Flora e Fauna

 

La flora

 

Il territorio comunale di Villa San Pietro fa parte del complesso Gutturu Mannu – Pantaleo; un grande polmone verde, il maggiore dl sud dell’ isola ; un ricchissimo museo all’aperto, una riserva naturale  con specie faunistiche sempre più rare; da cime che raggiungono i mille metri di altitudine ad alcune delle spiagge più belle di tutta l’ isola.

Questo patrimonio naturale, ricco di risorse, ha ospitato fin dalla preistoria l’ uomo che ha lasciato segni tangibili del suo passato, dai reperti archeologici, ai furriadroxius e medaus, ovvero, quei originalissimi ricoveri che ospitavano pastori e carbonai. E l’uomo che ha rispettato per secoli quest’area perché l’ ha vissuta e le ha cosi evitato la tragica sorte che nel secolo scorso conobbero tante altre zone boschive.

E qui c’e’ da dire che anche il clima è ideale,i le temperature medie-annue  sono comprese tra i 15 e i 17 gradi centigradi; soltanto per tre- quattro mesi all’ anno superano i 20 gradi. Nei rilievi più alti queste medie si abbassano ulteriormente scendendo a 11-15 gradi centigradi, con punte di oltre 20 solamente per due – tre mesi l’ anno.

Percorrendo alcuni sentieri che si inerpicano sui rilievi di Punta Sa Cresia , o Punte Sebera si può ancora intravedere quello che doveva essere il paesaggio, almeno nei suoi aspetti fisionomici principali, che si presentava non in tempi lontani , ai primi ricercatori che iniziavano allora ad interessarsi della flora locale incuriositi anche dall’isolamento di questa regione.

 

La struttura delle tipologie flogistico - ambientali  di questo territorio è collegato all’ubicazione geografica e alla destinazione d’uso a cui il territorio stesso è destinato. Ciò giustifica e fa capire quelle diversità  Fisio – morfologiche , che la flora ha acquistato per adattarsi adeguatamente ai diversi habitat che lo   caratterizzano. La vegetazione delle rupi costiere è composto da specie capaci di sopportare le elevate concentrazioni saline presenti negli aerosol marini come il finocchio di mare (crithmum maritimum),  maccherone ( Cakile marittima).

A questi vegetali alofili fa corona una gariga di cespugli pulvinati  quali Helichrysum Italicum, Nyman (canapicchia), Calycotome villosa  (ginestra spinosa).

Laddove l’uniformità di questa copertura  viene introdotta si instaurano  popolamenti di Juniperus phoenica ( ginepro feniceo) ed episodiche colonie di Rosmarinus officinalis e Lavandola  stoechas (stecade) un tempo piu’ ampie e significative a cui si potevano ascrivere probabilmente anche popolazioni , ormai estinte, di Chaemaerops humilis (palma nana).

Piu’ distante dalla linea  di costa segue uno stadio di transizione  piu’ eterogeneo e fitto verso la macchia mediterranea.

Sulle sabbie si localizza la componente psammofila formata da quelle graminace Agropyron  junceum (sparto pungente), Ammophila litoralis (gramigna delle spiagge), che assieme ad altre Xarofitiche contribuiscono a trattenere le dune con i loro lunghi rizomi.

 

Armonicamente incastonate lungo le coste che da Teulada portano a Capoterra, cosi come nella zona retrodunale di Chia, si incontrano alcune depressioni che formano zone umide più o meno ampie, alcune tanto effimere da sembrare estemporanee raccolte  stagionali, ma sempre circondate da elofite rizomatose quali: Juncus (giunchi), Phragmites australis (ca.) Trin. (cannuccia), Tipha latifoglia (tifa). Accanto a queste vegetano Aster tripolium (astro marino), Leucanthemum flosculosum e Cotula coronopifolia. Quest’ultima e’ una specie originaria del Sud Africa che si e’ perfettamente adattata al clima locale tanto da diffondersi con estrema facilità. Ad esse si aggiunge la componente idrolitica di specie natanti o ancorate al fondo limaccioso quali Ruppia cirrhosa , Callitriche stagnalis, Ceratophy llum demersum, Zannichellia palustris.

Oltre ad un punto di riferimento per molti volatili acquatici migratori questi ecosistemi umidi rappresentano siti, anche dal lato botanico, trea i piu’ interessanti e ricchi di implicazione naturalistiche.

Subito a ridosso della zona costiera, nelle ristrette superfici cosi come nelle piu’ vaste estensioni pianeggianti, l’aspetto floristico e’ completamente differente dalla vegetazione primigena .

 

I  molteplici interventi volti all’ampliamento degli spazi destinati ad attività agrarie, zootecniche, residenziali o industriali hanno infatti introdotto diverse essenze esotiche come Eucalyptus, Pinus e Populus, per non citare che le più comuni, che mal si coniugano con la componente autoctona.

Sulle prime pendici collinari possono riconoscersi diverse forme vegetali a seconda dell’ esposizione e del substrato geologico.

