Diario di Francia (Valle della Loira - Bretagna - Normandia)


Questo viaggio è stato fatto nel 2001 con un altro amico: Luca. Per una volta ho abbandonato il caro e amato treno per l'automobile, che Luca ha guidato nei 6.500 km del viaggio: è stata un'esperienza diversa dal solito, che ci ha permesso di raggiungere luoghi sperduti e poco noti. Fra tanti errori di percorso e conoscenze differenti abbiamo condiviso due settimane molto intense.

Partenza in una serata d'agosto

Partiamo un sabato sera da Mesero, nostro paese natio, diretto verso ovest; passeremo da Torino e poi faremo il traforo del Frejus, quello del Monte Bianco è chiuso per il rogo di alcuni mesi prima. Ci siamo preparati abbastanza bene: conosciamo alcuni luoghi principali da visitare e lasciamo il resto al caso, all'ispirazione del momento.
Sulla MI-TO non c'è molto traffico, sono le dieci passate, arriviamo presto a Torino, ma poi sbagliamo strada, ragion per cui decidiamo di puntare verso Aosta e di passare per la Svizzera. Il San Bernardo fa paura da tanto è stretto e buio, presto incontriamo delle discese molto ripide e il piede è quasi sempre sul pedale del freno.
In Svizzera abbiamo un itinerario che ci fa passare da tanti paesi di montagna, strade buie, con poche auto in circolazione che schizzano come razzi. Arriva presto l'una di notte e noi non sappiamo dove ci troviamo di preciso, comunque le indicazioni sembrano buone per cui proseguiamo. Varchiamo il confine con la Francia senza essere fermati alla dogana, anche perchè non c'è nessuno, e troviamo ben presto le autostrade francesi, immense; ci fermiamo in una piazzola per un panino e per sgranchirci le gambe, ma non siamo stanchi, siamo ansiosi di arrivare a Beaugency, dove ci fermeremo la prima notte. Riprendiamo presto il cammino, poi, verso le 5 del mattino ci fermiamo in un immenso autogrill per dormire un po'.
Riprendiamo il cammino uscendo dall'autostrada per utilizzare le strade nazionali, ottime perchè molto scorrevoli e soprattutto gratis, a differenza dell'autostrada che ha prezzi quasi astronomici. Cerchiamo le indicazioni per Digione, da dove proseguiremo poi per Orleans, prima tappa prevista per la visita. Ben presto capiamo che le indicazioni stradali francesi sono da interpretare, in particolare non capiamo perchè alcune di queste siano messe solo per chi proviene da una direzione, mentre per chi viene dall'altra non ci sono: e qualcuno ci deve ancora spiegare perchè dopo aver visto un cartello che indica mancare 20 km ad una città, improvvisamente, svoltata una curva, quegli stessi chilometri diventino per magia 27! Così, mentre Luca guida, io mi volto sempre indietro agli incroci a vedere se per caso non abbiamo perso un'indicazione.
Arriviamo ad Orleans verso le 11 del mattino: visitiamo subito la città e ci stupisce come di domenica non ci sia nessuno in giro per la città; anche nella cattedrale ci sono poche persone, nonostante la Messa domenicale. Camminiamo per la città, per il centro storico, nelle vie medievali molto caratteristiche, scattando foto e incontrando delle persone che urlano e litigano!
Aspettiamo la fine della Messa per visitare la cattedrale gotica, che si rivela subito molto bella. Visitiamo la piazza principale e poi ci fermiamo a pranzo in un ristorante tipico, dove pranziamo con una pasta al ragù di agnello, un piatto molto particolare, certo la pasta non ha nulla a che vedere con l'Italia, ma ce la gustiamo ugualmente.
Riprendiamo il nostro viaggio verso Beaugency, e non ci accorgiamo di essere nella Valle della Loira: una volta realizzato decidiamo che possiamo fermarci a vedere qualche castello, strada facendo.

La Valle

Nonostante i numerosi castelli, la Valle della Loira non è la regione francese più ricca: è infatti la Bretagna la regione con il numero più elevato di castelli, la Loira rimane famosa per la ricchezza dei palazzi che si possono trovare e per il loro ottimo stato di conservazione.
Seguendo la strada nazionale è comunque possibile imbattersi in numerose dimore da visitare, senza dover effettuare grandi deviazioni. Ci fermiamo così a Meung sur Loire un piccolo paese che ospita un piccolo castello, oggi utilizzato anche per dei banchetti, come quello in corso durante la nostra visita. Anche qui gli effetti della domenica si fanno sentire, per le strade infatti non c'è quasi nessuno, solo turisti; facciamo anche conoscenza del clima particolare che caratterizza queste regioni: sole a sprazzi, tra nuvoloni neri, e una pioggia leggera che ci accompagna di tanto in tanto e che non dà nemmeno molto fastidio. A dir la verità si fa fatica a chiamarla pioggia, sembra più che altro dell'umidità condensata.
Dopo Meung s/Loire ci dirigiamo verso la nostra prima tappa serale: Beaugency. Arrivati all'ostello scopriamo che dobbiamo attendere circa un'ora prima dell'apertura, così scendiamo in paese e iniziamo a visitarlo: il centro storico è piuttosto piccolo, molto raccolto, e si stende attorno alla centrale Place St-Firmin, i mezzo alla quale si trova una statua dedicata a Giovanna d'Arco. Da qui si possono ammirare il castello, un'imponente torrione a fianco del quale si trova il museo di storia regionale, la Torre di San Firmino e l'abbazia di Notre-Dame.
Torniamo all'ostello dove ci registriamo, e dopo una doccia torniamo in paese alla ricerca di un locale. Fortunatamente ce ne sono diversi aperti, ma sono tutti pieni, quindi torniamo a rivisitare il centro, questa volta in versione notturna. Dopo una birra in un locale tipico ce ne torniamo al'ostello per ritrovare le forze per il giorno successivo.

