per la cioccolata” (2000) di Claude Chabrol
Altro che cioccolato degli Atzechi. Come ci insegna candidamente l’eroina del film, è sempre meglio aggiungere alla gradevole bevanda un gradevole quantità di benzodiazepine, per stordire le persone ‘care’ che sono intorno e controllare in tal modo la situazione. La fredda Marie-Claire Muller, regina del cioccolato, riesce nei suoi piani diabolici, che via via scopriremo, ma qualcosa sfuggirà più tardi al suo controllo. Non ce la farà a sbarazzarsi di due ragazzi: il figliastro e la giovane pianista che si intrufola in casa sua, col sospetto di essere la figlia del marito. Insomma lei è determinata nel voler eliminare coloro che possono minare l’affetto che gli altri potrebbero nutrire nei suoi confronti.
“Vertiginoso". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 10 novembre 2000)

“I Tenenbaum – In ogni famiglia c’è una pecora nera. In questa lo sono tutti“ (2001) di Wes Anderson
La famiglia in questione è separata o sta per farlo; il padre ha da anni abbandonato la sua truppa, e ognuno ha cercato equilibrio e la gestione della propria genialità.
Il clima è spesso paradossale e regna la freddezza del cuore, così almeno apparentemente. In questa famiglia vive fantasia e originalità che fanno crescere. In ogni caso è un omaggio al clan e all’affetto che contiene.
Forse la famiglia è importante per Anderson o semplicemente è il nodo cruciale di molte tematiche vitali: lui è secondo di tre fratelli, Eric e Mel, con cui a volte collabora, e tre sono i fratelli (Chas, Margot – adottata - e Richie) in questo film e ne "Il treno per il Darjeeling"; sua madre Texas Ann Burroughs è stata archeologa, come la signora Tenenbaum, interpretata da Anjelica Huston (Anderson è nato a Houston - Texas) sarà anche la madre in fuga dei tre fratelli de "Il treno per il Darjeeling".
Dai tempi della loro frequentazione dell'Università di Austin, Wes è amico dei fratelli Owen e Luke Wilson, entrambi presenti in questo film; ma in questa pellicola c'è anche il maggiore degli Wilson, il meno noto Andrew.

"Gerry" (2002) di Gus Van Sant
Due ragazzi imboccano un wilderness trail, per poi perdersi nel silenzio onnipresente di una natura difficile; finiranno per soccombere di fronte la vastità della vita e della via che hanno lasciato. Si parlano, ma tutto è vano. Il silenzio, poi l'immobilità, la confusione della mente, i miraggi, il nulla, l'abbandono. Gerry delira, cerca l'acqua mentre Gerry esita, lo aiuta.
Anche in "Belli e dannati" due ragazzi percorrono una strada, in moto, in una distesa geometrica, ipnotica, sconfortante per la difficoltà a stadilire una direzione, una direzione da assegnare alle proprie esistenze. Questo film è quasi un documentario lento, ritmato dai battiti dei cuori dei due ragazzi dal simbolico nome Gerry.
"I mean, there were so many just different Gerries along the way... "
Anche il linguaggio è parte del loro mondo, inscindibile, tanto che certi termini e verbi non possono essere altrimenti concepiti: "we could have just Gerried off", "we Gerried off", "we totally Gerried the scout-about", "you Gerried the rendezvous".
Uno solo dei due uscirà dall'incubo, dalla iniziazione fisica, dal percorso imposto: solo una parte di sé, solo uno dei gemelli avrà la meglio e la possibilità di sopravvivenza. Ne uscirà rafforzato? Occorerebbe conoscere la sua vita futura.
"I thought maybe you'd succumbed."
"I almost did succumb, but then I turbanned up, and I feel a lot better."
Girato in Argentina, Utah e Death Valley con immagini notevoli, nuvole in primis.
Gerry è il primo film della "Trilogia della Morte" di Van Sant, con "Elephant" e "Last Days". Le musiche dell'estone Arvo Pärt, esponente del minimalismo sacro, contribuiscono ad accrescere il senso di straniamento proprio di tutto il film.

“Matrimoni e pregiudizi” (2004) di Gurinder Chadha
Oltre le ombre del colonialismo, l’India di oggi si trasforma, con uno sguardo attento alle donne, ora più consapevoli del loro ruolo nella società. Il grande paese asiatico offre tradizioni che gli occidentali stanno rivalutando e che i giovani indiani tendono a lasciarsi indietro. Progresso e tradizione, consumismo e affetti, tutto si scontra quando mondi e tempi diversi si incontrano.
“Take me to love” canta e recita la bellissima Aishwarya Rai, classe 1973 e Miss Mondo 1994, membro della giuria al Festival di Cannes nel 2003.
Canzoni trascinanti e tipici balli indiani colmi di colori e sana vivacità.