La più diffusa è certamente il cisteto, macchia recessiva secondaria originatasi dalla lecceta per tagli o incendi, formata iltre che da Cistus monspeliensis (cisto marino), Cistus incanus (rosola), Cistus salvifolium (scornabecco) da altre specie termofile quali il lentisco, la calicotome e il conidio.

Nelle zone più calde compare inoltre Ruta chalepensis (ruta), Asparagus aphyllus (asparago spinoso). A queste copertura arbustiva si intercalano modeste radure colonizzate  perlopiù da consorzi erbacei con rare bulbose e carduace.

 

 

 

 

Lungo i pendii più assolati il paesaggio si movimenta di frequente per l’ alternanza di una macchia ad Euphorbia e sclerofile.

In alcune zone sono presenti sparsi popolamenti di Quercus suber (sughera) che si diffondono fin quando la lecceta non si impone decisamente.

Vi sono poi, maestosi esemplari plurisecolari di Quercus ilex (leccio) è generalmente omogenea e solo parzialmente, ai margini o nelle schiarite, riescono ad insediarsi soddisfacentemente  il Crataegus monogyna (biancospino)  e la sughera. Piu’ comune e’ il Juniperus oxycedrus, ginepro simile a quello presente sulle sabbie da cui si discosta per alcuni elementi morfologici fra i quali le dimensioni ridotte dei frutti (coccole).

Quasi del tutto assente è l’aspetto riconducibile ai popolamenti di arbusti prostrati, presenti in altri rilievi isolani, per l’assenza di quelle condizioni edifico ambientali che lo favoriscono . Un ultimo aspetto è quello che distingue i pochi corsi d’acqua tutti a carattere torrentizio e con scarsa portata idrica per le modeste precipitazioni meteoriche che avvengono in questo settore  dell’isola. Ciò non impedisce alla vegetazione igrofitica e a quella idrofitica  delle sponde di assumere , seppur per un breve lasso di tempo, una variopinta manifestazione di colori.

 

Gli aspetti vegetazionali possono essere raggruppati valutando i parametri climatici ed ecologici locali, in due soli climax:

-         Quello termoxerofilo delle foreste miste di sclerofille  delle macchie costiere, nelle pianure e colline prospicienti.

-         Quello delle foreste di quercus ilex, orizzonte mesofilo, in cui inserire la vegetazione delle zone collinari interne e dei rilievi.

 

 

 

 

 

La fauna

 

Un compressorio che, dalle falde di Monte Arcosu (m.948 s.m,) a nord, si spinge fino a Capo Spartivento a sud che abbraccia, in un susseguirsi di strette valli e ripidi pendii boscosi, la catena del monte Lattias, situata a quote intorno ai 1000 metri s.m., Punte e Sebera ( m. 979 s.m.), monte Santo (m.864 s.m.), che dominano i centri abitati di Santadi e Nuxis , di Teulada e Dpmusdemaria, di Pula e Villa San Pietro e di Capoterra.

Un territorio cosi vasto, in gran parte riccamente ricoperto da boschi di leccio e da impenetrabili boscaglie di specie arbustive della macchia mediterranea, contornato da strade asfaltate con un certo volume di traffico, ma attraversato da poche piste forestali, in parte precluse ai mezzi privati e da una strada provinciale sterrata: Macchiareddu-Santadi.

 

Un “Eldorado” all’ interno del quale ricade il Monte Santo di Pula e Villa San Pietro, che per la sua consistenza faunistica, costituiva nel passato uno dei distretti venatori  di cui i re di Sardegna  si erano riservati l’esclusivo diritto  di caccia.

Innumerevoli sono i toponimi, che richia­mano la presenza del cervo, del cinghiale, del daino, del muflone, della volpe, delle lepri, del gatto selvatico, dei corvi, dei passeri, delle pernici, dell’aquila, del grifone e del barba­gianni ed altrettanti quelli con riferimenti al­l’attività venatoria: s’arcu is cassadoris,is ca­nargius, punta is pillonadoris, arcu is tasonis, a conferma di una ricchezza faunistica ampiamente documentata dal dizionario di casalis Angius.

L'elevata boschosità del territorio, la ridotta rete viaria e la scarsità di insediamenti antropici, limitata  ad una trentina di ovili, in parte stagionali, e a pochi fabbricati forestali, uniti al regime  protezionistico esistente su parte del complesso, costituito in Oasi permanente di protezione faunistica, in base alla Legge Regionale N° 32 del 1978, fanno ancora oggi di quest’area una delle riserve faunistiche più ricche e pre­ziose esistenti in Sardegna per varietà e rarità delle specie presenti.

La multispecifica composizione della co­pertura vegetale, la diversità strutturale del bosco e quella altitudìnale del terreno, che, dal livello del mare, si eleva a quote superiori ai 1100 metri, la presenza di chiarie e radure boschive, di praterie e coltivi, di steppe mon­tane e dirupi rocciosi, di zone semi-aride e di piccoli stagni, di zone umide e di copiosi corsi d’acqua, determinano infatti una così alta va­riabilità di situazioni ambientali, da consenti­re a numerosissime specie animali di trovare nel territorio l’habitat confacente.