Secondo giorno nella Valle

Riprendiamo il cammino verso la Bretagna, ma facendo una piccola modifica al nostro itinerario: continuiamo ad approfittare del fatto di trovarci in questa famosa valle per visitare alcune località, tenendo comunque sempre conto di non perderci in eccessive deviazioni.
La prima sosta la effettuiamo ad Amboise, citata dalle guide turistiche come uno dei centri principali della regione, con un castello imponente che si erige sopra una collina al centro della città. La salita al castello è duretta, bisogna salire su una rampa in ciottoli, che porta ad un cancello di ferro che indica il limite dei terreni del castello. Sicuramente è un palazzo ben conservato, l'unica cosa che ci lascia perplessi è il vuoto che regna nelle su stanze: non sono infatti presenti suppellettili ed oggetti che facciano capire com'era la vita all'epoca. Da qui si può comunque godere di una vista stupenda sulla città con i suoi tetti in ardesia nera.
Lasciamo Amboise per dirigerci ad Azay Le Rideau, che resterà molto probabilmente il castello più suggestivo tra quelli visitati. Sulla strada per Azay ci fermiamo nel piccolo borgo di Sachè, dove si può visitare il castello, residenza estiva di Honorè de Balzac: al suo interno è possibile ammirare anche un piccolo museo dedicato a questo artista francese. Poco distante dal castello è interessante ammirare anche un antico albergo, che, se non ricordo male, risale al XII secolo: è molto suggestivo, con le travi di legno incrociate sulla facciata e una grande edera a coprire le sue pareti.
Arriviamo ben presto ad Azay Le Rideau: l'importanza del paese si nota subito dalle numerose auto che affollano il piccolo centro. Anche se il tempo non è dei migliori, ammirare questo castello è senza dubbio affascinante, passeggiando attorno al suo fossato, tra gli alberi del boschetto che lo circonda. A quanto pare questo castello è stato costruito secondo la supervisione e le indicazioni di Philippa Lesbahy, moglie del proprietario Gilles Berthelot, e proprio lei sembra l'artefice di tanta bellezza.
Dopo la visita ci fermiamo ad un bistrot dove pranziamo con una bruscettona calda: il locale è affollato ma i camerieri sono gentili; nell'attesa consultiamo le nostre guide per vedere dove eventualmente fermarci ancora lungo la strada che ci porterà a Cholet. Decidiamo per Chinon, un antico borgo medievale, con un centro storico dove le case paione essere state buttate lì a caso, a formare un intrico di strade nel quale è molto facile perdere l'orientamento: per non sbagliare puntate sempre a sud, arriverete certamente alla Loira, anche se il non vedere la fine del cammino non è molto confortante.
Il castello di Chinon è il quarto della giornata, oggi ne abbiamo fatto proprio una bella scorpacciata; da visitare la torre dell'orologio e il fossato, all'interno del quale sono state ricostruite due macchine che servivano per la difesa del maniero: una carrucola di dimensioni enormi e una catapulta.
Riprendiamo il nostro cammino alla volta della Bretagna, nostra meta principale del tour. Sulla strada per Cholet ci imbattiamo in grandi e luminosi campi di girasole, ammiriamo le cantine che producono il vino, scavate nella roccia delle colline, attraversiamo Samur, al centro della quale si erige un castello enorme ed austero, ma prima di arrivare a Samur attraversiamo anche il meridiano di Greenwich, il meridiano zero, punto di riferimento per il calcolo del tempo nel mondo.
Arriviamo a Cholet nel tardo pomeriggio, e purtroppo scopriamo che l'ostello è già al completo, comunque i ragazzi della reception sono gentili e ci indicano altre sisemazioni a buon prezzo dove poter recarci. Optiamo per il Formule 1, una catena di alberghi per gente che viaggia in auto, con camere e prezzi standard, solitamente situati nei pressi di importanti snodi autostradali, e ne teniamo conto per il futuro in caso non dovessimo trovare posto negli ostelli.
Concludiamo la serata con una cena al Buffalo Grill, una catena di ristoranti che si possono trovare nelle medesime locazione dei Formule 1.