“Super Size Me” (2004) di Morgan Spurlock
Un coraggioso emulo di Michael Moore si immerge nei recessi culinari, i peggiori d’America, ahimè sbarcati anche nelle nostre terre in qualità di avvelenatori dei nostri stomaci e delle nostre vite. È triste vedere come molta gente non sia ancora consapevole dell’importanza del cibo, della sua qualità – in un’epoca dove ci si deve difendere da OGM e sofisticazioni varie – e dell’influsso di ciò che ingeriamo ha nella nostra esistenza. Cibo = salute = abitudini = qualità della vita.
Obesità e ottusità cerebrale: oltre alle speculazioni ($) aberranti delle ben note multinazionali, le pessime abitudini alimentari inducono comportamenti sempre più dipendenti.
Un supplizio per il regista-protagonista, 30 giorni di puro cibo McDonald's e assenza di attività fisica (quanti ci si possono riconoscere?), considerando anche che la fidanzata pratica cucina vegetariana con ingredienti biologici! Interessante vedere come, nonostante Spurlock si renda conto della scarsa qualità del cibo e della aberrante (super size) quantità che è invitato ad acquistare, dopo poche ore dall’assunzione dello stesso, abbia desiderio di mangiarne ancora. I 300 milioni di individui obesi nel mondo ringraziano. Ma capiranno?
L’impatto sociale-mondiale non è da poco: la McDonald's, creata nel 1940, ha dichiarato nel 2007 un fatturato di 22.7866 miliardi di dollari. In Italia ha aperto nel 1985, a Bolzano.
Il film contiene molti altri spunti di riflessione tra cui l’educazione alimentare (assente) nelle scuole, se non rarissimi casi.
CANDIDATO ALL'OSCAR 2005 COME MIGLIOR DOCUMENTARIO

Un film del 2005, "Le mele di Adamo", di A.T.Jensen, paradosale e filosofico, surreale e concreto.
Un film sulla consapevolezza e la relatività del bene e del male. Un sacerdote e un neonazista: chi avrà la forza di credere o di vivere? ben giocato anche grazie a una recitazione asciutta e a un taglio cinematografico pulito, con tante immagini simboliche, mele, vermi, corvi e molto altro. alcune scene del film rimangono impresse e viene voglia di rivederlo per meglio cogliere certi passaggi meno ovvii, e ce ne sono molti, vi garantisco. Pronti al cambiamento imprevedibile ?

“L’estate del mio primo bacio” (2005) di Carlo Virzì
Precoci o solo sfortunate, le Lolite potenziali del 1987 con le loro ingenue tecniche di seduzione sono ragazzine inquiete di fronte ai misteri della vita/sesso, senza nessun aiuto al loro fianco e tanta confusione indotta da genitori presi da ben altri impegni (nevrosi/presunta crisi letteraria lei, tradimenti con una giovane amante volgare lui).
Restano la Tata - ma anche lei, conscia della solitudine, cela desideri e la voglia di cedere alle profferte di un anziano ma sincero corteggiatore – e gli accorati - e finti - appelli a Telefono Azzurro (mitomania adolescenziale, illusione di crearsi una personalità/attirare l'attenzione mancante da parte di genitori), insomma sostituti d'affetto piuttosto remoti.
La protagonista è una ragazza sensibile - sue anche le riflessioni sulle differenze di classe, indotte dalla frequentazione del giovane pulitore della loro piscina – e si avvia con trepidazione coraggiosa verso le sue prime delusioni erotico-affettive. Queste saranno dovute agli impulsi più adulti di pariolini che si reputano onnipotenti, magari solo perché il loro 'papi' è pronto a comprare Mercedes o altri orpelli per scaricare a loro volta sensi di colpa.
Strepitosa la giovane Gabriella Belisario: le si augura una lunga permanenza nel mondo del cinema. Indimenticabili le immagini a bordo piscina, in scintillante stile almodovariano, patinate al punto giusto, glamour irreale, sano ironico kitsch.

"Diario di uno scandalo" (2006) di Richard Eyre
Molto ben recitato, storia interessante che apre con lentezza i propri veli, per delineare gli aspetti intimi dei protagonisti. Condito da antichi bisogni, errori ripetuti e sfide alla società. Sheba (Cate Blanchett) ha sposato un suo professore, e un suo studente quindicenne diviene suo amante, sotto lo sguardo severo di Barbara (Judi Dench), collega evidentemente desiderosa. Cicli, non forse eterni...

"In memoria di me" (2006) di Saverio Costanzo
Immagini asciutte, spoglie, belle, quasi monocromatiche, che inducono alla riflessione.
"Il mondo non cambia se prima non cambio io" dice uno dei novizi. Il film ci immerge nel duro cammino di una ricerca profonda, intima, dolorosamente personale. Quasi un perdersi, l'annullarsi dell'ego per trovare lo spiraglio giusto di vita e dare un senso. Solitudine, regola prima, ordine e passi furtivi, porte chiuse, timori e dubbi evidenti. E ancora solitudine.

“Le particelle elementari” (2006) di Oskar Roehler, con Moritz Bleibtreu e Martina Gedeck.
Fedele all’omonimo libro di Michel Houellebecq, il film è un insieme di quadri che descrivono eventi possibili, la vita nelle sue varie forme, traumi dell’infanzia, fratellastri simili e sfigati. Esiste la tregua nella vita, a volte, ma bisogna essere sempre pronti.

“Marie Antoinette” (2006) di Sofia Coppola
La storia vista dall’interno di Versailles. Il popolo è in fermento e si agita fino a rompere i vetri della grande residenza: la paura compare per la prima volta sui volti degli augusti regnanti. Ma cosa è accaduto prima? Feste e sprechi vari, abiti sontuosi e dolci bizzarri; la fantasia al potere. La giovane donna austriaca del titolo lascia il segno presso la corte francese di un re indeciso.
Un film intrigante, moderno e bello, ricco di colori, un assaggio di storia di certo poco convenzionale, uno sguardo, corretto o scorretto non è dato sapere, su un mondo lontano millenni dalle nostre realtà più concrete.