 

Anfibi, rettili, mammiferi e uccelli, oltre a uno stragrande numero di insetti, formano comunità faunistiche composite e varie in funzione di fattori naturali e antropici, che caratterizzano ciascuno degli ecosistemi indi­viduabili nel territorio: quello della foresta di leccio e delle boscaglie di sclerofille sempre­verdi mediterranee; quello dei pascoli e degli incolti di collina; quello dei coltivi e dei pa­scoli di pianura; quello dei corsi d’acqua; quello delle aree rocciose e quello, infine, del­le praterie e garighe cacuminali.

Alcune specie sono strettamente legate a circoscritti ambienti: la testuggine d’acqua e la biscia viperina ai torrenti; la lepre e la per­nice alle praterie, agli incolti, alle chiarie bo­schive ed, in parte, ai coltivi; ed ancora l’a­store e lo sparviere alle zone boscate; infine, altre specie come il riccio, la volpe ed il cin­ghiale, diffusi un poco ovunque, sono ubiqui­tarie.

Ma l’emblematico dominatore del territorio, il più nobile ed elegante rappresentante della fauna locale, e’ il cervo sardo, che , coi suoi possenti bramiti nel suo campo d’amore, a fine estate, fa echeggiare le valli di Monte Nieddu alla pianura ricoperta di lentischi . Nelle ore notturne è testimone delle cacce sanguinarie delle donnole (buccameli) e delle martore, degli agguati del gatto selvatico, del silenzioso spettrale librarsi  del barbagianni (stria), della composta attesa della civetta. Ancora attivo nelle assolate ore diurne, celato nella fitta macchia, segue l’alto volteggio dell’aquila reale e della più rara aquila del Monelli, o spia la  poiana, che, su una cima di un leccio fa’ la posta ad un coniglio mentre segue con avido sguardo i movimenti  d’una sonnacchiosa lucertola, per niente disturbato, nel suo lento ruminare, dalle rapide e fruscianti picchiate, a 250 km all’ora, di un elegante falco pellegrino su un colombaccio o delle evoluzioni vertiginose e dei rapidi scarti dell’astore, che insegue una ghiandaia tra le chiome delle piante.

 

Il cervo sardo ha sempre abitato questi luoghi dai tempi più remoti; e qui, anche se a lungo insidiato, a trovato un sicuro rifugio, risoluto a sopravvivere e a riconquistare quegli spazi dai quali manca  da tempo. L’assedio al cervo e’ ormai spezzato e si allontana il pericolo di estinzione che, appena 20 anni fa, era incombente. Una sorte più benigna rispetto a quella di altre specie ormai scomparse come il grifone, l’ avvoltoio degli agnelli o come il muflone, che se pure raro, era presente nelle montagne di Pula, nella metà del secolo scorso.

Della carne dei cervi si faceva comunemente commercio per uso alimentare. I cacciatori rifornivano  i mercati di Cagliari, anche le pelli  venivano commerciate e perfino esportate opportunamente conciate  servivano per abbigliamento e calzature. Le corna, che daini e cervi cambiano ogni anno, sono state impiegate come trofeo ornamentale di case nobiliari e come amuleti; per costruire bottoni, tabacchiere e ninnoli; per manicare coltelli e bastoni da passeggio.

Ora il daino e’ nuovamente presente sia in cattività che allo stato libero, infatti non e’ raro fare incontri ravvicinati con questi animali. Bisogna però dire che le cronache registrano i primi atti di bracconaggio, sia con i fucili, ma soprattutto, con le trappole. Quest’ultime sono per lo più cavetti d’acciaio  messi nei sentieri dove passano gli animali, le vittime più frequenti di questa pratica sono i cinghiali, dove vi incappano sia quelli piu’ grossi che quelli di taglia medio – piccola. Lo stesso principio,ma in scala ridotta  viene utilizzato per catturare varie specie di uccelli; solitamente vengono prediletti i cosiddetti Pillonis de Taccula, che sono il tordo comune o il tordo bottaccio, il tordo sassello, la cesena, il merlo e talvolta il meno preggiato storno comune.

Talvolta nei lacci o nelle tagliole può incappare la famelica martora, un mustelide dal muso appuntito e dalla lunga coda, abituale abitatrice dei boschi, difficilissima da osservare in quanto ha abitudini notturne e si mimetizza bene tra il folto fogliame degli alberi, piu’ facile e comune è invece imbattersi in una donnola , o in una volpe, o vedere delle pernici, o in una atterrita lepre, o in uno spinoso riccio. Quest’ultimi, insieme al coniglio selvatico, sono degli abituali frequentatori degli incolti di media collina e di pianura, dove sono presenti il gheppio e il falco pellegrino.

Tante altre ancora sono le specie faunistiche di questo lembo di Sardegna, alcune ancora numerose e comuni come l’upupa, il verdone, il picchio e la quaglia; altre, purtroppo, si sono rarefatte negli ultimi anni. E’ il caso della lodola, della tortora e della gallina prataiola.

 

 
 

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