Finalmente Bretagna

Per la nostra visita in Bretagna abbiamo deciso di non cambiare ostello ogni sera ma di trovarne uno da utilizzare come base di partenza per diverse escursioni: ci serviva perciò una località servita da autostrade, e non molto lontana dalle principali mete che ci eravamo prefissi; le città ideali erano due: Lorient e Pontivy. La scelta ricade su quest'ultima perchè a Lorient è in corso il festival di musica celtica che affolla la città e non permette di trovare sistemazioni decenti. Alla fine ci troveremo bene a Pontivy, una città di dimensioni piuttosto grandi, con un bel castello e un centro davvero tranquillo: purtroppo, nonostante siamo rimasti lì per tre giorni, non l'abbiamo visitata come si sarebbe dovuto.
Sulla strada da Cholet alla Bretagna avremmo potuto fermarci a visitare altri centri importanti, come Rennes o Angers (dove si erige l'imponente Rocca di Angers), ma il tempo è sempre tiranno e ci costringeva ad operare delle scelte anche se a malincuore. Col tempo scopriremo che la Bretagna necessita molti più giorni di quanti gliene abbiamo dedicati, perchè è una zona ricchissima e si possono scoprire cose interessanti davvero ad ogni angolo.
La prima cosa che visitiamo è il Golfo del Morbihan, una zona ricca di reperti archeologici quali i dolmen, natura e ovviamente castelli. Ci fermiamo a visitare quello di Suscinio, anche se non entriamo, il giorno prima ci eravamo davvero svenati in fatto di castelli: ammiriamo la sua imponenza solo dall'esterno, le sue torri e il fossato di acqua verde.
Ritorniamo verso nord, alla volta di Josselin, un centro molto vivo e allegro: nel centro della città, ai bordi della piazza principale, si può visitare la cattedrale, mentre poco lontano è possibile ammirare il castello, visitabile solo con una visita guidata. Personalmente non amo molto aggregarmi a gruppi di persone nella visita ai monumenti, ma devo riconoscere che nelle visite effettuate in Francia, ho potuto apprezzare meglio i diversi luoghi visitati: solitamente sono giovani studenti a fare da ciceroni, a volte emozionati, ma sempre esaustivi nelle loro esposizioni.
Perciò, dopo aver gustato un pranzo in un piccolo ristorante tipico, poco lontano dalla cattedrale, ci siamo inoltrati alla visita del castello: sono visitabili solo le stanze del piano terreno, in quanto i piani superiori sono ancora abitati dai proprietari.
Prima di riprendere la strada per Pontivy, ci fermiamo per una birra in un pub piccolo e stretto, molto caratteristico. Arriviamo a Pontivy nel tardo pomeriggio, e nel cortile dell'ostello troviamo una coppia di oche ad accoglierci; è un ostello moderno, molto pulito e funzionale. Un po' più scassata è invece la cucina riservata agli ospiti, ma troviamo comunque modo per gustarci un piatto si spaghetti cucinato da noi. Domani andremo verso nord, intanto sembra che il sole cominci a farsi vedere anche da noi.