“Non è un paese per vecchi” (2007) di Ethan Coen e Joel Coen
Ritmo e tensione al punto giusto. E tanto sangue in questo western crime story.
Negli anni ’80 il cambiamento della violenza generato dalla diffusione della droga trova impreparato anche lo sheriff texano.
Cani, messicani, colletti bianchi, nessuno viene risparmiato, e – tante - pallottole per tutti.
Almeno lo sheriff Bell dà voce ai suoi “pensieri in libertà”, che sono pieni di melanconia, saggezza e nostalgia: “La fine è vicina”, e riconosce che la dualità bene/male crea “una lotta impari”. È capace di osare come nel vecchio far west traghettato in decenni di inutile evoluzione umana - pressoché inesistente - facendo spostare la violenza su piani di concorrenza sempre più disumana. Bell è in crisi e anela alla pensione; racconta i suoi sogni alla moglie, nei quali ritrova il padre che non è mai diventato vecchio; è il suo modo di ricongiungersi con un mondo, un tempo, un’idea che non esistono più. Momento intenso come il colloquio con Ellis, in cerca di un’illuminazione che lo possa sollevare dall’incomprensione della pioggia di crimini che si sta abbattendo sulla sua strada. Il mondo, è evidente, non sarà più lo stesso.
Anche se finirà con l’accettare il denaro dal pazzo assassino, forse il ragazzino finale, con la sua inattesa – dato il tono del film – generosità lascia ben sperare per il futuro. Analogamente sembra non essere tutto perduto se l’ultima – non risparmiata – vittima sostiene “a decidere sei tu”, scaricando su ognuno la responsabilità delle azioni.
“Un Bardem con raggelante voce cavernosa, parrucchetta da paggio e un'ingombrante diabolica arma sempre in mano, è il killer più spietato che il cinema abbia ideato nell'ultimo decennio.” (Davide Turrini, 'Liberazione', 22 febbraio 2008)
OSCAR 2008 COME MIGLIOR FILM, MIGLIOR REGIA, MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA A JAVIER BARDEM E MIGLIORE SCENEGGIATURA NON ORIGINALE.

“L’innocenza del peccato” (2007) di Claude Chabrol
Peccato aver perso il titolo originale, molto più suggestivo e inquietante: “La fille coupée en deux”, in linea con l’intento, ironicamente macabro, del regista.
Un maturo scrittore, vizioso e voyeur, nonché bravo addestratore, si scontra con un giovane viziato ed eccentrico ma dalle serie intenzioni. La fanciulla ambita esita tra i due, ma compirà una scelta precisa, anche se indice della sua separazione interiore.
Un esito tremendamente catartico, da brivido. Non si vedrà nulla, nessuna goccia di sangue, solo l’immaginazione dello spettatore potrà ricreare un quadro difficile da comprendere.

“Gran Torino” (2008) di Clint Eastwood.
Abbiamo lasciato che le storie e le saggezze dei più anziani di noi si inaridissero. Ciò crea un distacco con le vicende che ci hanno preceduto, in pratica con la Storia. La freddezza della famiglia travolta dai propri ’impegni’ e dimentica dei bisogni degli altri, gli affetti inesistenti simbolicamente controbilanciati dalla complicità vitale del vecchio col ragazzino desideroso di capire e di affacciarsi alla vita. Questa è la società che stiamo creando, e in buona parte l'abbiamo già fatto.
Possiamo recuperare, fare altro, riscoprire.
Ricco di altri temi: l'integrazione, la differenza tra le generazioni, l’arduo sopravvivere nei quartieri ghetto, le conseguenze delle guerre, le baby-gang, i clan razziali, la distanza padri-figli ... Il film è girato con maestria e risulta colmo di battute, un buon mix di serietà e leggerezza proprio della vita.
Piacevole, non un capolavoro.
Eastwood, “A pesar de ser conservador, sabe contar historias de gente común” (Elvira Lindo, “El País, 6.9.2009)

"Diverso da chi?" (2008) di Umberto Carteni
Stessi bisogni e desideri per tutti. Mentre uno dei soliti politicanti, non poi così lontano dai reali esponenti di qualche partito, erige muri divisori in nome di una pretesa sicurezza e di altri 'sani' principi, per poi farlo colorare di una bella tonalità elegante, gli esponenti del centro e della sinistra cercano un accordo, mescolando strategie e sentimenti. Temi importanti, come la voglia di avere figli da parte dei gay (una coppia, Nigro e Argentero, piuttosto credibili), o l'amarezza di chi crede nella famiglia e si ritrova sola (Gerini) a surgelare leccornie da non poter condividere. Peccato il tutto abbia un sapore da farsa forzosamente spiritosa. Forse sono ancora temi troppo toccanti a cui la società non sa offrire risposte.

“Louise-Michel” (2008) dei francesi Gustave de Kervern e Benoît Delépine, un noir demenziale ben fatto e ricco di appigli alla realtà di tutti i giorni. Da notare che Louise Michel (1830-1905) era un’insegnante anarchica, che si batteva per i diritti delle donne, che finì in esilio in Oceania (!). Per approfondimenti :
wikipedia
friulinews

Un film intenso, completo, che si lascia svelare poco a poco, introducendo lo spettatore in un mondo dapprima chiuso ma interessante, che racchiude un silenzio colmo di parole e di dolore. ”Ti amerò sempre” (2008) di Philippe Claudel.
Difficile anche scriverne, mi accorgo adesso, ma sono stato trasportato da mille emozioni, grazie anche a una recitazione equilibrata, asciutta, sapiente, senza sbavature inutili. Mi sono sentito arricchito, perchè il contenuto arriva al cuore, all'animo e alla sensibilità.

