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La strage colombiana, alternativa indigena
Dall'articolo del Manifesto, 09.01.2002
Migliaia di indigeni riuniti nel primo congresso nazionale
delle etnie colombiane accusano governo, paramilitari e Stati
uniti. Denunciate anche le aggressioni delle guerriglie
Alle prossime presidenziali di marzo ci sarà anche un
candidato indio, Kimy Pernia Domico, capo del popolo Embera e uno
dei principali leader del movimento indigeno colombiano. Un gesto
simbolico - Kimy è stato sequestrato mesi fa dai
paramilitari - deciso dagli oltre duemila delegati di 86 etnie
arrivati da tutta la Colombia per partecipare al primo congresso
nazionale dei popoli indigeni del paese, presente il delegato
delle Nazioni Unite per i diritti umani. La riunione, convocata
dalla Onic (Organizzazione nazionale indigena colombiana) e
dall'Aico (Associazione indigena colombiana), si è svolta
a Cota, un'ora dalla capitale Bogotà, per dare
visibilità alla rinascita culturale, sociale e spirituale
dei Muiscas che qui abitano, ritenuti estinti fino a poco tempo
fa. Il governo ha infatti manifestato la volontà di
rendere di nuovo alienabile il loro territorio. Ai lavori di Cota
hanno partecipato anche indigeni del Messico, del Guatemala, di
Panama, della Bolivia, del Canada e della Corea; membri della
Pastorale sociale di alcune città della Spagna; noi
italiani del Comitato internazionale di appoggio al popolo U'wa,
della Federazione dei Verdi ed Elia Pegollo per i Beati
costruttori di pace.
Il congresso è stato aperto da una suggestiva cerimonia
tradizionale con la quale gli sciamani Muiscas hanno invocato la
protezione del Padre Creatore e della Madre Terra, e hanno
salutato i quattro punti cardinali con le energie che vengono
attribuite ad ognuno di essi. Il presidente della Onic, Armando
Valbuena, del popolo Wayu, ha iniziato il suo intervento dando
notizia dell'assassinio di quattro delegati degli Embera Chamil
per mano dei paramilitari: il sequestro e l'uccisione dei leaders
indigeni, soggetti sociali e spirituali che garantiscono la
coesione delle comunità, è ormai sempre più
frequente. Il governatore del territorio muiscas ha ricordato i
nove milioni di indigeni massacrati in Colombia durante la
conquista spagnola e ha condannato la globalizzazione economica
che sta distruggendo la Madre Terra, minacciando di estinzione la
stessa specie umana. Ha anche sottolineato più volte la
schizofrenia degli uomini che cercano la pace praticando la
guerra.
Tre i temi principali del congresso: 1) il conflitto armato in
Colombia, le relazioni con gli attori armati e come costruire la
pace 2) la politica territoriale e la difesa delle terre e
dell'autonomia dei popoli indigeni 3) il modello di
società e le linee delle politiche di sviluppo.
Secondo la legge 89 del 1889, il 27% del territorio colombiano
è inalienabile. Sono le terre dove vivono i popoli
indigeni ma sono anche quelle in cui si trovano le principali
risorse energetiche e minerarie della Colombia. Le nuove leggi
che il governo propone puntano a cambiare il concetto di
inalienabilità, per favorire le multinazionali petrolifere
e minerarie. Strumento di questa strategia è anche il
miliardario Plan Colombia, finanziato dagli Usa. Il giudizio
degli indigeni è netto: in Colombia è in corso un
intervento economico e militare degli Stati Uniti diretto solo
formalmente contro il narcotraffico, mentre il vero obiettivo
è il controllo e lo sfruttamento del territorio. Il
governo colombiano sostiene questa politica attraverso il
desplazamiento (sfollamento forzato), l'utilizzo dei paramilitari
e l'assenza istituzionale dai territori. La straordinaria, e per
ora vincente, resistenza degli indigeni andini U'wa che difendono
i propri territori sacri contro la multinazionale petrolifera
statunitense Oxy, è un esempio emblematico del conflitto
in atto.
Il documento finale, approvato nell'assemblea plenaria, rivendica
i luoghi indigeni quali "territori di pace", violati oggi
pesantemente da esercito e paramilatari. Ma il congresso ha
chiesto anche alle guerriglie di fermare le loro azioni violente
contro gli indigeni, troppo spesso colpiti anche da questo
fronte. Gli indigeni chiedono a tutti il rispetto della loro
cultura, dei loro valori e della loro autonomia. La guerra che da
anni lacera il paese non può giustificare infatti la
violazione del diritto umanitario internazionale e del diritto
alla vita. Nè tantomeno una politica di pace può
attuarsi senza la rimozione delle cause che hanno generato il
conflitto. Una pace degna per tutti i colombiani, sostengono gli
indigeni, richiede un nuovo ordinamento territoriale, la riforma
agraria e della scuola, il rispetto delle diversità
etniche e la difesa della sovranità popolare minacciata
dal capitale finanziario internazionale, dai megaprogetti e dalle
guerre.
Molto critico è il giudizio sul processo di pace in corso
tra la guerriglia delle Farc (Forze armate rivoluzionarie
colombiane) e il governo. Gli indigeni non si sentono
rappresentati e ritengono poco chiari gli obiettivi del
negoziato, che esclude anche settori sociali e la società
civile colombiana. Per questo motivo nel documento viene lanciata
una grande proposta alternativa di pace.
Verrà costituita infatti la "mesa indigena de paz" (tavolo
indigeno di pace), aperta ai settori sociali, popolari e alla
società civile, con l'obiettivo prioritario di rendere
chiare le cause reali del conflitto in Colombia e indicare i
percorsi per uscirne. Gli indigeni propongono una società
fuori dal neoliberismo - definito "un modello di distruzione e di
morte" - da costruirsi attraverso una grande alleanza che
comprenda indigeni, contadini, ambientalisti, settori sociali e
popolari, Afrocolombiani, Rom, sindacati, movimenti studenteschi,
desplazados e tutti coloro che soffrono a causa del conflitto in
corso. La nuova società deve avere come punto di partenza
la dignità della vita e il rispetto per la natura e deve
praticare un'economia sostenibile solidale e distributiva che
difenda le risorse naturali e preservi le economie locali e
contadine.
Giuseppe De Marzo - di ritorno da Cota
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