Una giornata tra le stranezze bretoni

La nostra meta per oggi è principalmente Guingamp, poi al ritorno verso Pontivy ci fermeremo in qualche altra località, lasciandoci guidare dall'ispirazione del momento, le occasioni certo non mancano.
Sulla strada per Guingamp dovrebbero esserci diversi Menhir da ammirare, ma le indicazioni non sempre sono efficienti: così io riprendo a voltrmi ad ogni incrocio per vedere se non abbiamo perso qualche cartello, e molto spesso ci troviamo a fare inversione ad U, per fortuna che non c'è molto traffico da queste parti. Il primo menhir che ammiriamo è quello di Roch'Ar Lein: per trovarlo ci impieghiamo più di mezz'ora, colpa di alcuni inglesi che avevano parcheggiato la loro auto di fronte al minuscolo cartello di legno che indicava la sua presenza. Nonostante tutto ne è valsa la pena, perchè è inserito in un bellissimo bosco, molto fitto, nel quale la luce del sole, ancora debole, filtrava a malapena, creando uno spettacolo intenso: la terra è impregnata ancora della pioggia dei giorni prima e i piedi affondavano nella sua morbidezza, tra le foglie cadute che ricoprivano il terreno, e tutto intorno si alzava un'umidità fredda che entrava nelle ossa. Ce ne andiamo con mille domande sul suo significato alla ricerca del prossimo, quello di Grec'H Ogel, poco distante.
Decidiamo poi di andare diretti a Guingamp, senza fare altre deviazioni, per non distrarci più del dovuto: questo è un difetto della Bretagna, è troppo ricca, ci sono un'infinità di luoghi curiosi da visitare, che non si finirebbe mai.
Alla fine riusciamo ad arrivare a Guingamp, un bel centro medievale, raccolto ùnell'antica cittadella, che protegge anche l'austera cattedrale, visitabile anche con l'ausilio di giovani guide, presenti all'ingresso.
Pranziamo e torniamo verso sud: io volevo visitare Lochmaria-Berrien, una piccola frazione di Huelgoat, dove c'è una piccola cappella bianca, con due querce secolari all'ingresso del viale che porta ad essa.
Prima di arrivare a Lochmaria, visitiamo però Heulgoat, che al primo impatto non ci sembra granchè: un bel lago, un po' di traffico, niente di particolare come chiese o castelli, tutto porta alla roccia tremolante, incuriositi ci dirigiamo verso questo luogo che si rivela molto spettacolare. Si tratta di un piccolo parco, all'interno del quale ci sono delle rocce molto grandi che formano dei percorsi o strutture particolari: ogni anfratto ha un suo nome identificativo (Mulino del caos, grotta del Diavolo), e in fondo troviamo la pietra tremolante, un masso gigantesco che si muove di pochi centimetri, con la sola forza di un bambino, e dondola. E' un parco straordinario, molto umido e tutto ricoperto di muschio (state attenti se ci andate, si scivola facilmente), che stupisce per la sua unicità.
Soddisfatti della piacevole scoperta, ci dirigiamo verso Lochmaria-Berrien, la piccola frazione di Huelgoat, dove non c'è praticamente nessuno, solo un bambino che si getta come un pazzo giù da una discesa con il suo monopattino e ci sorride. Le quercie sono davvero enormi, i tronchi e i rami sono tenuti assime da delle fascie metalliche usate per le botti, il loro tronco cavo, ci si chiede come facciano a vivere ancora, eppure sono lì a vegliare l'ingresso alla piccola cappella.
La giornata non è ancora finita, sappiamo che tarderemo il rientro ma volgiamo fare un salto a Le Faouet, dove ci sono due cappelle, una ad ogni estremo del paese: noi ne visitamo solo una, quella di St-Barbe, ed è l'ennesima sorpresa della giornata. La cappella è situata al di sotto di un dirupo, un arco a volta ci conduce verso l'ingresso della stessa, e verso un sentiero in mezzo ai boschi che terminerà ad un'antica fontana, ora prosciugata.
E' finita la giornata, siamo stanchi ma felici, la Bretagna fino ad ora non ci ha deluso, anzi, ci ha riservato delle belle sorprese. La nostra cucina italica ci attende, questa sera siamo in compagnia anche di due ragazze bolognesi, con le quali ci scambiamo suggerimenti per le prossime tappe: loro vanno a Lorient per il festival, noi lo abbiamo scartato, sarebbe interessante ma perderemmo sicuramente altre cose interessanti. Ci diamo appuntamento a Concarneau per la sera successiva, noi siamo diretti lì, e pensiamo che in zona sia l'unico ostello disponibile. Buona notte e a domani.

Verso la fine del mondo

In Bretagna esistono molti fari, questi luoghi solitari, dove delle persone vivono per segnalare alle imbarcazioni la terra tanto agognata: la loro solitudine è molto romantica, andrebbero visitati in inverno, o comunque in bassa stagione, quando non ci sono turisti a rovinare il paesaggio. In particolare mi ero innamorato di una foto di Pointe du Raz scattata in autunno, con il cielo grigio e il mare in burrasca, per cui era un luogo da visitare a tutti i costi.
Alla mattina sbaracchiamo tutto, riempiamo nuovamente il bagagliaio della nostra auto e ci dirigiamo verso la "Fine del mondo", come viene chiamata questa zona, dove la terra finisce per lasciare spazio all'oceano. La fine del mondo è però molto affollata, ci sorbiamo una coda di alcuni chilometri per arrivarci, anche se alla fine ne sarà valsa la pena. Lasciamo l'auto nel grande parcheggio e iniziamo a camminare verso l'ultimo lembo di terra: c'è anche un servizio di autobus, ma noi preferiamo le nostre gambe, tra l'altro è uscito uno splendido sole, finalmente dopo diversi giorni grigi, anche se continua a soffiare un forte vento da ovest.
La Punta del Raz ci accoglie con una splendida distesa di erica, che tinge di rosso tutta l'area, fino alle bianch rocce del promontorio. Vediamo il faro solitario che si erge dal mare, lambito da onde bianche e basse, accerchiato però da forti correnti marine che non lo lasciano mai; le rocce del promontorio sono molto frastagliate, c'è chi si avventura sopra di esse, nonostante diversi cartelli lo sconsiglino, per scattare fotografie.
Il luogo è magico; sarebbe bello fermarsi qui a meditare, come fanno alcune persone con lo sguardo perso verso il mare: c'è un senso di libertà, dato dalla fine, dalla mancanza di legami, il vento che soffia forte e sembra ripulire ogni cosa, portando via preoccupazioni e dolori, e le altre persone sebbene numerose, sembrano non esistere, le loro voci superate dalla voce del mare e del vento.
Ci incamminiamo a vedere l'altra parte del promontorio, quella che dà sulla Baie des Trespassès, una baia nella quale si narra che ogni due di novembre, nella festa dei Morti, sia possibile ascoltare il lamento dei morti per naufragio, sepolti in mare, e che recitando una preghiera sentendo il loro lamento, li si possa aiutare ad uscire dal mare per trovare infine riposo.
La mattinata scorre veloce, non abbiamo fatto nulla di particolare ma ci sentiamo bene, più ricchi, sicuramente questo angolo di Bretagna non ci ha lasciato indifferenti.
All'ingresso del promontorio ci sono gli immancabili negozi di souvenir e alcuni ristoranti che propongono piatti tipici bretoni: ci fermiamo anche perchè la fame ha preso il sopravvento. Pranziamo con dei calamari all'armoricana (cioè alla bretone) e ci gustiamo anche la tarte bretone, un flan con le prugne, davvero fantastica: peccato per il servizio, abbiamo dovuto attendere circa due ore e mezza per terminare il pranzo!
Terminato, ci dirigiamo verso Concarneau. Sulla strada dovrebbe trovarsi il dolmen di Pors Poulhan, un piccolo paese sulla costa, che abbiamo visto sulla tovaglietta pubblicitaria del ristorante. Non è difficile trovarlo, è un dolmen piuttosto grande, il primo che vediamo, circondato da case di nuova costruzione, è un po' strano, un ambiente così diverso da quello in cui erano inseriti i menhir che avevamo visto in precedenza.
Così, un po' straniti, riprendiamo la strada per Concarneau.