"Departures" (2008) di Yojiro Takita
Grande raffinatezza e un delicato tocco per affrontare il momento dopo la morte, notevole tabù occidentale. La professione di tanato-esteta accosterà sempre più il protagonista - quasi ignaro, timido, giustamente impressionabile ma sempre presente, coraggioso e concreto - al mistero e alla paura della morte. Incontrerà la gratitudine dei parenti, l'armonia piacevole e l'equilibrio dei gesti, la sacralità dei sentimenti, la compostezza dell'essenza orientale e l'apprezzamento pieno della vita (il cibo, i rapporti). Infine, grazie a questa apertura, riuscirà a riallacciare il rapporto col padre, anche attraverso il linguaggio delle cose non dette; nella mano del genitore, ormai irrigidita dalla morte, troverà il sasso che tanti anni prima aveva sancito un legame pronto a oltrepassare ogni età.
OSCAR 2009 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.

Sono rimasto deluso da “Verso l'eden” (2009) di Costa-Gavras, che ha fatto di un tema così grave e drammatico per tutti, una commediola leggera con tanto di risate in sala che di certo non mi attendevo. Può essere buona cosa sorridere o ironizzare di cose importanti, ma in questo caso mi pare che l'occhio critico e ironico prevalga sul tutto, anche se alcuni - pochi - momenti risultano più toccanti: la donna ricca che regala all'immigrato una giacca importante, o il commerciante che lo allontana dalla vetrina impedendogli anche di guardare piatti ricercati - che equivale a negare anche il sogno.

"Persécution" (2009) di Patrice Chéreau.
un film commovente, duro, che fa riflettere, tosto e profondo, crudo francese, imperdibile, grande sfida attuale, la comunicazione- l'amore - i rapporti, cosa ne è di tutto ciò, nelle nostre vite? qualcuno che ci osserva dall'esterno, e ci spinge verso qualche direzione, ci aiuta o ci invade?
Un ragazzo, uscendo dalla sala, mi dice: “Ma Anglade è un angelo?”, è sorpreso, incuriosito, provato. Anche lui.
Romain Duris bravissimo. E la voce della Gainsbourg, lei sfuggente q.b., è notevole, soprattutto nella lunga telefonata con Duris, che è come un canto d’amore. ...] sono io stesso".

“Richy” (2009) di François Ozon.
Come consideriamo i nostri figli? E se fossero angeli, messi di fronte ad ogni vizio, ogni incompletezza, alle fragilità infinite degli adulti? Come potremmo convivere con esseri tanto fantastici, superiori e pronti al sacrificio?È un’epoca, una società, la nostra, pronta a questo?
Esseri che ci cullano nel miracolo, comunicandoci che il soprannaturale è possibile nelle nostre vite. Siamo sordi, e ciechi… "Esistono tanti Ricky" afferma Ozon, poiché siamo tutti un po' angeli e bimbi problematici, attorniati da genitori avidi o inadatti, in balia di gente depressa e indifferente. Crescere è sempre un passaggio sommamente critico, e non solo per quanto riguarda la crescita fisica, cui questo film guarda ma va oltre.

"Parnassus - l'uomo che voleva ingannare il diavolo" (2009) di Terry Gilliam
Faust, il bene e il male. Film magico e prodigioso. Un tuffo nei sogni, di cui sempre dimentichiamo la potenza nella realizzazione delle nostre vite. Un uomo mostruosamente saggio, segnato dal solito ambiguo patto col diavolo, e la cui eternità pesa come un macigno sulla sua serenità fisica e spirituale, si prodiga nel distribuire il suo aiuto agli umani per mezzo di spettacoli antiquati e seducentemente polverosi. Attraversando lo specchio magico, solo i pochi che osano acquisiscono consapevolezza e una conseguente apertura alla felicità. Ma questi poteri, per il dottor Parnassus, hanno ahimè un prezzo, e le forze del male esigono la dolce fanciulla che è sua figlia. La fantasia ha creato in questo film immagini affascinanti; è un piacere lasciarsi avvolgere.

"Basta che funzioni" (2009) di Woody Allen
Davvero sorprendente e briosamente frizzante. Un Allen vecchia maniera, assai godibile.
Di come nella vita si possa cambiare; il clone di Allen (un Larry David che recita e si muove come se fosse lo stesso regista) incontra una ragazza che si evolve al solo contatto con il saggio pessimismo del suo fortuito pigmalione, e perfino i genitori di lei riescono ad attuare prodigiosi sconvolgimenti. Questi ultimi, infatti, provengono dalla provincia e non possono che assaporare appieno la vita attiva e ricca di sorprese della metropoli. I desideri avranno il sopravvento. Ciò varrà decisamente per tutti, conducendo a un lieto fine molteplice. Così è la vita? Il cinema, si sa, fa sognare.
"Non mi piacciono gli uomini sani e normali" dice Melody, la ragazza (ex) "vermetto".

