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I campi di concentramento

 

 

 

“La brutalità incute rispetto. Le masse hanno bisogno di qualcuno

 che ispiri loro paura e le renda tremanti e sottomesse.

Non voglio che i campi di concentramento si trasformino in pensioni di famiglia.

Il terrore è più efficace fra tutti gli strumenti politici…

I malcontenti e i disobbedienti ci penseranno due volte prima di mettersi contro di noi,

 quando sapranno che cosa li aspetta nei campi di concentramento.”

-Adolf Hitler-

 

 

 

Diverse furono le funzioni che i campi di concentramento vennero chiamati a svolgere con l’evolversi della politica interna del Reich. I primi “campi di giustizia” sorsero nel 1933 ed erano piccoli centri nei quali venivano rinchiusi criminali e prigionieri politici, senza prove di colpevolezza. Obiettivo di questi centri: l’eliminazione di ogni effettivo attentato o potenziale oppositore al governo del partito nazionalsocialista. Fra questi campi Dachau, Bergen-Belsen,  Mauthausen, Theresienstadt, Moringen e Uckermark (gli ultimi due, destinati ai giovani).

Il passaggio di consegne, la diversa funzione dei campi e la differente selezione dei detenuti, fu determinato dallo scoppio del conflitto. Essi vennero costretti a fornire la manodopera necessaria al funzionamento dell’economia del paese. In questo senso, i campi di giustizia divennero dei “campi di lavoro” comunemente conosciuti come “campi di concentramento”, dove l’attività lavorativa fu concepita come un terribile strumento di punizione e di tortura.

Si aggiunsero così, milioni di prigionieri di guerra, più numerosi i comunisti, di partigiani, di lavoratori coatti.

Con la messa a punto della “Soluzione finale” (1938), ai lager fu assegnato un compito unico nella storia dell’uomo: la distruzione di un popolo intero.

Nacquero nuove installazioni concentrazionarie, soprattutto in Polonia. Furono questi i “campi di annientamento o di sterminio”, come Lublino-Maidanek, Belzec (fu il primo centro di sterminio), Treblinka, Chelmno, Sobibor, Riga, Auschwitz-Birkenau.  

Ben presto la selezione degli internati si ampliò largamente. Vennero catturati individui appartenenti  a categorie invise agli ideologi nazisti: ebrei e zingari (membri di razze “inferiori”), Testimoni di Geova, preti cattolici e pastori protestanti (seguaci di religioni “non autorizzate”), omosessuali, asociali quali vagabondi, alcolisti e persone refrattarie al lavoro. Di fatto, però, qualsiasi cittadino tedesco poteva finire in questi orribili luoghi in seguito a una semplice denuncia.

 

 

“Non occorre aver commesso un reato per essere imprigionato,

 è sufficiente il sospetto, insindacabile,

 che l’interessato ne potrà commettere.

Sovversivo è chiunque si oppone al popolo, al Partito e allo Stato,

 ai loro principi ideologici e allo loro azioni politiche.

In particolare noi, sotto tale definizione, intendiamo i comunisti,

 i marxisti in genere, gli ebrei, i religiosi che fanno politica,

i massoni, gli scontenti della nostra politica,

i sabotatori dell’economia e i delinquenti abituali,

compresi i rei di pratiche abortive, i traditori e le spie.”

-Reinhart Heydrich, collaboratore di Hitler-

 

 

 

I luoghi scelti per la costruzione di un lager furono i dintorni di una città di secondaria importanza, immersi in boschi o circondati da paludi. In tali condizioni, era più facile tenere il campo lontano da sguardi indiscreti ed evitare qualche contatto con l’esterno.

Nonostante ciò, l’esistenza dei lager era ben nota al popolo tedesco e si trovavano sempre migliaia di complici consenzienti; i suoi collaboratori arrivarono forse a essere milioni.

Gli Alleati stessi furono informati della loro esistenza già durante la guerra.

Nessuna importanza avevano poi le vie di comunicazione, essendo il campo autonomo; se, in qualche caso, si rendeva necessario costruire strade o ferrovie, erano gli stessi deportati a provvedere alle bisogna.

 

Il campo era suddiviso in tre parti: la zona dei comandi, il quartiere delle SS e il campo di concentramento vero e proprio. La zona dei comandi, oltre a comprendere i comandi, gli uffici amministrativi, le case degli ufficiali, era abbellita da una serie di installazioni (maneggi, parchi, serre, zoo). Il quartiere delle SS sorgeva intorno al campo di prigionia e al centro di questo ameno paesaggio, in uno spazio ridotto rispetto al numero dei suoi abitanti, sorgeva l’inferno dei lager.

Un anello di filo spinato, percorso da corrente elettrica, lo circondava interamente, e lungo questo sorgevano una serie di torri di guardia, munite di mitragliatrici.

Sul portone d’ingresso, campeggiava talvolta la scritta “Il lavoro rende liberi”, “Giusta o ingiusta, sei la mia patria” e “Qui la tua volontà sarà spezzata”.

Il campo era costituito da delle baracche; fra le varie tipologie v’erano i dormitori, i ricoveri per i malati, le baracche di quarantena, l’infermeria, la lavanderia, la cucina, le officine.

 

La sorveglianza dei campi era affidata alle SS (Schutz-Staffeln).

L’autorità più alta era il comandante, seguivano poi il capo del campo, l’ispettore capo che aveva il comando di un gruppo di baracche.

Sotto questa gerarchia, vi era la massa di schiavi, suddivisi in grandi categorie e costretti a portare sui propri abiti un segno distintivo che rivelasse la loro appartenenza. Un triangolo di stoffa colorata, cucita sulla parte sinistra del petto e sulla gamba destra, era il simbolo che li distingueva: rosso per i politici, verde per i criminali, rosa per gli omosessuali, viola per i Testimoni di Geova, nero per gli asociali, giallo per gli ebrei.

Capitava anche di affidare agli schiavi stessi il compito di controllare e gestire la propria schiavitù.

Alla gerarchia dei carcerieri corrispondeva infatti una gerarchia di detenuti. Il decano era il grado più elevato, seguito dal decano di block, aiutato da due o tre aiutanti (il servizio di camerata), il Kapò, che aveva il compito di sorvegliare i detenuti mentre lavoravano.