Una bella serata a Concarneau

Arriviamo a Concarneau nel pomeriggio, fa un caldo incredibile, finalmente il sole si fa sentire, e in città ci sono un sacco di auto: del resto Concarneau è un importante centro di villeggiatura del sud della Bretagna, ed è naturale che ci sia molta gente. Anche la spiaggia è affollata, tutti a godersi la bella giornata, mentre noi giriamo due volte per la città alla ricerca di un posteggio.
L'ostello è molto carino, è proprio in riva al mare, quando siamo in camera sentiamo le onde infrangersi sugli scogli sotto di noi. Facciamo provviste per la sera, decidiamo di cenare in ostello, chiacchieriamo un po' con due ragazze incontrate lì quella sera: hanno in programma di andare a Lorient, meta che noi abbiamo scartato perchè non siamo riusciti a trovare un alloggio; ci sarebbe piaciuto molto andare, perchè in quei giorni si svolgeva l'annuale festival della cultura celtica, con spettacoli e concerti in ogni angolo della città, però alla fine decidiamo che preferiamo andare in luoghi isolati e sconosciuti. Ce n'è uno in particolare che ci ha stuzzicato la curiosità, si chiama Rocca delle Fate, è proprio nel cuore della Broceliande, la terra di Re Artù, ne parliamo alle due ragazze e rimangono anche loro affascinate dal luogo, ci dicono che se riescono vanno anche loro lì, anche se è un posto difficile da raggiungere con i mezzi pubblici.
Passiamo la serata girando per le strade di Concarneau: sotto un porticato scopriamo delle persone che ballano balli tipici bretoni; rimaniamo alcuni minuti ad ascoltare la musica, poi ci dirigiamo alla ricerca di un pub, dove assaggiare una birra nuova. Ne troviamo uno che ci ispira, si chiama "Korrigan", come il folletto tipico bretone: entriamo ed è un posto fantastico, è tutto in pietra, con le luci non molto alte, arredi in legno e ferro battuto.
Io bevo una birra dal nome strano, dal sapore particolare, sembra di mangiare del parmigiano, davvero originale.