“Brüno” (2009) di Larry Charles
Dopo il kazako Borat, assistiamo alle imprese di un eccentrico gay austriaco del titolo. Paradossale e unico nel suo genere.
“Vorrei parlarle della persona che mi ha cambiato la vita.” Intavola con sicurezza un fiducioso pastore, convertitore di gay. “Intende Karl Lagerfeld?”, è la secca risposta impenitente del giovane protagonista, che dovrebbe apparire convinto del promesso cambiamento. Geniale la scena di etero(?)-wrestling.
Il resto si presenta come un guazzabuglio (alla “Borat”) eterogeneo di gags e candid camera, più o meno reali e convincenti: spacciate per “real people”, “real sitüations”.

"L'uomo che fissa le capre" (2009) di Grant Heslov
Il cinema è pieno di guerre ed è quasi un tabù ridere, o sorridere, dell'esercito, istituzione inossidabile.
"Abbiamo bisogno di Jedi", si dice nel film: forse abbiamo bisogno di poteri oltre l'umano per trarci fuori da una situazione terrestre decisamente ingarbugliata. Nel film si narra della storia sgangherata di alcune spie psichiche che tentano di ribaltare la realtà, introducendo elementi in netta contrapposizione con la rigida mentalità militare, come la visione più espansa, meno yang e aggressiva, aprendo al potere della mente, a una qualche mistica orientale, a facoltà extrasensoriali che possano avere applicazioni pratiche piuttosto sorprendenti, come ritrovare generali rapiti in Italia o ex(?)-commilitoni in pieno deserto iracheno. Lo spirito aleggia, irrora l'atteggiamento bellico attuale, di cui tutti siamo stanchi. Il tutto affrontato con un sorriso e la giusta ironia... C'è anche tempo affinché Clooney esegui un saluto al sole - suryanamaskar, efficace tecnica yoga - sul tettuccio di un'auto in pieno deserto.

"Segreti di famiglia" (2009) di Francis Ford Coppola
Affascinante.
Tetro è diventato Angelo, virando i segreti di tante peripezie di vita. Cercando soprattutto di eluderli. Errore. Nascondiamo di solito ciò che ci reca dolore, ma la verità è ricercata, voluta, come l'aria.
Teatro, musica, danza e letteratura si intrecciano sapientemente in questa pellicola, e molto altro.
Il passato è narrato a colori, il presente in un B&W perfetto, suggestivo, accattivante.
La guarigione, ovvero una comprensione intima e un riconoscimento finora mancato, arriva al momento della morte del capofamiglia, un padre lontano, onnipotente come un dio che gestisce le sorti, cattivo, poco amato, ma tutto ruota nelle vie di Buenos Aires (Boca), funerale incluso.
Molti i rimandi (incidenti stradali, gambe ingessate, madri assenti o non conosciute, fama e potere).
Uscendo dalla sala, tutti citavano Edipo, più volte ribaltato in questa storia.
Attriti, rivalità e morti desiderate saranno sempre presenti nei rapporti tra padri e figli?

"Gli abbracci spezzati" (2009) di Pedro Almodóvar
Un melodramma con una trama sufficientemente complicata cui Almodóvar ci ha abituato, condita con storie di padri non conosciuti e ritrovati, come nel caso di Diego, o padri dominatori il cui figlio, Ray X, crea vendetta e la riscrittura di una storia, incarnando il ruolo, silenzioso, perfido e tenace, del regista che governa la progressione degli eventi.
Più che una (auto)citazione c'è un parziale rifacimento di "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" (1988), uno sdoppiamento e una finzione nella duplicazione celebrativa e divertita della finzione stessa. Variati risultano i ruoli delle attrici, accentuando l'illusione del meccanismo cinematografico. La ormai nota storia di Pepa e Iván, fatta di gazpacho, un letto bruciato e maletas protagoniste, riconoscibile subito dai brillanti pomodori sminuzzati accanto ai sonniferi, è inquadrata da un altro punto di vista.
Rossy De Palma, nel ruolo che fu di Julieta Serrano, segna la scena con poche battute eclatanti. Chus Lampreave rimane la portiera di Pepa, anche se più moderna ed elegante.
Il tempo passa come i vent'uno anni che separano le due pellicole, ma il cinema è sempre uguale a sé stesso o anche profondamente diverso; Pedro altera le scene delle sue "Donne" così come il perfido (?) Ernesto Martel de "Gli abbracci spezzati" stravolge il film di Mateo/Harry. Almodóvar si regala l'occasione di cambiare le sue stesse protagoniste e in parte anche l'intreccio narrativo; introduce una gamba rotta per esigenze dovute alla vita di Lena e alla gelosia di Ernesto.
Quel che complessivamente rimane è lo spezzarsi dell'abbraccio, e la passione, nata tra Lena e il regista, interrotta da una morte violenta. Come spesso accade, il passato si intreccia al presente, in un meccanismo utile per raccontare le storie, un'attività che arricchisce da secoli.
Ho nostalgia della vena comica di Almodóvar.

“Il concerto” (2009) di Radu Mihaileanu
Vorrebbe far strappare qualche lacrima grazie ai violini di Cajkovskij, la storia di un’orfanella russa diventata celebrità parigina e un manipolo di musicisti in disgrazia. Il tutto condito con noti luoghi comuni sui russi d’oggi (la povertà e l’eterna arte d’arrangiarsi, il caviale da rivendere, l’inaffidabilità, la mafia e i nuovi ricchi cafoni).

