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I problemi dell'inquinamento termico. Un fiume caldo di LUCIO ROSITANI. Laboratorio biologia marina - Bari

Quando si parla di inquinamento marino, le immagini che vengono alla mente sono quelle di fogne o scarichi industriali, che si versano in mare creando ampie distese di acque torbide e maleodoranti, con la presenza, nei casi più gravi, di pesci, o altri animali marini, morti e disseminati dalle onde lungo le coste. Questo è senz'altro il tipo di inquinamento più frequente ed evidente lungo le coste dove non ci sono grossi insediamenti industriali e queste immagini derivano dalla convinzione comune che inquinamento corrisponda a immissione nell'ambiente di sostanze nocive, con evidenti conseguenze dannose.
Ma secondo una definizione più allargata e corretta del termine inquinamento, possiamo far rientrare in esso le conseguenze di tutte quelle attività umane che vanno a variare, generalmente (ma non esclusivamente) in senso peggiorativo l'equilibrio naturale. In questa visione più ampia possiamo inquadrare l'inquinamento "termico", quello, cioè, determinato dall'immissione nell'ambiente di scarichi a temperatura differente da quella del corpo ricevente. Il caso più frequente è quello di insediamenti industriali che, nei loro processi di trasformazione, comportano la produzione di energia termica e si avvalgono, quindi, dell'acqua di un fiume, di un lago, o del mare per asportare il calore in eccesso.
Le quantità di calore in gioco sono tali da poter creare seri danni ambientali e tali processi sono pertanto regolamentati dalla legislatura vigente, in particolare le leggi 10.05.1976 n. 319 e 21.12.1979 n. 650 impongono, per gli scarichi superficiali in ambienti idrici, il rispetto dei seguenti punti: 35 °C come valore massimo della temperatura dello scarico nel punto di immissione nel corpo ricevente; 3 °C come massimo sovralzo termico, rispetto alla temperatura del corpo naturale, entro 1.000 m dal punto di immissione. Per quanto riguarda il primo punto, possiamo solo sottolineare che nel Mediterraneo non esistono molte specie capaci di vivere, o anche solo di sopravvivere, a tali temperature.
Relativamente alla seconda condizione, possiamo ricordare che la temperatura delle acque superficiali, lungo le nostre coste, va da un minimo di 7-8 °C in inverno, ad un massimo di 27-28 °C nel periodo estivo, con un DT di 20 °C nell'arco dell'anno. Un innalzamento di soli 3 °C corrisponde, quindi, ad una variazione del 15% rispetto all'escursione termica annuale, possibile e non trascurabile causa di disturbo, pertanto, per le specie più sensibili a questo parametro, soprattutto nel periodo estivo.
In Italia esistono alcune grandi centrali termoelettriche, in Puglia, in particolare a Cerano (Brindisi), è situata la più grande centrale termoelettrica d'Europa, che aspira enormi quantità di acqua dal prospiciente mar Adriatico e, dopo averle caricate del calore in esubero, le reimmette in mare sotto forma di un vero e proprio fiume (con una portata di 80-100 m3/sec superiore, quindi, a quella dell'Ofanto, l'unico fiume pugliese). Al fine di disperdere nell'atmosfera la maggiore quantità possibile di calore, il percorso delle acque di scarico è complicato dalla presenza di cascatelle e zampilli, in modo da aumentare le superfici di contatto aria-acqua. Il risultato finale risulta ampiamente entro i limiti di legge, anche se questa non considera effetti secondari come il disturbo meccanico creato dalla forte corrente che, spirando costantemente dal punto di immissione verso il largo, ha sicuramente la conseguenza di modificare la tessitura dei sedimenti e, quindi, dei popolamenti che in essi vivono.
Peraltro le acque di scarico, poiché servono solamente ad esportare il calore in eccesso, sono praticamente indenni da contaminazione chimica. L'assurdo in tutto questo è che la possibilità di ottenere acqua calda e pulita a costo zero è il sogno di qualsiasi allevatore ittico dei paesi freddi o temperati. Infatti poter innalzare di qualche grado la temperatura delle acque di un allevamento nel periodo invernale, permette di aumentare il metabolismo delle specie allevate, ottenendo così un accrescimento più veloce e, quindi, il raggiungimento delle taglie da mercato in un periodo più breve. Tale procedura è da tempo in uso in Nord America, Europa, Russia e Giappone; a titolo d'esempio le carpe allevate presso la centrale elettrica di Ratcliffe-on-Soar hanno raggiunto in dieci mesi il peso di 970 g, contro i 180 g degli esemplari di controllo tenuti a temperatura ambiente.
Utilizzando il calore in esubero immettendo direttamente gli scarichi in ampi bacini di allevamento, oppure adottando degli scambiatori di calore si avrebbe, inoltre, l'effetto secondario di dissipare più gradualmente grandi quantità di calore. In effetti da molti anni l'Enel sta sviluppando ricerche sperimentali nel campo del reimpiego del calore di scarico da centrali termoelettriche con il progetto Carpa (Calore residuo per la produzione di alimenti) con risultati positivi, riportati in numerose pubblicazioni scientifiche, sia per quanto riguarda la conduzione degli allevamenti, che per quanto concerne la dissipazione del calore in esubero.

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