Alla ricerca delle fate
Oggi ci immergeremo completamente nel cuore della Broceliande, nelle sue foreste, alla ricerca del silenzio e della natura. Abbiamo visto che sulla guida degli ostelli ce n'è uno proprio nel cuore della Broceliande, il paese ad esso più vicino è a sei chilometri di distanza, una cosa mai sperimentata, e decidiamo di andare lì per quella sera.
La prima meta di oggi però è la ricerca della Rocca delle Fate: abbiamo indicazioni molto approssimative, del resto è anche bello andare alla scoperta di questi luoghi un po' per caso, trovando sulla strada altre cose interessanti da vedere, quasi per caso. E in effetti le fate si nascondono bene, giriamo un po' prima di trovare le indicazioni giuste, che si trovano a poche centinaia di metri dalla Rocca.
Quando arriviamo non c'è quasi nessuno: oltre a noi solo una famiglia che sta pranzando nell'area picnic lì vicino. La Rocca delle fate è magnifica, si tratta di un complesso megalitico, una serie di dolmen imponente, che dovrebbe coincidere con una sorta di cimitero, in quanto qui sotto dovrebbero essere sepolte diverse persone. La leggenda che scopriremo su una cartolina, vuole che chi riuscirà a contare esattamente il numero di massi che lo compone, nell'anno si sposerà, è il dono che le fate fanno agli innamorati che si recano qui.
Restiamo diverso tempo ad ammirare questa meraviglia antica, immersa fra gli alberi alti che la circondano e la riparano dai raggi del sole, che si infilano furtivi tra gli spazi vuoti che i massi lasciano: ci scattiamo una foto all'interno della Rocca e poi decidiamo di andare alla ricerca di un ristorante o qualche posto che ci possa offrire cibo, è ora di pranzo passata da un pezzo e la fame si fa sentire di brutto.
Prima di arrivare abbiamo trovato un paesino, decidiamo di provare lì: giriamo un po' a vuoto; c'è una rosticceria ma è chiusa, un ristorante è pure lui chiuso, è strano, sembra di essere in un paese fantasma. Non sappiamo se andarcene o meno: io insisto per cercare anche dall'altra parte del paesino e finalmente troviamo un ristorante aperto. E' vuoto, entriamo e arriva la proprietaria che ci fa accomodare. I prezzi esposti non erano chiari, sembra piuttosto caro, ma abbiamo fame e ci basta anche solo un piatto di pasta. Si susseguono i piatti, antipasti, carne in umido, formaggi, dolce e un bottiglione di vino completamente a nostra disposizione, per la felicità ci prendiamo anche un caffè che miracolosamente è quasi bevibile. Paghiamo e scopriamo di aver speso meno di quanto esposto! Nella grande sala a fianco c'è anche un matrimonio, io mi prendo un biglietto da visita, se per caso dovessi ricapitare in un futuro non meglio precisato da queste parti, mi piacerebbe ripassare di qui.
Satolli riprendiamo l'auto, e sinceramente devo dire che non invidio Luca che deve mettersi al volante, in questo momento ci starebbe molto bene una sana pennichella, ma preferiamo muoverci per rimanere svegli. Dobbiamo andare verso Choucan-en-Broceliande, però abbiamo ancora un sacco di tempo, quindi decidiamo di lasciarci trasportare dal caso vedendo delle indicazioni per i luoghi di Re Artù: visitiamo la "tomba di Merlino", un masso con un sacco di bigliettini e fazzoletti appesi lì sopra da tanti bambini, una cosa che ci delude non poco, poi andiamo alla "fonte della giovinezza", un rigagnolo non meglio specificato; ormai smontati decidiamo di andare verso l'ostello di Re Artù, come lo abbiamo battezzato. Sulla strada troviamo però delle indicazioni per la "Chenes des Hindres", visto che il tempo oggi abbonda andiamo pure qui, tanto sarà la solita boiata: a differenza degli altri luoghi qui non c'è praticamente nessuno, incontriamo forse un paio di persone che camminano in mezzo ai boschi, lontano da noi due, poi arriviamo. La Chenes des Hindres non è altro che una spettacolare quercia secolare, è il cuore del bosco, e lo presiede da un tempo indicato fra i 400 e i 500 anni: è bellissima, recintata perchè pericolante, i suoi rami stanchi e pesanti sembrano resistere con grande fatica al peso del tempo che passa. Rimaniamo sotto la quercia per un po' di tempo, nel silenzio del bosco, con la luce che è tenuta lontana dai fitti rami degli alberi, e con la Chenes che dai suoi 23 metri di altezza ci guarda.
Ci allontaniamo felici per aver trovato in questo luogo sperduto qualcosa all'interno di un circuito turistico ma fuori dalla sua logica. Ci fermiamo all'ultimo paese prima dell'ostello, per cui un cartello ci dice mancare ancora 6 km circa. Facciamo provviste per la sera, compriamo anche un paio di bottiglie grandi di birra, da berci in mezzo ai boschi, in quell'ostello che ci immaginiamo come unico.
Proseguiamo in mezzo a strade di campagna, in mezzo al granoturco alto che nasconde chi si aggira da queste parti, con i boschi che fanno da cornice al panorama vasto attorno a noi. Arriviamo finalmente ad un casolare di campagna, tutto in sassi, fuori ci sono delle tende, ma abbiamo telefonato e ci hanno detto che c'erano un paio di letti per noi. Il posto è unico, non ci sono dubbi: fuori dalla cucina c'è un pentolone pieno di acqua e grasso di cibo, abbandonata da chissà chi. Non c'è nessuno a basso, così saliamo le scale di legno, troviamo una camera da cui esce della musica, c'è il ragazzo che tiene il posto, è quasi indifferente alla nostra presenza, ci chiede i soldi, paghiamo, e ci indica la nostra camerata: è una mansarda, con le travi a vista, tanti materassi buttati sul pavimento, polvere, gli zaini di un paio di persone.
Siamo un po' sconvolti, però ci diciamo che è solo per una sera. Usciamo nel cortile, dove ci sono i bagni e le docce, ne facciamo una, per fortuna l'acqua è calda, una piccola soddisfazione per ripagarci del posto infame. Aspettiamo l'orario di cena e poi andiamo in cucina: le stoviglie, i piatti, le posate sono da lavare, chi le ha usate prima non le ha lasciate in buono stato: usiamo l'acqua più bollente possibile per sicurezza, cavoli, fa piuttosto schifo. Ci mettiamo a cucinare la nostra pasta, poi abbiamo formaggio e salame, come quasi sempre: per la birra non ci sono bicchieri, quindi optiamo per delle tazze grandi che troviamo lì attorno. In cortile c'è un bel tavolo, grande, di legno, decidiamo di andare lì a mangiare, insieme a noi ci sono un paio di famiglie hippy, con i bambini che si arrampicano sulle canaline e sulle grondaie della casa, con i genitori che li rimproverano stanchi, che vanno avanti a mangiarsi una frittata dalle proporzioni astronomiche. Ci chiediamo dove siamo capitati, ad occhio le tende sono meglio delle camere, il posto mette davvero vogli di scappare via subito, non fosse che ormai è tardi e non sappiamo dove poter andare di preciso.
Piuttosto delusi, decidiamo di andare a letto presto, per alzarci di buon mattino e andarcene subito da quel posto infame. Torniamo nella polvere della camera, ma non riusciamo a prendere sonno: io resto sveglio e sento Luca sul materasso a fianco al mio girarsi e sbuffare. A un certo punto sotto di noi si sente pure parlare animatamente, è un altro gruppo, di metallari, che ha deciso di passare qui una parte o tutta una loro vacanza, e allora capiamo che questa sarà una lunga notte per noi.