“A Single Man” (2009) di Tom Ford
La morte come ricordo, come affranto, come incolmabile solitudine, e la disperazione che conduce a non vedere null'altro. Nulla se non altra morte, la propria, per porre fine al dolore, all'inutilità dell'esistere ancora, all'impossibilità di trovare una nuova luce nella vita.
Eppure può accadere che la scintilla si rinnovi, e si illumini ancora la speranza di poter amare, di poter sfiorare un corpo e un'emozione vitale. Accade.
Ma è tardi per il professore, che ha già messo in moto un percorso fatto di acqua in cui annegare e di una vecchia pistola carica a disposizione. Il testamento verrà bruciato e l'amica lo attirerà nella sua melanconica corsa al ricordo e al rimpianto.
Semplici distrazioni del momento, come l'alcool e il fumo.
Nulla potrà il giovane studente pronto a operare il miracolo. Neppure Carlos, il provocante spagnolo che lo avvicina al parcheggio. Una storia di tentazioni, di desiderio e ricordi, di stile e perfezione. Ma non valgono nel gioco della vita. Affascinante e neppure triste.
"Un'estetica strabordante e una fotografia che esalta le bellezze maschili e i loro vestiti" (Roberta Ronconi, “Liberazione”, 12 settembre 2009).

“Mine vaganti” (2009) di Ferzan Ozpetek
Siamo tutti mine vaganti; la nonna aveva capito e fin da giovane ha compiuto le sue scelte d’amore ed è l’unica ad accettare senza riserve l’omosessualità – ancora temuta, sospetta, in famiglia - degli amati nipoti.
Ogni elemento del variegato – ma non sempre compatto - clan Ozpetek ha la propria storia personale – inclusi gli amici gay in gita a Lecce da Roma , mentre i due genitori appaiono più spenti; lei non fornendo alcun sostegno ai figli, lui – eccezionale Fantastichini – talmente rigido da meritarsi un infarto.
Il passato si intreccia al presente, il ballo per il matrimonio della nonna si sovrappone al funerale della stessa, in un ciclo interessante dove protagonisti distanti nel tempo si trovano sullo stesso piano a condividere emozioni e vicende connesse.
I due fratelli hanno preso strade diverse, Antonio nella rinuncia dolorosa se non per un riscatto-rivelazione completo, rischiando coraggiosamente tutto, e Tommaso più preciso e realizzato nella sua fuga verso Roma.

“An Education” (2009) di Lone Scherfig
A cosa serve l’istruzione, soprattutto per una sedicenne – Jenny - degli anni ‘60? Ad aprire gli occhi – visto che la famiglia si fa latitante, schermata dietro un controllo blando e meramente formale – circa l’esistenza di maschi – sposati – affascinanti, apparentemente corretti - ma soprattutto divertenti e vogliosi.
“L’azione è carattere”. Lei sa cosa vuole, non fa i conti con l’ingenuità e la correttezza, cocktail da ingurgitare con adeguata prudenza.
Bizzarro ma ben portato il parrucchino di Alfred Molina.
Candidata all'Oscar, Carey Mulligan è “una faccetta graziosa, con modi gentili. Hanno detto che un po' ricorda Audrey Hepburn. Non sbagliando molto." (Gian Luigi Rondi, “Il Tempo”, 5 febbraio 2010).

“Soul Kitchen” (2009) di Fatih Akin
Brillante. Si può sempre imparare (a cucinare, a trovare una innamorata affettuosa) anche quando le cose sembrano mettersi male (il fratello pressante, il falso amico vagamente mafioso, il fisco implacabile e l’algida fidanzata da Shanghai).
“Ogni dettaglio è buffo e indispensabile." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 11 settembre 2009)

“Amabili resti” (2009) di Peter Jackson
Esiste la comunicazione tra i vivi e i morti. La ragazza uccisa, prima di far pace con il suo nuovo stato, trasmette ai suoi cari, padre e sorella in primis, se non la volontà di vendetta almeno il retto desiderio di fare chiarezza e giustizia. L’assassino è particolarmente abile e intuisce le mosse degli altri; ha un’esperienza notevole alle spalle e la ragazza conoscerà la verità di questi orrori dal suo mondo idilliaco, nettato da nefandezze proprie della terra. Sembra quasi che lei non voglia immergercisi finché sulla terra la verità non sia mostrata, almeno a noi spettatori, perché gli investigatori resteranno lontani dalla comprensione.
L’istante tra la salvezza e la morte è breve: ciò fa la differenza per contraddistinguere la sorte delle due sorelle. Suggestiva la metafora del delitto – per una volta non descritto con l’orrore e il sangue consueti, con un eccellente Tucci in stile purificazione da vasca da bagno.
“Happy ending per niente convincente." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della sera', 11 febbraio 2010).
“Ti azzanna il cuore e non ti lascia più.” (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 12 Febbraio 2010).

