La testimonianza
“Voi che vivete sicuri,
nelle vostre tiepide case,
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri neonati torcano il viso da voi.”
-Primo Levi-
Di fronte a
fenomeni della storia umana che lasciano ampi spazi di incomprensione, c’è
sempre una via d’uscita semplicistica. Per quanto riguarda
è l’unico modo per sperare che
quell’indicibile orrore non si ripeta,
è l’unico modo per farci uscire
dall’oscurità.”
-Elisa Springer-
Certi scritti
furono portati alla luce quando la guerra fu terminata e vennero raccolti in
vari archivi; alcuni di questi furono ritrovati in luoghi significativi del
processo di distruzione degli ebrei d’Europa, come nel ghetto di Varsavia. Qui,
infatti, le testimonianze lasciate dagli abitanti del ghetto furono sotterrate
in tre diversi punti usando bidoni del latte o casse. Dopo la repressione
dell’insurrezione del ghetto, tutto fu raso al suolo.
Gli archivi
sono formati non solo da manoscritti, ma anche da cronache, lettere di bambini,
diari dove venivano registrati gli eventi e le notizie che circolavano, ma
venivano anche annotate le sensazioni e le paure vissute in quei momenti.
Molte
testimonianze, però, probabilmente considerate prive di valore furono
distrutte. Scomparvero così documenti di notevole interesse.
La testimonianza è costata sofferenza per ognuno dei sopravvissuti; per testimoniare l’inimmaginabile si dovettero confrontare con la propria interiorità, tanto da dover diventare un’altra persona e in più dovettero considerare anche il trascorrere del tempo perché quest’ultimo poteva portare ad un cambiamento della realtà nel ricordo. Molte testimonianze sono nate da un bisogno interiore di raccontare, altre invece per dare delle risposte a domande legate all’esigenza di giustizia.
“A noi restava questa grande, terribile, straordinaria esperienza:
il
dolore, che non passerà mai, di aver avuto Auschwitz nella nostra vita.
E il dovere di testimoniare di quello che è
stato,
noi che abbiamo avuto salva la vita,
per
tutti quelli che non possono più parlare.”
-Liliana Segre-
La scrittura
diventa necessaria per lasciare una traccia di questi eventi che sfidano
l’immaginazione, eventi nei confronti dei quali le generazioni nate dopo
La paura di non essere creduti rinchiuse nel silenzio molte vittime del genocidio, come confermano Liliana Segre, Goti Bauer e Elisa Spriger.
Primo Levi aveva
all’epoca venticinque anni, dunque era già uomo e non più ragazzo. Anne
Frank e David Rubinowicz ebbero la possibilità di tenere un diario,
cosa molto pericolosa perché qualsiasi documento scritto poteva rappresentare
una prova che avrebbe condotto alla morte, allo sterminio di un’intera
famiglia, solo perché non ancora internati nei campi.
In mancanza di
testimonianze scritte, cominciarono a interessare le testimonianze orali di
molti internati e molti di questi, dopo il loro ritorno in patria, scrissero
libri riguardo la loro esperienza.
Elie Wiesel scrisse “La notte”, Elisa Springer pubblicò “Il
silenzio dei vivi”, Goti Bauer rivisse
la sua prigionia in un’ opera autobiografica.
Un filo
conduttore ha guidato tutti gli ex-prigionieri: la voglia di sopravvivere.
L’unico modo di affermare la dignità umana, in armonia con
“Esistono tre filoni di un corpo di testimonianze che riguarda i campi di concentramento o di sterminio.
Un primo filone prende in esame l’aspetto storico e sociologico del periodo di riferimento. E’ un insieme di opere perlopiù di carattere scientifico che ricostruiscono puntualmente il dramma delle deportazioni inquadrandolo nella più ampia tragedia della guerra.
Esistono poi le opere letterarie dei deportati, frutto dell’elaborazione dell’esperienza vissuta.
Infine, il filone dei diari e testimonianze dei deportati, elaborati in cronaca, spesso cruda ed essenziale, sulla esperienza soggettiva nel campo.
Se il primo filone è opera solo di studiosi, salvo qualche eccezione, il secondo e il terzo sono, a mio avviso, le parti essenziali di un progetto di ricostruzione della propria dignità che ha coinvolto tutti coloro che hanno scritto o testimoniato la loro esistenza nei campi nazisti.
Sono le più belle prove del coraggio incredibile dell’uomo che sottoposto al tentativo di scomposizione sistematica del proprio essere, si ribella con un grido disperato che ne afferma la volontà di sopravvivere.”
-Primo Levi-