Fuga verso il Monte
Ci svegliamo presto e ancora mezzi assonnati raccogliamo in fretta le nostre cose che carichiamo in auto; ovviamente di fare colazione non se ne parla nemmeno. Saliamo in auto mentre ancora tutti dormono, io guardo per l'ultima volta il casolare e le tende, invidiando i campeggiatori che forse hanno dormito meglio di noi e mandando mentalmente a quel paese quelli che ci hanno tenuti svegli fino a notte fonda.
Mentre ci allontaniamo iniziamo a sentirci meglio, ancora incerti su dove saremo stasera, ci viene quasi da ridere, pensiamo che avremo di certo qualcosa da raccontare al nostro ritorno, un'esperienza che mentre la vivi vorresti non vivere, ma che sai già ricorderai per tanto tempo.
Quando arriviamo a Mont St Michel c'è un sacco di gente: è già mattina fatta, il parcheggio è pieno zeppo, lasciamo l'auto molto lontano dall'isola-fortezza. Entriamo in mezzo ad una folla immensa che intasa le stradine del Monte. Ci assale una sensazione di sconforto, non è certo il periodo migliore per venire qui, con tutti i turisti, una coda di ore fuori dall'abbazia che rinunceremo a visitare e tanti, troppi negozi di souvenir, spade e armature che sanno molto di kitsch. Ce ne andiamo a vedere la bassa marea, la sua vastità, con le persone che camminano su quella sabbia bagnata, ed è l'unica cosa che ci godiamo veramente qui a Mont St Michel.
Non sappiamo dove andare questa sera: dovremmo andare a Dinan, c'è un ostello, ho già chiamato per sapere se c'è posto, ma ci vogliono rifilare una tenda e abbiamo un solo sacco a pelo, il mio, per me andrebbe anche bene, l'importante è che abbiano un letto per Luca. All'ennesima telefonata senza risposta decidiamo di andare verso la Normandia, ci fermeremo strada facendo al primo albergo che troviamo.
Proviamo a visitare St-Malo, ma non troviamo un parcheggio nemmeno a pagarlo, così ce ne andiamo anche da lì.
Nel frattempo raggiungiamo a Dol en Bretagne, una bella cittadina, dove troviamo anche dei simpatici pupazzetti di troll di cui facciamo scorta. Saliamo anche al monte che è fuori città, il Mont Dol, da dove si gode di un bel panorama della campagna bretone. Per arrivarci dobbiamo affrontare una salita ripidissima che l'auto riesce ad affrontare solo in seconda marcia, non una in più; per fortuna è corta, perchè non abbiamo molta scelta ora, andare indietro è troppo pericoloso, l'auto sembra si possa ribaltare quasi.
Ormai è pomeriggio inoltrato e la giornata è andata come è andata e ci mettiamo in marcia verso la Normandia. Passiamo molti paesini, gli alberghi sono tutti completi: possiamo dirigerci verso Fougeres, sembra l'unica città di una certa dimensione non troppo lontana.
Facciamo ancora dei tentativi ma sembra che stasera non ci sia un posto libero per noi. Arriviamo a Fougeres e decidiamo di andare in centro, spenderemo qualcosa in più ma almeno avremo qualche servizio in più e saremo nel cuore della città: ci troviamo nel centro storico, a due passi dal castello, vediamo un albergo, ci proviamo e miracolosamente hanno l'ultima camera disponibile. La prendiamo e ci stupiamo che costi pure poco, siamo a due passi dal castello, in pieno centro, in una bella atmosfera, finalmente soddisfatti di che piega ha preso alla fine la giornata.
Ceniamo in un ristorante del centro storico, poi andiamo a goderci una sana pinta di birra in un piccolissimo pub: per Luca una Guinness, per me una Kilkenny, che trovo come in Irlanda, cosa che Luca non ha mai visto. Parlando con il barista mi faccio regalare anche un bicchiere della Kilkenny, veramente gli ho proposto di comprarlo, ma lui prima mi ha guardato e poi mi ha detto "tieni, te lo regalo, portatelo via". La giornata è finita bene, nonostante le delusioni iniziali del Monte, per domattina ho deciso di svegliarmi presto per girare in città a fare delle foto, Luca invece pensa che resterà a dormire.