“Avatar” (2009) di James Cameron
Forse tutti dovremmo cambiare corpo, come fanno Jake Sully e Grace Augustine, per sentire come un Na’vi, per smetterla con le nostre pretese predatorie e vivere la vita in unione e in pace; bella utopia, mi rendo conto. Tramite un corpo ‘altro’, potremmo assaporare anche la grandiosità e la bellezza infinita della biodiversità. In parte ciò accade nel film, 3-D o meno, ambientato nel più o meno distante 2154.
Possiamo imparare da esseri ben distinti da noi (Masai o aborigeni australiani cui assomigliano i Na’vi) più che distruggere, depredare, devastare o saccheggiare Pandora o l’Iraq, petrolio o unobtanium (l’ambito superconduttore che giace nella terra di Pandora) .
La natura si unisce all’intelligenza della madre comune, e questa è la magia, che affascina ma che potremmo anche noi vivere. Lato mistico, forse inevitabile da una visione più ampia: i Na’vi hanno la pelle blu-azzurrata come il dio Krishna degli Indù, unione del creato.
“Non abbiamo un Piano B per l'energia. […] Abbiamo avuto otto anni di lobby del petrolio a governare il Paese.” afferma il regista. La consapevolezza dei massacri commessi negli ultimi anni non sono più evitabili.
“Certo, la tecnologia è andata più avanti del moralismo: le donne azzurre di Pandora portano tutte il reggipetto." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 15 gennaio 2010)
OSCAR 2010 PER: MIGLIORE FOTOGRAFIA, SCENOGRAFIA ED EFFETTI VISIVI

“Io sono l’amore” (2009) di Luca Guadagnino
Due tagli di capelli – madre e figlia - per scoprire la passione aperta, vissuta, controcorrente, dimenticata in/da una famiglia dedita alla sua fabbrica, agli affari, alle ampie riunioni. E questa, e non solo ma in genere passione, sarà ben presto analizzata e giudicata dal figlio-fratello Edoardo jr, ma non sarà una saggia decisione. Tutto crollerà.
Le algide architetture, soprattutto all’inizio del film, rimandano all’essenza della vita di questa ricca famiglia - ben studiata, regolata e organizzata, nei suoi binari apparentemente invalicabili. A ciò si contrapporrà più avanti la solare campagna ligure del giovane Antonio, focoso, libero, fertile di idee e sentimenti, un cuoco sapiente che mescola, altera, stravolge i nutrienti ingredienti della trama e del cuore. L’uscita di scena del vecchio patriarca (un sempre carismatico Gabriele Ferzetti) scatenerà la libertà degli elementi femminili perché colgano il lato pieno ed esistenziale, oltre le aride pianificazioni industriali e gli oculati affari internazionali.
Immagini fredde, raffinate, emozionanti, poetiche, geometriche, nette.
“Film che in molti definiscono (e definiranno) viscontiano” (Boris Sollazzo, “Liberazione”, 6 settembre 2009).

“Fantastic Mr. Fox” (2009) di Wes Anderson
La biodiversità e il sud del mondo si scontrano con produttori assetati e pronti alla guerra. Le volpi – indifese? – ce la mettono tutta. Assomigliano molto agli umani, queste volpi, mentre gustano la colazione in famiglia o cercano di occuparsi dell’educazione dei figli. Come gruppo anche interspecie, riscoprono la solidarietà.

“Bright Star” (2009) di Jane Campion
Lento come una poesia, perché un poeta (Keats - 1795 – 1821) non vive lontano dalla sua musa. Muore a Roma; bella la silente – bianca e nera – scena a piazza di Spagna, nel candore della scalinata deserta e il corvino di paramenti del trapassato. A 25 anni una malattia lo allontana dalla insalubre England e dalla sua fulgida stella.
Oscar per il miglior gatto, e Oscar assoluto alle farfalle indoor.
“Here lies one whose name was writ in water” – epitaffio nel cimitero acattolico romano.

“Fratellanza - Brotherhood “ (2009) di Nicolo Donato
Omofobia e nazismo, temi inquietanti, dettati da chiusure interiori. La passione del corpo prevale sulle spinte razionali e le ideologie di gruppo, e quando le cose non collimano, il dramma si scatena. L’accettazione è sempre una tappa importante, fondamentale per il vivere bene, in pace e armonia con l’ambiente e gli altri. Anche se i nazi bevono la birra bio per sentirsi a contatto con la natura e rispettarla. Ma ben altri sentimenti provano verso pakistani e immigrati in genere, e verso gay anche se appartenenti al medesimo clan.
"Finisce per lasciare molte domande senza risposta, a cominciare dalla reazione dei due protagonisti di fronte alla scoperta della loro omosessualità." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 22 ottobre 2009)
“Ecco qua: si è nazi perché repressi. Il resto è accessorio." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 2 luglio 2010)

“L’uomo nell’ombra” (2010) di Roman Polanski
Per completare la biografia di un ex-premier britannico, un giovane ghost writer (l’ombra, appunto) accetta di ritirarsi in una casa zen, battuta dal vento e sferzata da suggestive tempeste atlantiche. È ingenuo, ma capirà le mosse della CIA fin dal 1971; certo, Google lo aiuta ma aveva per indizio una banale foto dell’epoca con tanto di nomi, e un sistema di navigazione, nell’auto del suo defunto predecessore, lo guida inaspettatamente al posto giusto. Scoprirà infine che spesso le mogli riservano delle sorprese, almeno quelle degli uomini potenti del mondo.
Tratto dal romanzo di Robert Harris, che fu effettivamente ghost writer di Tony Blair. Harris (1957), dapprima sostenitore di Blair, fu poi deluso dal suo appoggio alla guerra in Iraq.
A proposito della da me definita casa zen: “Martha's Vineyard è il set di 'The Ghost Writer’, una specie di Alcatraz dorata, equivalente al domicilio coatto di Roman Polanski, segregato nel suo chalet elvetico da mesi.” (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 9 aprile 2010).

"Alice in Wonderland" (2010) di Tim Burton
Pur di sfuggire a un pretendente noioso e al conseguente matrimonio voluto da sua madre & C., la già consapevole Alice si getta nel buco della fantasia e, credendosi in un sogno colorato, sperimenta. Asciutta e incredula come una nuova santa Giovanna pulzella d'Arco, San Giorgio o un arcangelo Michele, abbatterà il mostro di turno - classico look: piume squamose, lingua biforcuta, alito pesante, occhi da pazzo strabico - (ma quanti esseri alieni ci sono nell'universo filmico globale?). Lei finirà più liberata ed emancipata delle sue coeve e anche dei maschi. Potrà solo diventare socia in affari dello schivato suocero, e iniziare una globalizzazione commerciale indirizzata verso la Cina, una sua idea quasi a noi contemporanea - fin troppo. Per il resto, non se ne può più di tossici bruchi fosforescenti, lepri magiche, fanti armati, regine egoiche e gatti evaporanti e piuttosto seducenti.
La realtà è piena di eventi e storie interessanti, lasciamo stare le favole d'un tempo, concentriamoci sul presente, che già ci offre difficoltà plurime di interpretazione, ed evitiamo le fughe.

“Basilicata coast to coast” (2010) di Rocco Papaleo
Si può ritrovare la voce e la voglia di vivere e di amare, ma occorre un bel cocktail di amicizia, sostegno e una bella fanciulla. Lungo la strada qualcuno si può disperdere, oppure è tentato di abbandonare anche se per poco e per cause familiari, ma il percorso è lungo e attraversa luoghi storici, ora disabitati e inagibili come il nostro inconscio. Un viaggio come discesa per conoscersi. Inoltre è ludico e intrapreso in compagnia, e senz’altro iniziato all’insegna del fallimento. Si rivelerà denso di sorprese e tante sfumature.

“Potiche – la bella statuina” (2010) di François Ozon
Emancipazione femminile nel 1977 - “anni 70 significa licenza di uccidere per truccatori, parrucchieri e scenografi” (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 5 settembre 2010). Dai lavori domestici (e neppure troppi, per carità) alla direzione della fabbrica di famiglia, e infine alle elezioni politiche, con la sconfitta del rivale-ex-amante comunista di gioventù. Le rivelazioni sul passato della bella (ex)Potiche si faranno attendere ma sconvolgeranno gli animi e la quotidianità della cittadina di Sainte-Gudule, ma anche il marito e il figlio della protagonista nascondono altre scappatelle e valvole di sfogo. Da una donna/moglie/madre/nonna (la ‘paccottiglia’ del titolo che rivendica un ruolo) ci si aspetterebbe un ruolo statico, familiare e rigido mentre invece si rivela più brillante e intelligente di quanto il maschilismo dell’epoca potesse prevedere e accettare socialmente. Le donne – ma forse solo all’epoca – come possibilità di apertura sociale nella co
mprensione delle lotte sindacali (poco sappiamo invece dell’impegno politico di Potiche).
“un piccolo gioiello di umorismo” (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 5 novembre 2010).

“Una vita tranquilla” (2010) di Claudio Cupellini
L’improvviso ritorno del figlio - forzosamente abbandonato- riporta Rosario Russo nel cuore del problema. Lui che ha saputo fuggire le vendette sanguinarie della sua terra e si è rifatto una vita tramite un colpo di spugna notevole e coraggioso. Perfino la sua nuova moglie tedesca ignora i chilometri di separazione dal passato e dalla salvezza.
Il figlio conserva tuttavia un nucleo di vendetta, ma qui il tema è più psicologico che malavitoso. Neppure così facile da spiegare. Forse c’è anche una diversa visione generazionale.
Recitazione strepitosa di Servillo.

“Hereafter” (2010) di Clint Eastwwod
Il “ texano”, in vecchiaia, affronta un tema arduo, interessantissimo, e molto sfaccettato. Nessuna certezza in questa materia, solo un contatto. Come quelli registrati dal sensitivo George, che tenta di sottrarsi al suo dono, ma quando infine acconsentirà a “vedere” per il giovane gemello sopravvissuto, una nuova vita si aprirà per tutti.
Apprezzo molto i film che tracciano un percorso di trasformazione. In questo vince l’accettazione di una qualità rara (e scomoda) poiché Gorge raggiunge una maturità grazie al ragazzino insistente, Marie diviene indipendente e dà infine valore i propri veri talenti, sfuggendo a un rigoroso controllo professionale. L’amore può entrare allora nelle loro vite. Le esperienze di pre-morte ‘aprono’ a mondi vibranti e inducono una matura valutazione della vita: il piccolo Marcus ritrova il sorriso solo là dove è giusto che sia e sua madre lo abbraccia riconoscendo l’errore (forse inevitabile) della – temporanea - separazione.
Molte le tracce – proprie del nostro tempo - concentrate in questa pellicola: tsunami, droga, incidenti, attentati, malattie, hospice (tragicamente tradotto con ‘ospizio’!). Un film che evidenzia l’importanza delle emozioni nell’esistere di ognuno.
Un film che occhieggia alla morte, ma di certo un prepotente film sulla vita.
L’arte – a volte – ci ricorda la profondità, la bellezza e la ricca complessità della vita. Solo dando il giusto valore e accettando la morte – come una componente naturale del nostro percorso – possiamo apprezzare la vastità della vita, e vivere appieno.
“Solo chi conosce la fragilità della vita sa quanto sia preziosa.” Sogyal Rinpoche “Il libro tibetano del vivere e del morire”






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