Una giornata di solitudine e compagnia
Come programmato mi alzo presto: giro per la città in completa solitudine, mi piace vedere le città al mattino presto, hanno una luce e un'atmosfera diverse, sembra che si dedichino solamente a te, regalandoti il loro lato migliore. Ripasso per le vie di ieri sera, le chiese, il castello, mi fermo in una chiesa con i pavimenti di pietra: torno a fotografare il pub dove siamo stati ieri sera, poi vado a comprare alcune cartoline, quindi torno in albergo, dove nel frattempo Luca si è svegliato e andiamo al ristorante dell'albergo per una colazione corposa.
Oggi sarà una giornata interlocutoria, faremo tappa in Normandia, a Bayeux, per evitare di farci una tirata unica fino in Belgio. Faremo anche un giro delle spiaggie dello sbarco: non ci siamo documentati molto, lasciamo molto al caso.
Quando arriviamo a Bayeux, troviamo subito delle indicazioni per dei tour sulle spiaggie dello sbarco e ne prendiamo una a caso. Passiamo di fronte ad un sacco di musei sulla storia dello sbarco in Normandia, fuori riproduzioni di carri armati, divise di guerra degli alleati, come quelle che vedevo leggendo dei fumetti di guerra "Guerra d'eroi", che parlavano di soldati coraggiosi che combattevano per la libertà e che non sempre sopravvivevano. C'è un cartello che indica un cimitero di guerra americano, andiamo.
Parcheggiamo l'auto, c'è un boschetto vicino, tante piante, silenzio, un vialetto ci porta all'interno del cimitero, c'è un prato verde e sopra migliaia di croci bianche, sono infinite, tutte disposte in file, perfette, come tanti soldati, non si vede la fine di queste croci, passeggiamo fra di esse leggendo nomi di ragazzi come noi morti tanti anni fa, nomi americani, e i loro stati d'appartenenza, Texas, Arkansas, California, e altri senza nome, conosciuto solo da Dio come recita l'iscrizione sulle croci. E' impressionante e perdiamo entrambi la parola; vediamo giovani coppie con i loro bambini, e reduci che sfoggiano con orgoglio le loro medaglie: sotto di noi c'è una spiaggia con un mare calmo.
Usciamo dal cimitero in silenzio, è lo stesso che anni dopo verrà ritratto in "Salvate il soldato Ryan", e proseguiamo il giro, sempre in silenzio, verso Pointe du Hoc, dove ci sono i resti dei bunker tedeschi, bombardati dagli alleati, c'è un sacco di gente qui, più che al cimitero. E' sabato. Abbiamo fame.
Da queste parti non ci sono molti ristoranti, ne troviamo uno in riva al mare, è molto grande e ci sono un sacco di auto all'ingresso, specialità pesce, entriamo, sono le due passate. Fino ad ora non abbiamo ancora detto molto io e Luca, lo osserviamo entrambi e commentiamo la nostra visita al cimitero, a come ci ha sconvolto, Luca, che ha fatto il militare, dice che quelle croci sembravano come un plotone, sembravano messe lì così apposta. Ordiniamo, Luca prende dei frutti di mare, io un antipasto di polipo o qualcosa del genere. Arriva il mio, normale, arriva quello di Luca, una cosa mai vista: sulle prime pensiamo ci prendano in giro, ma la ragazza è seria e sembra pure scocciata oltre che di fretta e molla a Luca il suo piatto, dove ci sono un paio di gamberetti, un granchietto e una granseola! Osserviamo i nostri vicini e scopriamo che molti vengono lì solo per mangiare quello e che in fondo è un affare, è una cosa che Luca impiega un'ora intera a finire, buonissima, e che non costa praticamente nulla. Ci mettiamo una vita a finire, il mio secondo arriva solo dopo che Luca ha finito il suo, ormai sazio da tanto era grossa.
Torniamo verso Bayeux, dove prendiamo possesso dei nostri letti in ostello. Lì conosciamo un ragazzo di Salerno che sta girando la Bretagna e la Normandia da due settimane, pensava di starci solo pochi giorni e poi invece se ne è innamorato, lui sta facendo l'Inter-rail e ci dice di aver preso dei trenini assurdi, su uno c'era così poco posto che il macchinista l'ha fatto salire in cabina con lui. Ceniamo e poi decidiamo di andare a bere un Calvados. Io penso sia una marca di sidro, se ne vedono a centinaia di posti che lo vendono sulle strade, invece quando me lo portano scopro che è un cognac di mele; io odio i superalcolici però per non rimandarlo indietro me lo bevo, sentendo bruciare ogno volta che scende giù nell'esofago: tutti gli altri se lo godono, per me è una tortura che sopporto in silenzio.
Finalmente torniamo in ostello, sono stanco, e abbiamo una brutta sorpresa: è chiuso tutto. Giriamo dappertutto, vado alla reception per vedere se trovo una chiave, è l'unico posto dell'ostello accessibile, trovo un armadietto di chiavi ma ce ne sono a centinaia, sembra un incubo. Non sappiamo cosa fare, non è possibile che non ci sia l'accesso alle camere aperto; quando meno ce lo aspettiamo però arrivano altri ragazzi che ci mostrano l'ingresso notturno, nessuno ci aveva avvisato, andiamo a letto ora che domani dobbiamo andare in Belgio.

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